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Bibbia e nel Vangelo.
Nel libro di Ezechiele la città veniva descritta come una pentola talmente
sporca e intaccata dalla ruggine che, anche se vi veniva cotta la carne più
pregiata, questa si sarebbe mescolata alla ruggine e allo sporco della pentola.
Per purificare questa pentola era necessario bollirla.
Israele è infatti una città che si è allontanata da Dio, che fa sacrifici umani nel
fiume Cedro e che prega con i pagani.
Tutti questi campi semantici vengono ripresi in questa poesia.
Sicuramente l’ipotesto (ciò che sta sotto il testo) di questa poesia è il libro di
Ezechiele in quanto le immagini che compaiono sono le stesse, ma in realtà il
componimento è oscuro, in quanto non c’è una conclusione.
La poesia infatti non conclude, ma è solo un interrogarsi sul senso stesso: la
poesia infatti racconta l’esperienza, non spiega che cosa questa significhi, e
l’esperienza umana è proprio questa stessa ricerca del senso.
O saison, o châteaux - pag. 41 (dispensa)
Questa poesia fa parte del tema “festa della fame” e ne abbiamo anche
un’altra versione in “Une saison en enfer”.
Vi si rappresenta la discesa dentro di sé verso la scoperta dell’assoluto; uno
studio che nessuno di noi può evitare.
In questo modo finalmente si raggiunge la felicità.
Una volta fatto poi il magico studio (“incantesimo”) dell’assoluto, non si avrà
più desiderio: l’assoluto ha catturato tutto, anima e corpo, in un’azione che è
finita.
Esattamente come avviene con la poesia di Rimbaud: una volta arrivati
all’assoluto, cioè alla sua scrittura ermetica, non c’è più modo di andare avanti
né motivo; Rimbaud è arrivato all’ermetismo massimo.
UNE SAISON EN ENFER (Alchimie du verb) - pag. 45
(dispensa)
“Une saison en enfer” è l’opera che Rimbaud scrive nel 1973 e che segna il suo
passaggio alla convinzione che la poesia non debba esser la semplice
rappresentazione del reale.
La lingua poetica non è più referenziale: se la poesia fino a questo momento
è stata mimesis, ora non può più esserlo perché il poeta rappresenta qualcosa
che non è di questo mondo, cioè l’Assoluto. Egli deve trovare quindi un altro
modo per esprimerlo e rappresentarlo.
In questo periodo Rimbaud è a Londra, dove ha una relazione molto violenta
con Verlaine, il quale si trasferisce poi a Bruxelles dove viene raggiunto anche
da Rimbaud; a fine luglio Rimbaud torna dalla madre, dove in Ottobre finisce di
scrivere “Une saison en enfer”.
Rimbaud cerca di far pubblicare il proprio libro, ma non paga l’editore e per
questo motivo, l’opera viene diffusa solo più tardi.
In quest’opera Rimbaud racconta la discesa dentro se stesso nella sua
ricerca dell’Assoluto.
L’opera, come vedremo, si chiude con la poesia “Adieu” che è stata considerata
spesso come l’addio di Rimbaud alla poesia: questo però non è vero in quanto
poi continuerà a scrivere, ma probabilmente questo è un addio solamente a
quel tipo di poesia che ha come scopo la rappresentazione del reale.
Questo estratto si intitola “Alchimie du verre”, anche se il riferimento
all’alchimia è solamente una metafora.
Come vediamo già dalle prime righe, Rimbaud va verso una sintesi sempre più
radicale e il “A Moi” iniziale indica che si sta tornando a lui, a parlare di lui
stesso e di una delle sue follie: la prima è la storia con Verlaine, la seconda è
quella che riguarda la poesia e che leggiamo nei versi seguenti.
In questo primo paragrafo Rimbaud comunica di voler lasciare la poesia
caratterizzata dalla ripresa di temi e di forme antiche, popolari, come la
letteratura latina medievale (si andava infatti a cercare ciò che era stato invece
abbandonato dall’accademia).
Questo passaggio di Rimbaud si avverte anche grazie ai tempi che egli usa:
mentre nella prima parte egli utilizza l’imperfetto, tempo che viene usato per
indicare eventi passati che sono durati nel tempo, nel paragrafo successivo si
parla invece al passato remoto, tempo che viene invece usato per indicare un
evento successo nel passato e finito nel passato (ad esempio “inventai il colore
delle vocali”, in cui il verbo è molto significativo, in quanto non indica che
Rimbaud sapesse di che colore sono le vocali, ma, come dice lui stesso, l’ha
inventato).
Nei versi successivi compare proprio la spiegazione della poesia “Voyelles”: la
sua spiegazione sta nella sinestesia, cioè nel dare vita ad una parola
poetica, che sia accessibile a tutti i sensi (programma di Rimbaud e della
sua poesia che sta per nascere).
Gli ultimi due versi fanno poi riferimento agli studi compiuti da Rimbaud in
questo periodo, che a detta sua avevano come oggetto silenzi, notti: Verlaine
ha raccontato dell’amore di Rimbaud per ritmi e assonanze e dei suoi studi
chiamati “Etudes néantes”.
A questo punto dell’opera, Rimbaud inserisce la versione corretta e più
sintetica, ermetica di “Larme”.
La spiegazione di Rimbaud poi riprende: dice che il vecchiume poetico, ovvero
tutte quei tipi antichi di testo che erano stati da lui ripresi, avevano giocato un
importante ruolo nella costituzione della sua poetica.
Questo “vecchiume” lo aveva portato a quella che Rimbaud stesso definisce
“allucinazione semplice”.
Lo stesso Baudelaire aveva definito la poesia come una magia evocativa, in
quanto la parola poetica era in grado di provocare la nascita di ciò che viene
detto. La parola non deve essere solo parola, ma azione (scopo dei simbolisti).
Nelle ultime righe di questo paragrafo c’è il ritorno di Rimbaud alle origini
bestiali del nostro essere.
A questo punto Rimbaud inserisce la versione corretta e sintetica, ermetica di
“Chanson de la plus haute tour”.
Nel successivo paragrafo ritroviamo invece un riferimento a “Poème du
Haschisch “ di Baudelaire.
Terminato questo paragrafo Rimbaud inserisce la poesia “Faim”, che rientra
pienamente nel filone delle poesia che hanno come tema quello della sete e
della fame.
Faim
Se osserviamo il significato letterale di questa poesia, abbiamo sicuramente un
dato biografico di Rimbaud, poeta che non mangia nulla se non aria, pietra,
carboni, ferro.
Altro campo semantico rintracciabile è quello del suono, annunciato dal verso
“Mes faims, tournez. Paissez, faims. Le pré des sons”, cioè “prato dei suoni”
(pienezza sensoriale – sinestesia).
Il prato è un dato visivo, ma anche del gusto grazie al verbo “pascere”: ciò che
si mangia è però il prato dei suoni.
Il suono diventa quindi azione della poesia e diventa semanticamente tema:
questa è la magia della poesia messa in atto; è la fame dei suoni e quindi
anche della fame di poesia.
Paragrafo molto importante è quello che segue, cioè quello che introduce la
poesia “Éternité”.
Con questa poesia Rimbaud ci illustra il suo passaggio da una visione
referenziale ad una visione invece libera: Rimbaud smette di guardare la realtà
per come questa appare, in modo referenziale, tanto che il cielo non è più
azzurro ma è nero.
A questo punto, Rimbaud inserisce proprio la versione corretta e più ermetica
della poesia “Éternité”.
Si apre qui quindi l’ultimo paragrafo scritto da Rimbaud.
Il poeta dichiara di essere divenuto ormai un’ “opera musicale favolosa” che si
rende conto che il destino di ogni uomo è di essere felice e che la morale è la
debolezza del cervello.
Rimbaud non parla più quindi della realtà così come questa è, ma parla
all’Assoluto che sta in ognuno di noi: l’Assoluto è infatti per tutti, non solo per il
poeta, che ha solamente in più degli altri la possibilità di esprimerlo.
Con l’espressione “Je tiens le système” Rimbaud spiega di essere entrato
talmente dentro se stesso, da essere in grado di sdoppiarsi e di guardarsi
dall’esterno.
L’ultima frase di questo paragrafo fa riferimento al “salutare la felicità”, che
vien poi ripreso nell’ultimo verso finale: salutare il giorno, la luce, è ciò che si fa
anche nel Christus venit, quell’insieme di lodi mattutine che vengono recitate
alle prime luci dell’alba, quando si saluta la venuta del nuovo giorno, della luce.
Adieu - pag. 49 (dispensa)
Questo brano è quello che chiude l’opera “Une saison en enfer” del 1873,
brano che è stato spesso erroneamente interpretato come l’addio di Rimbaud
alla poesia, in quanto in realtà l’addio è rivolto solamente ad un tipo specifico
di poesia: quella referenziale, della mimesi.
Già dalla prima riga, Rimbaud ci mostra la grande sintesi alla quale egli è
giunto, con l’espressione “L’Automne déjà!”. Dalle righe che seguono si
comprende anche Rimbaud non amava l’autunno, e tantomeno l’inverno.
Le stagioni per Rimbaud sono cose per gli uomini che non cercano la realtà, in
quanto sono un dato della realtà che non interessa più a Rimbaud.
La conclusione della poesia dimostra come questo non sia un addio alla poesia:
tutti i ricordi immondi si cancellano e questa è sicuramente una dichiarazione
di inizio e non assolutamente di fine.
L’unica cosa che c’è dietro di lui è quel cespuglio che brucia: si fa riferimento
alla Genesi, che è appunto nascita, inizio.
Si lascia tutto dietro le spalle, perché alla fine si potrà detenere la realtà sia
nell’anima che nel corpo, sia a livello spirituale che a livello materiale.
Questo è il vero programma di Rimbaud e che sta alla base delle
“Illuminations”.
ILLUMINATIONS (Alchimie du verb) - pag. 45 (dispensa)
Questa è una raccolta di testi in prosa scritte a Londra che Rimbaud consegna
a Verlaine in un loro incontro ad Amburgo: i testi qui raccolti vanno dal al
e sono sicuramente gli ultimi testi di Rimbaud.
Il titolo probabilmente non era quella che Rimbaud voleva dare alla raccolta,
ma Verlaine sostenne che questo era il titolo voluto da Rimbaud stesso.
Il titolo non ha articolo, ma sono illuminazioni in forma assoluta: assolutizza la
dimensione di queste illuminazioni.
Verlaine racconta che Rimbaud gli parlava di questi testi chiamandoli in ing