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TIRESIA:
Ahi, ahi! Sapere quanto è duro, quando a chi sa nulla giova! Io ben sapevo,
ed obliai. Venir qui non dovevo.
ÈDIPO:
Che c'è? Cosí scorato fra noi giungi?
TIRESIA:
Lasciami andare! Ci sarà piú facile compier cosí tu ed io la nostra sorte.
ÈDIPO:
Non parli giusto; e la città non ami che ti nutrí, se tal responso neghi.
TIRESIA:
Inopportuno giunge il tuo discorso anche per te: lo stesso non m'accada.
ÈDIPO:
Tu che sai, per gli Dei, non ti schermire: c'inginocchiamo tutti innanzi a te!
TIRESIA:
E tutti siete dissennati! I mali
miei non dirò: ché i tuoi svelar dovrei!
ÈDIPO:
Che parli? Sai, ma non vuoi dire, e noi tradir disegni, e la città distruggere!
Che parli? Sai, ma non vuoi dire, e noi tradir disegni, e la città distruggere!
TIRESIA:
Né te né me crucciare voglio. A che dimandi invano? Io nulla ti dirò.
ÈDIPO:
Un cuor di pietra moveresti a sdegno, tristo fra i tristi! Vuoi dunque parlare?
Non ti commovi? Resti inesorabile?
TIRESIA:
L'ostinatezza mia biasimi! Quella
che alberghi in cuor, non vedi, e me rampogni.
ÈDIPO:
Chi le parole udendo con cui spregi questa città, non salirebbe in ira?
TIRESIA:
Il male, anche s'io taccio, esito avrà.
ÈDIPO:
Quello che seguirà svelami dunque!
TIRESIA:
Oltre non parlerò! Sappilo, e accenditi, sin che tu vuoi, dell'ira piú selvaggia.
ÈDIPO:
Nulla posso tacer, tanta ira m'arde,
di ciò che sento. Io penso che il misfatto abbia tu concepito, ed eseguito,
tranne che di tua man colpire, in tutto! Ché se avessi la vista, io ben direi
ch'opera di te solo è questo scempio.
TIRESIA:
Davvero? Io d'obbedir t'intimo al bando ch'ài promulgato, e che da questo
giorno non rivolga parola a me né a questi:
ché tu di Tebe sei l'empia sozzura.
ÈDIPO:
Queste parole spudoratamente cosí tu lanci; e speri irtene salvo?
TIRESIA:
Salvo già sono! È la mia forza il vero.
ÈDIPO:
Chi te l'apprese? L'arte tua non già!
TIRESIA:
TIRESIA:
Tu: che contro mia voglia a dir m'hai spinto.
ÈDIPO:
Che mai? Vo' meglio apprenderlo. Ripetilo!
TIRESIA:
Che mi cimenti a dir? Non hai compreso?
ÈDIPO:
Non tanto ch'io creda sapere. Parla!
TIRESIA:
Dico che tu sei l'uccisor che cerchi.
ÈDIPO:
L'oltraggio addoppi? Ah, non ti farà pro'!
TIRESIA:
Vuoi sdegnarti ancor piú? Ti dico il resto?
ÈDIPO:
Fin che tu vuoi: saran parole al vento!
TIRESIA:
Coi tuoi piú cari in turpe intimità
vivi, e nol sai: né il male ove sei scorgi.
ÈDIPO:
Pensi ancora insultarmi, e andarne lieto?
TIRESIA:
Certo: se pure ha qualche forza il vero.
ÈDIPO
:Sí, l'ha; ma non per te: tu ne sei privo:
:Sí, l'ha; ma non per te: tu ne sei privo:
cieco di mente sei, d'occhi e d'orecchi.
TIRESIA:
Misero te, che a me rinfacci quanto
presto ciascuno a te rinfaccerà!
ÈDIPO:
Tutta una notte è la tua vita: e me
danneggiare non puoi, né alcun veggente.
TIRESIA:
Fato non è che per mia man tu cada:
Apollo basta, ch'à di ciò pensiero.
ÈDIPO:
È di Creonte questa trama, o tua?
TIRESIA:
Non Creonte: sei tu la tua rovina!
ÈDIPO:
Oh ricchezza, oh potere, arte che l'arte superi nella troppo invida vita!
Quanto livore presso voi s'accoglie,
se per questo poter, che in man mi diede la città, né lo chiesi, ora Creonte,
il fido, il vecchio amico, occultamente
s'intrude, e vuole espellermi, e suborna questo stregone, cucitor d'insidie,
ciurmador frodolento, che ben vede
solo nel lucro, e che nell'arte è cieco!
Tu saggio vate? Ed in che, dunque? dimmelo! Dimmi, perché quand'era qui la
cagna cantatrice d'enigmi, alcuno scampo
non trovasti ai Tebani? E sí, l'enigma non era tal che lo sciogliesse il primo
giunto! Occorreva l'arte del profeta! Ma tu non dagli uccelli e non dai Numi trar
giunto! Occorreva l'arte del profeta! Ma tu non dagli uccelli e non dai Numi trar
sapesti presagio. Invece io giunsi, io, che nulla sapevo, Èdipo; e muta
la resi; e non il volo degli uccelli,
ma il senno mio mi fu maestro. E tu a scacciare quest'uomo ora t'adoperi, per la
speranza di seder vicino
al soglio di Creonte? A calde lagrime tu col complice tuo purgar dovrete la
sozzura di Tebe. E se decrepito non ti vedessi, le torture conscio
di quanto sei ribaldo ti farebbero.
CORIFEO:
Le sue parole, le parole tue,
figlie dell'ira a noi sembrano, Èdipo.
Né l'ira or giova: anzi, cercar bisogna che i responsi del Nume abbiano effetto.
TIRESIA:
Sebben sei re, ben giusto è ch'io risponda come tu mi parlasti: io n'ho diritto:
ché non tuo servo, ma d'Apollo io sono, né mio patrono sarà mai Creonte.
E poi che tu vituperi la mia
cecità, parlerò. Tu aperti hai gli occhi, eppur non vedi in che sciagure sei,
né dove abiti, né chi sono quelli
che vivono con te. Dimmi: sai forse
da chi sei nato? Dei tuoi cari, o vivi sopra la terra, o già sotterra, tu
sei l'inimico, e non lo sai. Da questa terra, col pie' terribile, una duplice
maledizione via ti spingerà:
del padre e della madre. E tu, che vedi ora la luce, buio sol vedrai.
Qual terra non sarà porto ai tuoi ululi, qual Citerone non li echeggerà, quando
saprai le nozze a cui ti spinse prospero vento in questa casa, a cui approdar non
dovevi! E la congerie non sai degli altri mali, onde tu sei reso pari a te stesso, e
ai figli tuoi.
Ed ora su', Creonte e il labbro mio brutta di fango! Ché sterminio piú turpe del
tuo, niun patirà degli uomini.
ÈDIPO:
Tanto udir da costui sopporterò? Vattene alla malora! Non ti sbrighi! Fa' la
strada ch'ài fatta! Torci il piede lungi da questa casa! Via di qui!
TIRESIA:
Se tu non mi chiamavi, io non venivo.
ÈDIPO:
Che parlassi da pazzo io non credevo: difficilmente allor t'avrei chiamato.
Che parlassi da pazzo io non credevo: difficilmente allor t'avrei chiamato.
TIRESIA:
Tale io mi sono: a te sembro demente; ma savio parvi a chi ti generò.
ÈDIPO:
A chi? Rimani. Chi mi generò?
TIRESIA:
Questo giorno ti dà padre e rovina.
ÈDIPO:
E sempre detti oscuri! E sempre enimmi!
TIRESIA:
A scioglierli non sei tu valentissimo?
ÈDIPO:
Ove grande mi vedi, ivi m'oltraggi.
TIRESIA:
La tua destrezza fu la tua rovina.
ÈDIPO:
Se la città salvai, poco m'importa.
TIRESIA:
E dunque, io vado. - Tu, fanciullo, guidami.
ÈDIPO:
Guidalo via, sí! Standomi fra i piedi
m'annoi! Se vai, non mi darai piú cruccio.
TIRESIA:
Senza temere il tuo cipiglio, ho detto
ciò per cui venni: ché modo non hai
di farmi male. Ora parto, e ti dico:
l'uom che cercando vai, spacciando bandi per la morte di Laio, e minacciando,
quell'uom è qui: metèco e forestiero,
ora si crede; e invece si vedrà
ch'egli è tebano: né di tal ventura s'allegrerà: ché, da veggente fatto
ch'egli è tebano: né di tal ventura s'allegrerà: ché, da veggente fatto
cieco, da ricco povero, tentando
il suolo col bordone, andrà fuggiasco sovra terra straniera; e si vedrà
che vive insiem coi figli suoi, fratello
e padre, insieme con la donna ond'egli nacque, figliuolo e sposo; e ch'è del
padre suo l'assassino, e nel suo solco semina. Entra, e rifletti a questo. E se mi
cogli ch'abbia detto menzogna, di' che nulla piú dell'arte profetica io non so.
(Tiresia parte. Èdipo rientra nella reggia)
Ultima parte dell’incontro con Giocasta:
L’accecamento di Edipo è tale che gli impedisce di accettare le parole di sua madre
moglie,e lui pensa che lei glielo stia dicendo perché teme che lui scopra di essere
di umili natali.
Vv. 993-1085 (dal terzo episodio: l’incontro con il messo di Corinto)
ÈDIPO:
Certo, si può. Febo predisse ch'io giacerei con mia madre, e verserei
con queste mani il sangue di mio padre. Perciò da lungo tempo assai lontano
tenni da me Corinto. E fui felice, sebben vedere i genitori è dolce.
MESSO:
Per questo da Corinto esule andavi?
ÈDIPO:
Certo! Per non uccidere mio padre.
MESSO:
E perché non dovrei da tal terrore,
scioglierti, o re? Non ti son forse amico?
ÈDIPO:Ne otterresti da me degna mercede! MESSO:
E con tal speme io venni qui: che tu
tornassi in patria, ed io m'avvantaggiassi.
ÈDIPO:Presso alla madre mia non tornerò.
MESSO:Figlio, non sai quel che tu faccia! È chiaro!
ÈDIPO:Che dici? In nome dei Celesti, spiègati!
ÈDIPO:Che dici? In nome dei Celesti, spiègati!
MESSO:Per questo tu non vuoi tornare in patria? ÈDIPO:
Chiaro Febo mi die' questo responso!
MESSO:Per evitar la consanguinea macchia?
ÈDIPO:Sí, vecchio: è questo il mio sgomento eterno.
MESSO:Oh, tu sapessi come tremi a torto!
ÈDIPO:A torto? E come, se son loro figlio!
MESSO:Come? Pòlibo a te non era nulla!
ÈDIPO:Che dici? Padre mio non era Pòlibo?
MESSO:Come ti sono io: né piú né meno.
ÈDIPO:Saran tutt'uno il padre ed un estraneo?
MESSO:Né io né lui t'abbiam data la vita!
ÈDIPO:E perché dunque mi chiamava figlio?
MESSO:Da queste mani t'ebbe in dono, sappilo.
ÈDIPO:E il dono d'altrui mano tanto amò?
MESSO:La mancanza di figli a ciò l'indusse.
ÈDIPO:E tu, mi comperasti, o mi trovasti?
MESSO:Del Citeron fra i gioghi io ti rinvenni.
ÈDIPO:Come mai ti trovavi in quelle parti?
MESSO:Quivi alle greggi alpestri ero preposto.
ÈDIPO:Pastore per mercede andavi errando?
MESSO:Ed in quel tempo, o figlio, io ti salvai.
ÈDIPO:Fra che guai mi trovasti? Fra che doglie?
MESSO:De' tuoi pie' le giunture a te lo dicano.
ÈDIPO:Ahimè! Perché l'antico mal rammemori?
ÈDIPO:Ahimè! Perch&eac