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Disabilità intellettiva
Elaborato 4 –
Cognome e Nome dello studente: .
Consegna in forma cartacea 1 giorno prima dell’esame (cassetta postale della docente, III piano). Lunghezza massima: 3 facciate stampate in fronteretro
Una sintesi tratta dalla lettura delle presentazioni sulla disabilità intellettiva inserite nell’apposita sezione di elearning e dalla lettura dell’articolo La valutazione e
l’intervento con D.: disabilità intellettiva o disturbo generalizzato dell’apprendimento?
Una diagnosi di disabilità intellettiva, secondo il DSM-V, richiede tre condizioni: QI < 70, deficit
nel funzionamento adattivo e esordio in età evolutiva. È fondamentale innanzitutto definire il
concetto di QI. Tradizionalmente vi è una distinzione tra autori che riconoscono un fattore
generale, unico buon indicatore dell’intelligenza, e autori che individuano gruppi di fattori
sottostanti ad abilità specifiche che incidono sulla capacità intellettiva. Questa seconda ipotesi
sembra essere supportata da studi di neuroscienze che mostrano una correlazione tra QI e la rete
fronto-parietale, la quale funge da supporto a qualsiasi processo cognitivo complesso, in cui sono
quindi implicate diverse funzioni cognitive, esecutive, emotive, senso-motorie e mnestiche. Infine
alcuni autori distinguono un’intelligenza fluida (ragionamento astratto e risoluzione di problemi)
da un’intelligenza cristallizzata (apprendimento di nozioni e concetti). Test di misurazione del QI,
come il più utilizzato WISC, richiedono per lo più il recupero di conoscenze, ma l’efficienza
cognitiva richiede funzioni come controllo esecutivo, inibizione, switching e memoria di lavoro,
che prescindono dal QI, ma che sono ugualmente essenziali all’apprendimento. Questo è stato
dimostrato nel caso di D., il quale attraverso interventi mirati al potenziamento dell’attenzione,
delle funzioni esecutive e della memoria di lavoro, ha raggiunto risultati nella media o lievemente
inferiori alla media in diverse funzioni cognitive, dimostrando quindi una buona modificabilità
cognitiva, nonostante il punteggio di QI sia rimasto nella fascia della disabilità intellettiva lieve.
Queste questioni hanno importanti implicazioni anche sul fronte etico: parlare di deficit intellettivo
rimanda ad un’idea di dotazione genetica e quindi ad una struttura non modificabile, mentre il
riferimento ad un disturbo generalizzato dell’apprendimento sposta l’attenzione sulla possibilità di
intervento su specifiche funzioni. A questo proposito appare del tutto giustificato il disappunto del
padre di D. quando, a seguito della menzione di “ritardo mentale” in sede di GLH, gli insegnanti
del figlio hanno iniziato ad assumere un atteggiamento di sfiducia rispetto alle potenzialità del
bambino. Inoltre focalizzarsi su un’ottica di intervento concerne anche il dare valore all’ambiente
di vita della persona: è stato infatti dimostrato che un contesto ricco di stimoli porta allo sviluppo
di formazioni dendritiche e di connessioni neuronali. E torna qui l’evidente rilevanza delle
questioni etiche precedentemente discusse: dei genitori depressi dalle “incapacità” del figlio
contribuiscono ad una scarsa propensione ai rapporti sociali e un bambino abituato a considerarsi
“non intelligente” tenderà a proteggersi dalle novità e a rifugiarsi in rassicuranti routines. Questo è
stato osservato anche in D. il quale, nonostante i miglioramenti ottenuti nel tempo, davanti ad una
difficoltà non riesce a pensare di dover ancora imparare, ma continua ad affermare di non essere
intelligente. È quindi fondamentale fare attenzione quando si attribuiscono etichette come quella di
“disabilità intellettiva”.
Considerate il dialogo valutatorebambino analizzato in aula (in cui D. racconta di alcune situazioni difficili vissute agli scout).
• Con quali parole D. identifica le sue emozioni?
L’emozione che maggiormente emerge nel racconto di D. è la frustrazione per non essere