vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
L P B E
A ROPAGANDA ELLICA IN UROPA
In ogni guerra un ruolo fondamentale è stato svolto dai governi mediante la propaganda,
che aveva lo scopo di convincere i popoli della necessità della guerra, ma soprattutto di esor-
tare i giovani ad arruolarsi per difendere la Patria. La Prima guerra mondiale non fa eccezio-
ne. Anzi, è forse uno dei conflitti in cui la propaganda svolse un lavoro di prim’ordine.
In tutti gli stati la funzione principale della propaganda fu
quella di convincere i soldati all’arruolamento mediante gli e-
spedienti più disparati. In Inghilterra vennero stampati milioni di
poster e volantini raffiguranti il grande generale e statista britan-
“Britons,
nico Lord Kitchener, sopra la scritta Lord Kitchener
Wants You! Join your country’s army”. La stessa impostazione
sarà poi ripresa dagli americani, che sostituirono Lord Kitchener
con il ben più famoso Zio Sam.
In Italia (ma anche in Francia) si incoraggiavano invece i ci-
vili a donare i loro risparmi per il Prestito di guerra, una sorta di raccolta fondi di stam-
po volontario che doveva in teoria utilizzare il denaro raccolto
per fornire ai soldati al fronte condizioni di vita migliori.
La costante di tutte le propagande era anche la forte ten-
denza alla demonizzazione del nemico, mediante il ricorso ai
classici stereotipi delle pubblicazioni satiriche. Per quanto riguarda l’Italia sono celebri le
immagini allegoriche dell’Italia (coadiuvata da Fran-
cia e Inghilterra) che scaccia a colpi di spada
l’invasore germanico barbaro, vestito alla maniera
degli unni che distrussero l’Impero Romano. In Fran-
cia si incitava la popolazione a non lasciare ai tede-
schi la possibilità di conquistare Parigi con immagini
della città in fiamme.
La guerra assunse spesso anche la connotazione di
una crociata contro i demoni avversari, secondo la
convinzione, maturata in ogni stato che Dio fosse dalla propria parte. Numerose
sono le fibbie in cui è possibile vedere incisa la scritta
Gott Mit Uns, Dio è con noi.
Scopo molto più pratico della propaganda, in que-
sto caso strettamente legata al fenomeno della censura,
era quello di tenere il popolo non combattente all’oscuro
delle terribili condizioni di vita sofferte dai soldati che si
trovavano a combattere al fronte. Pertanto la propaganda
incitava la popolazione a denunciare chiunque potesse esse-
re sospettato di disfattismo: coloro che ritenevano la guerra
inutile, invincibile o semplicemente non erano d’accordo
con le decisioni dei “piani alti” dovevano essere denunciati
e arrestati per impedire la diffusione di opinioni antibelliche
pericolose, viste le precarie situazioni di molti degli stati
impegnati nel conflitto.
Negli ultimi periodi della guerra, soprattutto
a partire dal drammatico anno 1917, comincia-
proliferare nuove forme di “arte visuale e
no a
comunicativa”. La Russia sconvolta dalla Rivo-
luzione è costretta a ritirarsi dalla guerra, pri-
vando l’Intesa di un buon alleato sui cui i tede-
schi potevano impegnare alcune truppe, la
drammatica disfatta di Caporetto abbatte il mo-
rale delle truppe italiane; i tedeschi liberi dalla
pressione russa avanzano in territorio francese
ma si trovano a dover affrontare un nemico an-
cora più temibile della Russia, gli Stati Uniti…
lo stato d’animo dei soldati al fronte e
Sono tutti fatti che condizionano profondamente
dell’opinione pubblica. All’adozione di strategie più attente ai bisogni dei soldati al fronte
si affiancano nuovi tipi di produzione cartacea, i cosiddetti giornali di trincea. Si tratta
molto spesso di piccoli libretti con illustrazioni di carattere satirico che dovevano servire
come distrazione per i soldati al fronte e dovevano rinsaldare il loro morale anche dopo gravi sconfitte.
Ovviamente in Italia, la propaganda sfruttò in maniera molto intelligente gli errori degli austriaci. L’esecuzione di
Cesare Battisti (ad opera del boia austriaco Josef Lang) del 12 Luglio 1916 fu immortalata in svariate fotografie che
di Battisti dopo l’impiccagione e che giunsero nelle mani dei giornali italiani. Questi non si fecero
ritraevano il corpo
alcuno scrupolo e cominciarono a stampare migliaia di copie di ogni foto in cui compariva Battisti che vennero presto
diffuse ai giornali e tra la popolazione. Cesare Battisti diventava così il martire simbolo di Trento (accanto al triestino
Oberdan) e dell’irredentismo italiano l’uomo disposto a sacrificare la propria vita per un nobile scopo.
in genere,
L’intento era quello di spingere gli italiani ad identificarsi col soldato triestino, spingerli ad emulare le sue azioni e a
non temere la morte sul campo in nome di una causa superiore.
–
L S G P T ?
A CRITTURA DI UERRA ERCHÉ SI SCRIVE IN RINCEA
La storiografia degli ultimi quarant’anni ha deciso di guardare alla Prima guerra mondiale con un ottica diversa da
quanto fatto precedentemente. La storia si è sempre basata sui resoconti di fonti autorevoli quali generali, politici o let-
terati. In questo modo, però, si ignora quello che è forse l’aspetto più rilevante della Grande Guerra, ovvero
l’esperienza diretta dei soldati in trincea (o quella dei membri del cosiddetto secondo fronte), che furono gli unici, veri
partecipi del massacro che si consumò in Europa dal 1914 al 1918.
In Guerra tutti i soldati sentono il bisogno di scrivere, anche coloro che con la scrittura non avevano alcuna dime-
stichezza. Il rapporto con le famiglie e con i cari è l’unico mezzo che i soldati hanno per rimanere legati al passato, un
passato che verrebbe irrimediabilmente cancellato dalla traumatica esperienza della guerra. La scrittura di guerra di-
viene un meccanismo di difesa contro gli orrori del fronte, e si ricollega in maniera piuttosto elementare alla scrittura
degli emigranti della fine del XIX secolo, che sentivano la necessità di mantenere il contatto con le famiglie lasciate in
patria alla loro partenza. Entrambi i fenomeni, la guerra e l’emigrazione, sono fenomeni di rottura, sradicamento,
trauma e perdita di un mondo che forse non tornerà mai più. La scrittura di guerra è quella che potrebbe definirsi scrit-
tura taylorista, ovvero un meccanismo con cui il soldato cerca di opporsi al fenomeno di spersonalizzazione che ten-
de ad annullare l’individuo coinvolto in una guerra che giorno dopo giorno si rivela sempre più una carneficina insen-
sata.
L’aspetto forse più interessante dell’analisi della produzione di guerra è la difformità della scrittura popolare. È
difficile scovare due soldati che nello stesso istante provassero lo stesso sentimento, due stili identici e indistinguibili.
È proprio questa difformità la caratteristica che distingue le lettere popolari (spesso opera di analfabeti) da quelle dei
vertici dell’esercito, il cui stile è più o meno uniforme.
Nella Prima guerra mondiale la produzione epistolare raggiunse proporzioni incredibili: basti pensare che per il so-
lo fronte italiano sono state stimate oltre 4 miliardi di lettere, e solo per il fronte italiano che coinvolse un numero non
molto elevato di soldati. Si distinguono solitamente tre forme di scrittura di guerra:
I diari sono una fonte di dati incredibile perché il loro carattere estremamente personale, permetteva al redat-
tore di esprimere liberamente i propri stati d’animo, nei momenti stessi in cui essi si manifestavano. Risultano
quindi la forma più “realistica” possibile, e fu questo il motivo per cui sovente i soldati erano costretti a na-
scondere il loro diario per evitare problemi con il regime di censura che vigeva nelle comunicazioni scritte
(vedere sotto).
Gli epistolari costituiscono il corpus più massiccio della produzione di guerra e consistono spesso di lettere
e/o cartoline alla propria famiglia. Proprio in questa forma di comunicazione intervengono due fenomeni che
ebbero larga diffusione nel corso della Prima guerra mondiale: un primo fenomeno pubblico e governativo che
l’altro privato e individuale che è l’autocensura.
è la censura;
o La censura è il procedimento con cui lo Stato si impegnava a non lasciar trapelare fuori dal fronte no-
dei soldati e sull’andamento
tizie sulle reali condizioni psico-fisiche della guerra, per evitare che un
numero così sterminato di lettere potesse diffondere allarmismo e disfattismo tra la popolazione civile.
L’autocensura
o è invece un meccanismo di difesa che i soldati applicavano nello scrivere. Una difesa
non nei confronti di se stessi, ma delle proprie famiglie e dei propri cari. Se nella lettera alla famiglia
un soldato esortava i genitori a stare tranquilli dicendo di stare bene e di essere “felice”, la lettera al
parroco trasmetteva, per chi sapesse leggere fra le righe, il sentimento opposto: disperazione, disfatti-
smo e disillusione, consapevolezza di aver preso parte ad un conflitto dal quale è difficile tornare vivi.
Le Memorie, numerosissime, sono invece resoconti stesi dopo la fine della Guerra, spesso a molti anni di di-
l’importanza, è che una persona nata nel
stanza. Il problema delle memorie, che tuttavia non ne pregiudica
1893 che ha preso parte alla Prima guerra mondiale, supponiamo a partire dal 1914 a 21 anni, se decide di
scrivere le proprie memorie nel 1956 a 61 anni, sarà inevitabilmente condizionata da quei quarant’anni passati
tra il fatto e il momento della scrittura (nel caso dell’esempio anche l’aver vissuto la Seconda guerra mondiale,
che in quanto a distruzione e morte fa impallidire la Grande Guerra, indebolendone l’effetto traumatico). La
persona che scrive non è più quella che ha vissuto il fatto, per cui le memorie divengono spesso, piuttosto che
un resoconto di un evento, la spiegazione di ciò che la memoria ha rappresentato per un individuo.
L’orrore della Guerra di trincea, tuttavia, fu troppo spesso molto più opprimente di quanto la mente umana avrebbe
potuto sopportare. La violenza, la morte e la paura portarono milioni di individui allo squilibrio mentale. Sono quegli
uomini molto spesso dimenticati dalla storia, chiusi nei manicomi nel dopoguerra, che prendono il nome di scemi di
Per la prima volta, i soldati riportano cicatrici mentali e psicologiche inguaribili, che portano l’individuo ad
guerra.
isolarsi dal mondo. Allo squilibrio mentale, più o meno grave ma comunque invalidante, si accompagna spesso quello
fisico, che si manifesta con tremori diffusi, attacchi di rabbia, paranoie o comportamenti estremamente violenti. Uno
dei fattori che contribuì in maniera decisiva alla rottura dell’equilibrio mentale di molti soldati del fronte occidentale
fu la