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II.

Come emerge dalla precedente analisi, con la realizzazione dell'unità italiana si

intendeva integrare il paese nel più ampio contesto economico europeo ignorando

quella che attualmente identifichiamo come “socializzazione delle perdite”: ma,

nonostante la storia continui, oggi ci ritroviamo sostanzialmente nelle

medesime contraddizioni di allora. È così che emerge, all’interno di una crisi sistemica

mondiale dal carattere di irreversibilità, solamente un “Welfare dei miserabili”, nuova

povertà, miseria, disoccupazione, precarietà, lavoro nero o sottopagato e

annullamento totale o parziale dei diritti sindacali acquisiti. D'altro canto non c’è da

meravigliarsi che non sia cambiato molto negli ultimi decenni, data la strada

paradossale percorsa dal paese per quanto concerne la costruzione del proprio

sistema industriale. Ricordiamo, di fatto, come nel novero dei paesi usciti sconfitti

dalla seconda guerra mondiale vi fossero altresì la Germania ed il Giappone: i suddetti,

anteticamente all'Italia, guidati da borghesie lungimiranti, cercarono di rilanciare gli

investimenti, divenendo paesi esportatori, in modo da ottenere fette di mercato che

non vedevano la competizione di un paese fortemente importatore quale gli Stati

Uniti, e creando un'industria forte e di qualità. Se essi avevano rivolto lo sguardo

all'orizzonte, l'Italia invece non fu tanto lungimirante, riponendo tutta la propria

fiducia nel fatto che vi potesse essere lo Stato a finanziare i profitti. Nacquero così

imprese che pur rimanendo private risultavano essere completamente assistite,

sostenute dal capitale pubblico, come per quanto concerne il settore automobilistico.

Si trattava di uno Stato finanziatore di privati mediante politiche di defiscalizzazione

oppure mediante l'applicazione di tassi d'interesse agevolati e imposte molto più

basse rispetto alle piccole-medie imprese. Essenzialmente, negli ultimi vent'anni, la

borghesia italiana è stata una classe dominante, sovente collusa con il potere politico,

ma mai dirigente. Quanto designato si inserisce nel più ampio contesto della

costruzione dell'Unione Europea, avvenuta in funzione del processo di

industrializzazione della Germania, in modo da sostenere la necessità competitiva di

quest’ultima nei confronti degli Stati Uniti: tuttavia, essa ha inciso particolarmente in

Italia, non solo poiché la nuova moneta introdotta non era stata soppesata, in termini

di tassi di cambio, in funzione della ricchezza del paese causando un'elevata inflazione

5

e disagio sociale; ma altresì poiché recentemente ha imposto ai cosiddetti PIIGS

programmi di aggiustamento strutturale i quali risultano avere quale unico obiettivo

quello di salvaguardare le banche, le imprese private e il mercato, ricorrendo ad un

indebitamento pubblico sempre crescente ed una privatizzazione dei servizi pubblici.

Non è così un caso che gli attuali criteri di stabilità facciano riferimento al deficit

fiscale, al debito pubblico, all'inflazione e ai tassi di interesse, ovvero tutte variabili

che devono essere tenute sotto controllo per favorire le esportazioni. Evidentemente

ci si confronta con un modello statunitense che, effettivamente, non sarebbe

opportuno emulare. Ricordiamo come alla nascita dell’euro l’area del dollaro temeva

che questo divenisse una strumento di riserva internazionale e potesse sostituirlo,

motivo per cui gli USA giunsero ad effettuare vari attacchi speculativi nei propri

confronti. Nonostante tale ultimo paese sia tutt’oggi estremamente indebitato, ha

sempre potuto permettersi un'economia incentrata sull'importazione e la stabilità dei

prezzi semplicemente poiché ha dominato il mercato internazionale sin dalla chiusura

unilaterale degli accordi di Bretton Woods nel ’71, allorché battendo più moneta della

propria ricchezza effettiva non è mai giunto in condizioni di default. Ricordiamo inoltre

come esso impose altresì una dollarizzazione del mercato del petrolio, cosicché da

allora fu possibile acquistare barili di petrolio unicamente in dollari: dunque, gli altri

paesi, incapaci di reagire, si trovarono costretti a comprare titoli del debito pubblico

statunitense affinché potessero disporre di dollari per acquistare petrolio alla scadenza

dei titoli. Attualmente gli Stati Uniti possiedono la capacità di attrarre gran parte del

capitale depositato in fondi pensione e fondi di investimento nei propri mercati,

finanziando ulteriormente in tal modo il deficit in materia di transazioni reali con un

surplus di capitale finanziario. Così, mantengono i propri tassi di interesse superiori

5 Con l'acronimo PIIGS ci si riferisce ai paesi europei con un debito pubblico divenuto

insostenibile. Si tratta di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna.

rispetto a quelli dell'Unione Europea in modo tale da attrarre il capitale finanziario

europeo, che paradossalmente in precedenza era stato visto come rivale e dunque

combattuto, ma che ora risulta funzionale alla propria “ipertrofia finanziaria” in quanto

incrementa ancor più la domanda di dollari rispetto a quella di euro. A tal punto

sarebbe lecito domandarsi come risponda l’euro dinanzi a tale situazione. Di fatto, si

ricorre ad una politica monetaristica restrittiva, anziché espansiva la quale risponde ai

criteri del trattato di Maastricht: ad ogni buon conto è opportuno considerare che si

tratta di scelte le quali non sono affatto volte al sostegno della domanda, bensì

cercano di abbassare i costi di produzione, provocando conseguentemente un sempre

crescente disagio sociale, nuove sacche di povertà, disoccupazione e sfruttamento, in

una società in cui si rompe definitivamente l'aspirazione alla relazione e al divenire

altro da parte dei soggetti più umili. Eppure la Banca Centrale Europea continua a

richiedere che vengano ridotti costantemente debiti e deficit, risanando tutti i bilanci

pubblici. Ciò è imposto ai paesi membri fissando il rapporto debito pubblico-pil al

60%, il rapporto di deficit al 3% ed un tasso di inflazione che sia compatibile con i

programmi dell’Unione europea. Tuttavia, inevitabilmente quanto designato porta ad

un rallentamento della crescita economica nell’intera unione, così come ad un taglio

dei salari diretti, indiretti e differiti, precarietà e disoccupazione strutturale; al

contempo la crisi del debito sovrano comporta una minore attrattività negli

investimenti esteri ed una minore competitività dell’Europa in generale rispetto alle

altre potenze mondiali. Inoltre, se da un lato gli Usa impongono riforme interne di

ristrutturazione mediante la liberalizzazione del mercato, la deregolamentazione dello

stesso, un’estrema privatizzazione, la quale tange persino la sanità ed in cui lo Stato

non ha più alcun ruolo, così come rimuovono ogni rigidità del lavoro, allorché i salari

oscillano in base agli interessi delle aziende, senza alcuna protezione sociale, dall'altro

assurdamente l’Unione europea (pur non reggendo la competitività internazionale)

accetta tali regole statunitensi; si ritiene piuttosto che essa dovrebbe combattere tale

modello importatore e di libertà di movimento monetario, invece di ricorrere alle

medesime politiche restrittive ed abbattere lo stato sociale. È evidente pertanto come

la principale contraddizione dell'Europa sia il fatto che un paese fortemente

esportatore come la Germania sia ostacolato dalle politiche restrittive imposte dalla

BCE. In tale contesto sono PIIGS, i paesi del Sud a dover sostenere e garantire le

esportazioni della Germania, laddove le politiche restrittive qui applicate portano

solamente ad una difficoltà nell'acquistare i prodotti esportati dalla Germania nel

mercato interno europeo, in virtù di un diminuito potere d'acquisto, minori redditi e

salari.

I keynesiani continuano a rifuggere la propria speranza di un miglioramento in

proposte espansive, di incentivo della domanda, in modo che essa possa ripartire: ad

ogni buon conto bisogna considerare che ai giorni d'oggi tali politiche non risultano più

essere efficaci, giacché non vi è più uno stato interventista e occupatore come negli

anni ‘70-'80. Di fatto, con il consolidamento delle politiche neoliberiste, lo stato sociale

si è trasformato progressivamente in uno Stato-impresa, divenendo funzionale agli

interessi dell'impresa e assumendo come centrale la logica del mercato, del profitto,

dell'accumulazione flessibile e trasformando i diritti sociali in mere elargizioni di

beneficenza, mediante l'applicazione altresì di una comunicazione deviante. Si assiste,

come logica conseguenza, ad una contrazione del Welfare, con riduzioni del salario

diretto, indiretto e differito ed una flessibilizzazione e privatizzazione del Welfare,

come nel caso della cessione a organismi privati della fornitura di servizi essenziali,

rimpiazzando il servizio pubblico con quello privato e realizzando appieno il cosiddetto

Profit State. È evidente come non sia possibile rafforzare l’economia pubblica qualora il

finanziamento continui a seguire linee di credito e flussi finanziari privati . Dunque, se

il capitalismo riformato sembra essere l’unica alternativa esso si configura pressoché

come un aggiustamento al ribasso, giacché non sono possibili riforme in tale momento

in quanto non vi è più ricchezza reale da ridistribuire: il valore aggiunto va verso le

privatizzazioni, verso un’economia finanziaria la quale però non contribuisce alla

creazione di ricchezza reale in quanto si tratta di un gioco “a somma zero”. In tempi di

crisi si rivela pertanto necessario un controllo sui settori strategici ed in particolare su

quello energetico, dei trasporti, le telecomunicazioni e una parte del settore bancario:

stiamo parlando di rilanciare il settore pubblico, di nazionalizzare le banche e creare

un nuovo impiego pubblico per la popolazione in modo da socializzare la ricchezza

creata . Tutto ciò ovviamente non è sufficiente, ma comunque necessario per

cominciare una nuova fase in cui sia la politica a dettare le regole dell'economia e non

viceversa: deve essere la necessità del paese a guidare l’economia e non il vincolo del

patto di stabilità. Tuttavia bisogna osservare come tale nuova fase debba andare ben

oltre la redistribuzione dei redditi e la garanzia di una protezione sociale, giacché il

mercato non deve essere abolito bensì le scelte di rischio del suddetto devono essere

affiancate da regole di pianificazione economica. È necessario, dunque, un programma

di politica economica di rottura poich&e

Dettagli
A.A. 2018-2019
8 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/02 Politica economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pallocchia.mary di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Politica economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Vasapollo Luciano.