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Vittorio Alfieri nacque ad Asti nel 1849 da una famiglia nobile. Considerato il maggiore poeta tragico del 700, la sua formazione è
riportata nell'autobiografia "Vita", cominciata intorno al 1790. Dal 1758 al 1766 frequentò l'Accademia militare di Torino. Al termine
degli studi venne nominato alfiere dell'esercito. Cominciò una lunga serie di viaggi, visitò l'Italia, l'Inghilterra, la Francia, la Prussia, e
perfino la Scandinavia. Nel 1775, dopo dieci anni, tornò a Torino, completò una prima tragedia, "Cleopatra", e si dedicò allo studio.
Il successo di "Cleopatra" lo spronò, negli anni successivi compose le maggiori tragedie: "Antigone", "Filippo", "Oreste", "Saul" e
"Mirra" tra le altre. Nel 1777 conobbe la contessa Luisa Stolberg, moglie del pretendente al trono d'Inghilterra. Nacque un rapporto
che Alfieri mantenne sino alla morte e che mise fine alle sue inquietudini amorose. L'anno successivo si trasferì a Firenze, poi a
Siena, per apprendere il toscano. Gli anni dal 1775 al 1790 furono molto operosi, oltre alle tragedie compose trattati ("Della
tirannide " e "Del principe e delle lettere") e gran parte delle "Rime". Nel 1783, Alfieri fu accolto all'Accademia dell'Arcadia col nome
di Filacrio Eratrastico. Nel 1785 portò a termine le tragedie Bruto primo e Bruto secondo. Nel 1789, Alfieri e la sua compagna furono
testimoni oculari dei moti rivoluzionari di Parigi. Tra il 1792 e il 1796 Alfieri, a Firenze, si concentrò totalmente allo studio dei classici
greci traducendo Euripide, Sofocle, Eschilo, Aristofane. Proprio da queste ispirazioni nel 1798 nacque l'ultima tragedia alfieriana,
“l'Alceste seconda”. Si dedicò anche alla composizione delle "Satire", di sei commedie e della seconda parte della "Vita". Nel 1803, a
soli cinquantaquattro anni, morì, assistito sempre dalla Stolberg. La salma riposa nella chiesa di Santa Croce a Firenze.
La Poetica
Il Settecento fu prodigo di tragedie. L'interesse per il genere era nato dall'influenza del teatro francese (Racine, Corneille), che era così forte da condizionare non solo la scelta degli argomenti (i
sentimenti, l'amore ecc.) ma persino il metro con cui trattarli. I commediografi italiani si erano orientati, cercando di emulare i francesi, verso argomenti greco-latini, ebraici, orientali (come avveniva
del resto per il melodramma). L'Alfieri non fece che porsi in questa corrente apportandovi un originale contributo (non però su quello formale, perché qui si attenne al rispetto delle unità
aristoteliche di luogo e tempo). Dotato di un fortissimo senso della libertà e insofferente a ogni tirannide, sia pubblica che privata, egli infatti concepì il teatro come mezzo di educazione civile e
politica e l'artista come "sacerdote dell'umanità". Convinto che la storia sia maestra di vita, portò sulla scena i grandi personaggi, quelli secondo lui più adatti a suscitare l'amore per la libertà e
l'odio contro la tirannide: Saul, Mirra, Polenice, Antigone, Virginia, Agamennone, Oreste, Sofonisba, Filippo, Rosmunda, Maria Stuarda ecc. Tutti personaggi che mostravano d'avere un'altissima
umanità, ma che, in definitiva, risultavano troppo perfetti per permettere allo spettatore una vera immedesimazione. Il protagonista principale delle sue tragedie era sempre il singolo eroe che, con
coraggio e abnegazione, cercava di opporsi alla tirannia del potente (re, principe o imperatore). Ciò che più aveva condizionato la concezione "liberal-anarchica" dell'Alfieri fu il fatto ch'egli, pur
avendo rinunciato agli ideali aristocratici, non rinunciò mai allo stile di vita aristocratico (per molto tempo condusse una vita errabonda, frenetica, in parte dissoluta). In qualunque paese europeo
andasse l'Alfieri guardava la situazione politica con gli occhi dell'intellettuale isolato, e quella sociale con gli occhi dell'aristocratico che da parte delle masse popolari non sperava in una decisa
posizione antigovernativa. Quando infatti i suoi ideali giacobini-rivoluzionari si trovarono realizzati nella Rivoluzione francese, la sua reazione alla necessità della dittatura politica, fu decisamente
negativa. Alfieri non era contro una particolare forma di governo, ma contro tutte, poiché là dove esisteva un "potere", per lui vi era anche ingiustizia e oppressione. Per la formazione culturale di
stampo enciclopedico, per l'interesse per lo studio dell'uomo, per la concezione meccanicistica del mondo, per l'anelito alla libertà, per l'odio verso la tirannide, per la concezione della letteratura
intesa come illuminatrice delle coscienze ed apportatrice di progresso sociale e civile, Alfieri si collega all'illuminismo, mentre, per la disposizione emotiva ed intellettuale con la quale accoglie tali
presupposti, l'astigiano si avvicina al Romanticismo. Alfieri è l'anello di congiunzione fra l'epoca dell'assolutismo illuminato dalla cultura e dalla razionalità delle riforme e la lotta aperta per la libertà,
intesa sia come interiore affermazione dell'individualità, sia in chiave politica (tutto il romanticismo italiano fu legato al risorgimento). Lo spirito d'indipendenza differenzia Alfieri dagli illuministi,
disposti a collaborare (Parini, Verri , Beccarla, Voltaire) con il despota illuminato (Federico di Prussia, Caterina II di Russia, Maria Teresa d'Austria) o ad esporre le proprie dottrine nei salotti,
atteggiamenti che lo scrittore giudica compromessi umilianti, non ammettendo discrepanze tra situazione esistenziale ed insegnamento politico, etico e letterario. D'altronde Alfieri è
protoromantico anche nel trascorrere la vita nell'ansiosa ricerca dell'autonomia etico - psicologica e nel negare la dicotomia settecentesca fra vita e letteratura, nel nome di una superiore coerenza
(rifiuto della collaborazione tra intellettuali e potere).