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J
di diffusione :
1 dM kg
( )
J = A dt 2
m ∗s
Se il valore di J è costante, la diffusione si dice stazionaria. In tal caso il
flusso di diffusione è proporzionale al gradiente di concentrazione mediante
la PRIMA LEGGE DI FICK:
dC
J =−D dx
D: coefficiente di diffusione.
Il gradiente di concentrazione è proprio la forza trainante della diffusione
stazionaria. Il segno meno è dovuto al fatto la diffusione procede in senso
contrario all’aumento del gradiente di concentrazione: gli atomi diffondono da
dove sono più concentrati a dove lo sono di meno.
Un esempio di diffusione stazionaria è la purificazione del gas idrogeno da
altre specie in esso presenti: il gas idrogeno diffonde attraverso una lastra
metallica grazie alle sue piccole dimensioni mentre le specie estranee non
riescono a passare. Affinché il processo funzioni è necessario che sia
mantenuto un gradiente opportuno tra le due facce della lastra.
8. Temperatura di transizione vetrosa.
In un materiale amorfo come il vetro, ottenuto per progressivo irrigidimento di
un liquido che non ha cristallizzato durante il raffreddamento, il passaggio
dalla fase solida a quella liquida non avviene a temperatura costante come
accadeva nei solidi cristallini, bensì avviene in modo graduale entro un
intervallo di temperature. Il continuo aumento della temperatura porta a una
progressiva diminuzione della viscosità che determina uno scorrimento dei
piani. 4
Si supponga di avere un cristallo che viene riscaldato fino ad
arrivare a fusione, processo che avviene a temperatura costante, e
di ottenere così un liquido. Nel caso si consideri un vetro si nota che la
spezzata appena descritta non può essere ripercorsa in senso opposto. Al
diminuire della temperatura diminuisce anche il volume specifico, anche
superata la temperatura di cristallizzazione, dopodiché l’aumento della
viscosità provoca un impedimento alla mobilità strutturale e la contrazione del
volume specifico subisce un rallentamento. Intercettando le spezzate ED ed
AC si ottiene un valore di temperatura detta temperatura di transizione
vetrosa.
In realtà è più corretto definire la temperatura di transizione vetrosa come un
intervallo di temperature in quando il suo valore varia in funzione della
velocità di raffreddamento. In conclusione, tale temperatura descrive
l’intervallo entro cui avviene la transizione solido-liquida in un materiale
amorfo.
11. Definire la resilienza e le prove che si effettuano per misurarla.
La resilienza è la misura della resistenza agli urti e può essere associata alla
tenacità, ovvero alla quantità di energia che può essere assorbita da un
materiale prima di giungere a rottura. Questa viene misurata utilizzando il
Pendolo di Charpy: un provino standardizzato (per confrontarlo con provini di
altri materiali) e su cui è stato praticato un intaglio (per individuare il punto di
rottura) viene colpito e rotto da una mazza battente inizialmente all’altezza H.
La mazza, dopo aver rotto il provino, procede il cammino fino a un’altezza h
che dipende dall’energia assorbita dal provino prima di arrivare a rottura. Per
provini che assorbono più energia infatti, la mazza battente raggiunge
un’altezza h inferiore. E’ inoltre possibile condurre la prova a temperature
diverse per individuare il punto di transizione duttile-fragile di un materiale.
Per molti materiali infatti la fragilità aumenta al diminuire della temperatura:
struttura CFC deformazione plastica anche a basse temperature;
• struttura CCC fragile a diminuire temperatura (movimento dislocazioni
• impedito). 5
12. Cementazione solida e conseguenze.
La cementazione è un tipo di trattamento superficiale che viene svolto per
migliorare la resistenza a fatica e alla corrosione di un componente
mantenendo una buona tenacità nel cuore. Prevede la diffusione di carbonio
secondo le leggi di Fick negli strati superficiali e per questo motivo viene
effettuato su acciai a basso tenore di carbonio. Nella cementazione solida, il
solido di partenza è il carbone di legna da cui si ottiene il carbonio da far
diffondere e la temperatura a cui si svolge la reazione è di circa 900°C. La
reazione che permette di ottenere il carbonio è:
2CO →C O
+C 2
Dove il monossido di carbonio CO viene formato grazie all’utilizzo di
particolari attivatori quali il carbonato di bario:
BaC 0 C → BaO+ 2CO
+
3
L’anidride carbonica prodotta dalla reazione di cementazione viene poi
BaC 0
BaO
consumata dall’ossido di bario ( ) per dare carbonato di bario ( )
3
e quindi la reazione si autosostiene:
C O → BaC O
+BaO
2 3
13. Curva di isteresi.
La curva di isteresi descrive la magnetizzazione e la smagnetizzazione di un
materiale ferromagnetico in un piano che ha B in ordinata e H in ascissa.
Quando il materiale viene sottoposto a un campo magnetico esterno H, i
domini magnetici che hanno orientazione più vicina a quella del campo
esterno crescono a spese di quelli che invece hanno direzione differente e se
l’energia è sufficientemente elevata, i bordi di dominio si muovo e ruotano per
raggiungere la direzione ottimale con il campo H. Si crea così un campo
magnetico proprio del materiale che rafforza il campo magnetico esterno. Al
termine della magnetizzazione si raggiunge un valore di plateau e un ulteriore
6
incremento di H non porta aumento del campo del materiale. Se si vuole
procedere con la smagnetizzazione non è possibile ripercorrere la curva
iniziale: è necessario diminuire il campo H ma si noti che quando H = 0, B
non è nullo e rimane quindi una magnetizzazione residua. Nel caso in cui si
volesse azzerare la magnetizzazione bisogna invertire H (H < 0) fino a che B
= 0, punto in cui si presentano forze coercitive. Diminuendo ancora H è
possibile portare la magnetizzazione a un valore negativo e aumenta
nuovamente H si può raggiungere di nuovo il plateau ma si noti che quando
H = 0 la magnetizzazione non è mai nulla.
L’area del ciclo di isteresi è indice dell’energia dissipata per magnetizzare e
smagnetizzare il materiale ferromagnetico e permette di dividere i magneti in
due categorie:
magneti dolci: cicli di isteresi ristretti, basse forze coercitive;
• magneti duri: ampi cicli di isteresi, alte forze coercitive.
•
15. Semiconduttori estrinseci di tipo N.
I semiconduttori si definiscono estrinseci se vengono drogati con
un’impurezza, detta appunto drogante, che contiene un elettrone di valenza
in più o in meno rispetto a quelli dell’elemento del reticolo ospitante, in modo
da aggiungere una banda energetica che diminuisca il GAP tra banda di
valenza e banda di conduzione. Nei conduttori estrinseci di tipo N viene
aggiunto un drogante, ad esempio il fosforo P (pentavalente) che possiede un
elettrone in più del silicio Si (tetravalente) e la cui banda ha energia subito
inferiore a quella della banda di conduzione. In tal modo 4 elettroni del P
formano 4 legami con gli atomi adiacenti mentre il quinto viene delocalizzato
e grazie all’agitazione termica a temperatura ambiente può raggiungere la
banda di conduzione. L’impurezza è detta “donatore” proprio perché cede un
elettrone al reticolo.
17. Definire e spiegare il ruolo degli ossidi formatori, modificatori ed
intermedi nei vetri.
Gli ossidi sono delle sostante vetrificabili, ovvero delle sostanze che se
rispettano alcune condizioni di vetrificabilità dettate dalle teorie strutturali
sono in grado di dar vita a dei vetri. In particolare a seconda degli ossidi si
possono classificare diversi tipi di vetri. 7
Si O
Gli ossidi formatori di reticolo, ad esempio sono degli ossidi che sono
2
in grado di dare origine a dei vetri anche da soli. La struttura più comune è
−¿ ¿
quella che si trova nel vetro di silice, formata da unità tetraedriche in
Si O 4
cui ogni atomo di silicio si trova al centro di un tetraedro ai cui vertici sono
disposti 4 atomi di ossigeno. Ogni vertice è condiviso con un altro tetraedro
così che ogni ossigeno è legato a due atomi di silicio e per questo motivo
viene detto ossigeno pontante. Poiché i vetri non possiedono ordine a lungo
raggio, gli angoli di legame tra i tetraedri sono variabili e quindi i legami stessi
possiedono forze diverse da punto a punto. Questo spiega l’assenza di un
punto di fusione netto. ZnO
Gli ossidi modificatori, come non sono invece in grado di dare dei vetri
ma possono essere incorporati in un vetro per modificarne la struttura. In
particolare i rispettivi ioni ossigeno interrompono la struttura e permettono ai
cationi dell’ossido di occuparne le cavità.
Al O
Gli ossidi intermedi, come l’allumina , sono anch’essi incapaci di dare
2 3
da soli dei vetri ma possono far parte di un reticolo a base di ossido formatore
3+¿
sostituendosi ad esso. L’allumina che possiede un catione trivalente ¿
Al
può coordinare 4 atomi di ossigeno dando vita a una struttura tetraedrica che
4 +¿
può sostituirsi a quella della silice. Poiché il silicio è però quadrivalente
¿
Si
mentre l’alluminio è trivalente, è necessario un catione in più che bilanci la
carica negativa dell’ossigeno pontante rimasto e che può essere preso da
una cavità contigua.
18. Polimerizzazione per addizione e per condensazione.
Un polimero può essere sintetizzato per addizione o per policondensazione
(prendono il nome dalle rispettive reazioni).
Nell’addizione è necessario l’utilizzo di monomeri che presentano almeno
un’insaturazione (doppio legame). Alcuni iniziatori (cationi, radicali liberi,
ecc..) rompono il doppio legame che genera un nuovo radicale lasciando
libero un sito di reazione a cui può legarsi un altro monomero: la reazione si
propaga e i siti che si concatenano portano alla formazione del polimero. 8
Quando il peso molecolare raggiunto è sufficiente, si utilizzano dei reagenti
per saturare il sito di reazione e bloccare l’accrescimento. L’addizione è la
tecnica utilizzata per la sintesi dei termoplastici.
Nella polimerizzazione per condensazione, invece, due monomeri che
contengono almeno 2 gruppi funzionali si uniscono per dare un legame
covalente con eliminazione di una molecola a basso peso molecolare.
Monomeri con 2 gruppi funzionali termoplastici;
• Monomeri con più di 2 gruppi funzionali termoindurenti.