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La POETICA di RIMBAUD
LETTRE DU VOYANT
Questa lettera è stata scritta da Rimbaud a Charleville, in Belgio, il 15 maggio
1871 ed è indirizzata a Paul Demeny.
Quando scrive questa lettera, Rimbaud ha solamente 16 anni e già teorizza la
sua teoria estetica, in questo testo che seppure nella sua oscurità, è lucido e
ben argomentato.
Il fatto che ciò che dice sia razionale è anche affermato da Rimbaud stesso, che
afferma “Né scherzo, né paradosso. La ragione m'ispira, sull'argomento”: tutto
ciò che dice non è quindi un delirio, ma al contrario qualcosa di ben ragionato e
razionale.
In questa lettera Rimbaud esprime la direzione, le aspirazioni e il tipo di poetica
che intende perseguire.
Possono essere contraddistinte due intenzioni fondamentali:
una critica lucida e dura verso la letteratura del passato fino a quella
- contemporanea allo stesso Rimbaud;
la sua nuova poetica.
-
La lettera si apre con l’annuncio: “E adesso un po’ di prosa sull’avvenire
della poesia”. In questo modo il poeta avvisa il suo lettore che parlerà di
estetica.
Rimbaud è infatti arrivato ormai alla sintesi che è la modernità della poesia.
Egli prosegue poi affermando che l’unica vera poesia in passato è stata quella
dei Greci, che hanno saputo realizzare una poesia come linguaggio totale, in
quanto nella poesia versi, musica e azione erano fusi tra loro (“Vers et Lyres
rhythmen l’Action” = questa è la vera sintesi artistica).
Terminata l’era dei Greci, secondo Rimbaud, non si ha più traccia di vera poesia
(in questo modo egli distrugge la precedente estetica): tutto non è altro che
quella che Rimbaud definisce “prosa rimata”, e non poesia. I poeti di questo
periodo si sono infatti limitati a riprodurre ciò che già era esistito.
Per qualche riga, il poeta si sofferma poi sulla figura di Racine: egli viene
descritto da Rimbaud come “puro, forte, grande”, che però è un’antinomia, in
quanto egli viene poi fatto rientrare all’interno di “generazioni idiote”.
Racine era infatti celebrato per la perfezione della forma, per la sua chiarezza:
questi sono proprio gli aspetti che Rimbaud attacca, dalla perfezione, alla
lingua, alla classicità.
In seguito si legge “Del resto, libertà ai nuovi! Di esecrare gli antenati”:
secondo Rimbaud infatti, coloro che hanno scritto finora hanno trascurato il
vero significato dell’io.
Anche gli stessi Romantici sono stati come Colombo che non fu consapevole di
aver scoperto l’America: essi infatti erano sì veggenti, ma senza saperlo, senza
esserne consapevoli e la coltivazione delle loro anime è avvenuta per
“incidenti”.
L’”Io è un altro”, afferma Rimbaud, cioè il poeta deve essere veggente e deve
distruggere il proprio io sociale (cioè quello che gli altri sanno di noi, le
convenzioni, le ripetizioni, le inultilità), per ricostruire e scoprire l’io profondo,
che nemmeno noi conosciamo. L’io deve quindi sdoppiarsi per essere in grado