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INDICE
o Premessa ……………………………………………………………………………………… pag. 2-3
o Introduzione ………………………………………………………………………………… pag. 4
o Il “ritratto del dolore” …………………………………………………………………… pag. 5-10
o La Maestà umana e divina …………………………………………………………….. pag. 11-13
o Conclusione …………………………………………………………………………………… pag. 14
o Bibliografia e sitografia ………………………………………………………………… pag. 15
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PREMESSA
La raffigurazione del martirio di Cristo si diffonde nell’iconografia ufficiale orientale e occidentale a
partire dal VI secolo: il corpo di Cristo è rappresentato per intero, inchiodato alla croce ma
trionfante. L’iconografia del Christus triumphans rappresenta un Cristo vincitore sulla morte,
ieratico, senza alcun segno di sofferenza, con lo sguardo rivolto al fedele, la cui funzione è quella di
proclamare la divinità di Gesù. Il fondo oro rappresenta la pura luce che annulla lo spazio
proiettando la scena in un mondo ultraterreno, oltre che la regalità di Cristo.
Parallelamente, l’iconografia mariana di stile bizantino, pur diversificandosi in vari tipologie,
risponde agli stessi criteri compositivi e pittorici di cui abbiamo parlato per il Cristo. Le
rappresentazioni più ricorrenti sono la Vergine in trono in posizione frontale con il Bambino,
prototipo recuperato, poi, per la composizione delle Maestà, e la Vergine a mezzo busto con il
Bambino in braccio, spesso all’interno di una mandorla sostenuta dagli angeli, reiterata in molti
codici miniati medievali.
In Italia, durante la prima metà del XIII secolo, l’arte segue questo stile bizantino. La nascita degli
ordini mendicanti nel primo XIII secolo, lo sviluppo della devozione popolare, il risveglio della
spiritualità laica contribuiscono a modificare l’iconografia religiosa antica in favore di un maggiore
naturalismo delle figure. Lo stile inizia a cambiare nell’Italia centrale, tra l’Umbria e la Toscana, e il
primo esponente che risponde al mutato clima culturale e artistico è Giunta Pisano.
Pittore documentato a Pisa, di Giunta Pisano conosciamo quattro croci dipinte e firmate: tra
queste, il Crocifisso della Basilica di San Domenico a Bologna. In quest’opera si nota una variazione
dall’iconografia antica: il nuovo Cristo di Giunta Pisano ha gli occhi chiusi, il capo reclinato, le
gambe flesse. E’ questa la prima croce in Italia in cui compare l’immagine del Christus patiens.
Questa umanizzazione dei personaggi religiosi è uno degli aspetti principali e tipici della nuova arte
italiana: il forte schematismo, rigido e frontale, dello stile bizantino scompare quasi totalmente
per lasciare posto all’elemento patetico.
I modi tardo-bizantini di Giunta Pisano furono proprio il punto di partenza dell’evoluzione stilistica
intrapresa da Cimabue. Questo legame con il mondo orientale si legge, ad esempio, nel primo
Crocifisso di Cimabue, conservato nella chiesa di San Domenico ad Arezzo: la muscolatura ancora
tripartita, le mani appiattite, i panneggi elementari e privi di morbidezza denotano una certa
aderenza al modello bizantino. Ma la pittura del maestro fiorentino se ne distaccò per due
parametri fondamentali: la maggiore resa volumetrica delle figure attraverso un chiaroscuro di
grande forza plastica e la ricerca di una umanizzazione delle figure che rompe definitivamente con
la ieraticità delle immagini bizantine. 2
L’attenzione alla realtà che caratterizzava l’opera di Cimabue prosegue e si realizza superbamente
nel suo allievo e maestro Giotto, ricordato anche da Boccaccio nel Decameron come colui che
“ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa dà la natura che egli con lo stile e con la
penna e col pennello non dipingesse sì simile, anzi piuttosto dessa paresse”. Giotto cercò di
rendere l'umanità dei personaggi sacri, con espressioni drammatiche; dette vita a uno spazio
credibile all'interno del quale si muovono persone vere, dai visi in tensione, in pose non più solo
ascetiche e contemplative, ma anche colte nei momenti culminanti dell'azione. Anche le Madonne
con Bambino non guardano più davanti a sé come nelle icone bizantine, ma si rivolgono al
Bambino in un gioco di sguardi che coinvolge lo spettatore all’interno di una sfera affettiva. La sua
interpretazione della realtà e della natura umana ci porteranno verso quello che sarà
l’Umanesimo. 3
INTRODUZIONE
Come suggerito dal titolo, la relazione tratterà il processo di umanizzazione delle figure a partire
dall’abbandono dello stile bizantino fino alla sperimentazione di nuove costruzioni e nuove
iconografie. Il cambiamento sarà analizzato limitatamente all’area geografica racchiusa tra Umbria
e Toscana e ai temi iconografici religiosi del Crocefisso e della Maestà.
La visione diretta delle opere nei musei e l’interesse personale per l’arte nella sua varietà scaturita
nei miei studi precedenti e approfondita nei corsi universitari mi hanno spinta ad analizzare un
particolare tema iconografico, quello del crocefisso, attraverso i suoi più grandi esponenti quali
Cimabue e Giotto. L’indagine prevede una contestualizzazione storica a integrazione dell’analisi
prettamente stilistica delle opere. L’analisi sarà correlata da una documentazione iconografica
ricca e dettagliata. 4
Figura 1 Giunta Pisano, Crocifisso, 1240 circa, tempera su tavola,
Bologna, Basilica di San Domenico
Figura 2 Cimabue, Crocefisso, ante 1272, Arezzo, chiesa di San
Domenico 5
IL “RITRATTO” DEL DOLORE
Dall’adesione ai modi ancora tipicamente bizantini del Crocefisso di Giunto Pisano e ai quali
partecipa tutta l’Italia della prima metà del Duecento, scaturisce l’opera più antica di Cimabue: il
Crocefisso dipinto per la chiesa di San Domenico ad Arezzo. Le due croci che abbiamo nominato
risultano, di fatto, molto simili tra loro sebbene non manchino, nell’opera di Cimabue, elementi di
novità in quanto a ricerca del vero di natura: la posa di Gesù è elegante, non ancora volumetrica
ma staccata dimensionalmente dalla tavola grazie a una stesura del colore sottile e morbida; la
muscolatura è “geometrica”, accentuata dalla linea di contorno e dal chiaroscuro netto che ne
suggeriscono la volumetria; il volto è dolce, reso maggiormente realistico dalla smorfia di dolore.
Figura 3 Cimabue, Crocefisso, particolare,
1272, Arezzo, chiesa di San Domenico
La partecipazione al cantiere assisiale e l’esperienza pittorica a fianco di Duccio da Buoninsegna e
dell’allievo Giotto si riflettono nel capolavoro del Crocefisso di Santa Croce a Firenze che Cimabue
esegue un decennio dopo il precedente di Arezzo. Qui, la figura di Cristo acquista plasticità, si
abbandona la linea di contorno e il chiaroscuro si ammorbidisce con il risultato di una volumetria
più veritiera sia nella muscolatura dell’addome che nelle trasparenze del perizoma. La curvatura
del corpo si accentua fino a toccare il bordo della tavola per dare più drammaticità al momento
rappresentato e per dare al corpo più risalto volumetrico.
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Figura 4 Cimabue, Crocefisso, 1280 ca., Firenze, chiesa di Santa Croce
Figura 5 Cimabue, Crocefisso, particolare, 1280 ca., Firenze, chiesa di Santa Croce
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Mosso dalla competenza e dall’intuizione di Cimabue, che si avvia a rendere più dinamica
l’immagine, Giotto accoglie il dato orientale dell’icona e lo sviluppa: l’icona diventa figura. Il corpo
assume, quindi, una sua dimensione tridimensionale e una sua dinamicità, sì da collocare la
narrazione biblica nel presente, come un fatto vivo, reale. I suoi corpi sono veri, umani, grazie alla
cromia si distinguono gli organi e l’ossatura, la pelle diafana si tende a modellare la muscolatura.
Il momento di vero rinnovamento della pittura italiana compiuto dal maestro possiamo ammirarlo
nel Crocefisso di Santa Maria Novella a Firenze nell’ultimo decennio del Duecento.
Figura 6 Giotto, Croce dipinta, particolare,
1290 ca, Firenze, Santa Maria Novella
Quest’opera è considerata fondamentale per la storia dell’arte italiana in quanto rinnova la
recente iconografia del Christus patiens introdotta da Giunta Pisano e Ciambue nel secondo
Duecento. Per la prima volta il Cristo crocefisso è rappresentato come vero uomo a partire dalla
posizione del corpo che non è più inarcata come abbiamo visto finora in Cimabue: questa scelta
dona maggiore naturalezza alla figura del morente. Il forte pathos delle gambe piegate sotto il
peso del corpo è accentuato dai piedi uniti, bloccati da un solo chiodo e dal rivolo di sangue che
sgorga dalle membra di Gesù ricadendo sulla roccia del Golgota. Le mani non sono più aperte e
appiattite come nei precedenti esempi di Cimabue ma si abbandonano sui chiodi, semichiuse,
disegnando una spazialità del tutto nuova nella pittura Duecentesca. Anche il capo è
completamente libero nello spazio così da protendersi verso il fedele. Il ventre gonfio non è più
tripartito ma il chiaroscuro disegna una volumetria naturale che ritroviamo anche nella
muscolatura tesa delle braccia e nei fasci delle ginocchia.
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Figura 7 Giotto, Croce dipinta, 1290 ca, tempera su tavola, Firenze, Santa Maria Novella
Il secondo Crocefisso giottesco presente a Firenze, realizzato al suo ritorno dopo la fase padovana,
è nella chiesa di Ognissanti. Il dipinto raffigura il Christus patiens nella versione di una totale
umanizzazione della figura che lo stesso Giotto aveva inventato nella già esaminata Croce
giovanile di Santa Maria Novella (ca. 1285-90). Il patetismo e la drammaticità che possiamo
leggere nel volto della Madonna ammantata dipi