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Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine
delle forze nel sistema, se si volesse perciò determinare la forza risultante su una palettatura
statorica o rotorica sarebbe necessario conoscere tutte le distribuzioni di pressione e di sforzi di
taglio sulla superficie della palettatura (mediante integrazione si ricava la risultante).
Questo approccio fornisce un risultato esatto ma non è immediato conoscere la distribuzione delle
pressioni e degli sforzi di taglio sulla superficie palare (impossibile sperimentalmente), si deve
infatti ricorrere alla fluidodinamica computazionale per cui è possibile andare a discretizzare il
dominio di calcolo che si va ad analizzare, risolvere le equazioni del flusso attraverso i vani palari
(Navier- Stokes), ed infine ricavare la soluzione puntuale che ci dice come variano la pressione e gli
sforzi di taglio puntualmente. Sebbene sia possibile ricorrere ad approcci di questo tipo, si tratta di
una metodologia scomoda che richiede tempi di calcolo molto lunghi.
Un altro metodo integrale importante è quello basato sul volume di controllo nel quale si fa ad
effettuare un bilancio della quantità di moto. Il principio di conservazione della quantità di moto ci
dice che la variazione della quantità di moto attraverso un volume di controllo arbitrariamente
definito è uguale alla risultante delle forze che agisce sulla superficie del volume di controllo.
Se siamo perciò in grado valutare la variazione della quantità di moto attraverso la superficie
possiamo ricavare la risultante delle forze senza dover conoscere la distribuzione di pressione e di
sforzi di taglio puntuale. Naturalmente questo metodo fornisce risultati approssimativi e richiede
che siano soddisfatte alcune ipotesi importanti come quella di flusso stazionario, flusso uniforme
sulle superfici di controllo, e così via.
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Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine
1) Meccanismi di perdita all’interno di una turbomacchina:
Per capire quali sono i principali meccanismi di perdita nelle turbomacchine è ancora necessario
partire dallo studio dell’aerodinamica esterna, poiché storicamente i progettisti che si occuparono
dell’aerodinamica interna sono partiti dalle conoscenze già fondate dell’aerodinamica esterna.
In quest’ultima la misura dell’efficienza, che in questo caso è più una perdita di prestazioni è la
resistenza aerodinamica, ovvero il cosiddetto drag. In generale però l’obiettivo di un profilo alare
non è quello di ottenere una minima resistenza aerodinamica, ma quello di avere un valore
minimo del drag con un massimo valore di portanza. Quello che infatti stabilisce l’efficienza
aerodinamica è proprio il rapporto lift/drag.
Lo scopo del progettista è infatti l’ottenimento del massimo lavoro scambiato e delle minime
perdite. Inizialmente si cercò perciò di applicare la conoscenza della resistenza aerodinamica alle
palettature, il problema che si incontra però è legato al fatto che, al fine di definire un drag è
necessario definire anche una direzione preferenziale. Come sappiamo infatti nell’aerodinamica
esterna il drag è la forza che si oppone all’avanzamento quindi avremo a che fare con una
direzione di avanzamento, una forza diretta in tale direzione e con verso concorde
all’avanzamento stesso che è rappresentata dalla spinta fornita dai motori, una forza che si
oppone all’avanzamento che è proprio il drag ed infine un effetto utile rappresentato dalla
portanza diretta perpendicolarmente alla direzione di avanzamento.
Mentre nel caso dei flussi esterni la scelta della direzione prevalente del flusso è banale lo stesso
non vale nel caso di flussi interni, perché in generale in un flusso interno una forza che agisce nella
direzione del moto delle pale è essenziale poiché si abbia scambio di lavoro tra fluido e
palettatura. Tuttavia, questa forza è essenziale anche al fine di ottenere delle variazioni di
pressione. In generale in una turbomacchina non si ha a che fare con una direzione preferenziale
poiché questa varia localmente e le forze che agiscono in questa direzione risultano essenziali per
ottenere l’effetto desiderato e pertanto non possono essere definite come drag.
Oltre a quelli viscosi nel caso dell’aerodinamica interna ci sono numerosi altri contributi che
determinano effetti dissipativi. Tra questi si deve infatti tener presente che la quasi totalità dei
flussi con cui si ha a che fare nelle turbomacchine sono flussi disuniformi e presentano delle zone
in cui pressione e temperatura sono più o meno alte. La disuniformità in generale può essere
radiale o circonferenziale.
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Se si ha a che fare con un flusso disuniforme in maniera circonferenziale e si vuole a valle ottenere
un flusso che sia uniformato il processo di miscelamento è un processo che per flussi viscosi
determina delle perdite legate alle dissipazioni di energia e per effetto di tale dissipazione si ha un
incremento dell’entropia anche in assenza di superfici solide e di generazione di forze.
Dovremo perciò introdurre un concetto generale che ci consenta di studiare e descrivere le
perdite all’interno di una turbomacchina. La quantità che in generale ci permette di descrivere la
generazione delle perdite è quella grandezza nota come Entropia.
L’Entropia è una funzione di stato o termodinamica e rappresenta la quantità che ci consente di
determinare nella maniera più corretta la generazione delle perdite.
Quando si ha a che fare con una turbina per esempio l’efficienza isoentropica è valutabile come
rapporto tra lavoro reale e lavoro isoentropico, ovvero lavoro in assenza di perdite.
Da questa definizione si capisce che tutti gli effetti che ci allontanano da una condizione
isoentropica (ovvero da un mantenimento dell’entropia costante) sono quelli responsabili della
generazione delle perdite.
In generale l’entropia di un sistema può essere aumentata per due effetti principali:
• Mediante un meccanismo di scambio termico, se trasferisco calore al sistema questa
aumenterà, viceversa se sottraggo calore dal sistema questa può essere anche ridotta;
• Per irreversibilità di tipo termodinamico, ovvero per dissipazione di tipo viscoso;
Quando si studiano le turbomacchine molto spesso si fa l’ipotesi di flusso adiabatico, questo non
perché questa ipotesi viene sempre verificata ma perché è un’ipotesi di lavoro utile, ed
eventualmente gli effetti dello scambio termico possono essere aggiunti successivamente.
Quando perciò si sfrutta questa ipotesi la variazione di entropia è unicamente legata alle
irreversibilità di tipo termodinamico e ciò ci consente di semplificare il problema.
Le proprietà che rendono l’entropia “attraente” dal punto di vista dello studio delle perdite sono:
1) È un’Invariante Galileiana, ovvero la quantità è la stessa in qualunque sistema di
riferimento in cui la si vada a studiare, ovvero non esiste una entropia assoluta ed una
relativa e non ne esiste una componente statica ed una dinamica;
2) È additiva, ovvero se si va a valutare l’incremento di entropia in un certo componente e poi
si valuta l’incremento in modo indipendente nel componente successivo alla fine si
possono sommare i due contributi per ottenere l’incremento complessivo di entropia nei
due componenti.
L’entropia è una funzione di stato e come tale non ci interessa il valore iniziale né quello finale, ma
unicamente la variazione rispetto allo stato iniziale che rappresenta la perdita interna al sistema.
Esistono però anche degli svantaggi nell’impiego dell’entropia come parametro di studio delle
perdite in una turbomacchina, in particolare uno di questi è rappresentato dall’impossibilità di
poterla misurare direttamente (mentre si può misurare la pressione statica, quella dinamica, la
temperatura, ma non l’entropia).
Questa infatti può essere unicamente determinata dalla misurazione di altre variabili, ad esempio
mediante la misurazione di temperatura e pressione è possibile poi stimare l’entropia.
Questa rappresenta una grande limitazione ed ha portato i progettisti ad impiegare, al fine di
determinare le perdite nella macchina, coefficienti di perdita che non dipendono dall’entropia.
In generale quando si ha a che fare con un gas perfetto, un flusso adiabatico ed una palettatura
stazionaria, ovvero uno statore, la variazione di entropia può essere espressa come:
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Nel caso in cui la temperatura totale si mantiene costante allora la variazione di entropia si
riconduce nella forma:
Se infine si ha a che fare con piccole variazioni di pressione statica allora la variazione di entropia
può essere approssimata nella forma:
Perciò storicamente si definiscono dei coefficientei di perdita basati sulla differenza di pressione
totale tra ingresso ed uscita come:
Questi coefficienti di perdita sono definiti a numeratore dalla differenza di pressione totale tra
ingresso ed uscita ed a denominatore presentano un termine che dimensionalmente rappresenta
sempre una pressione, ma tale quantità è del tutto arbitraria e serve solamente ad
adimensionalizzare i coefficienti (non ha un significato fisico vero e proprio).
Tipicamente si impiega come denominatore una pressione dinamica in ingresso se si parla di un
compressore, mentre si impiega una pressione dinamica in uscita se si fa riferimento ad una
turbina. Il fatto che la definizione di coefficiente di perdita varia tra turbina e compressore ci fa
capire come il denominatore sia del tutto arbitrario ed abbia come unico scopo quello di
adimensionalizzare i coefficienti di perdita.
Il motivo per cui si preferisce impiegare coefficienti di perdita di questo tipo rispetto all’entropia è
legato alla comodità di utilizzo, infatti questi sono facilmente determinabili a partire dalle misure
sperimentali. Per determinare infatti l’entropia per esempio dovrei misurarmi la T e la P e
determinare poi l’entropia, se invece impiego coefficienti di questo tipo mi basterà determinare la
pressione totale a monte ed a valle (a valle avrò un campo di moto disuniforme perciò dovrò
mediare la pressione).
Un coefficiente di perdita così definito ha anche un’altra importante proprietà infatti è
relativamente indipendente dagli effetti di comprimibilità in un ampio range di numero di Mach,
purché questo sia subsonico. Questo sostanzialmente vuol dire che fino ad