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Tesine Filosofie dell' India e dell' Asia Orientale Pag. 1
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Il jainismo: caratteristiche generali

Verso il VI-V sec. a.C., nel Nord-Est dell'India nacquero due movimenti che intaccarono in qualche modo l'egemonia brahmanica, autorità che difendeva un sistema socio-religioso in cui era dominante il sacrificio vedico, dal quale veniva fatto dipendere l'equilibrio dell'universo. In questo modo, la casta sacerdotale veniva naturalmente innalzata sopra le altre. Durante il VI-V sec. dell'era volgare, però, radicali cambiamenti sociali ed economici portarono ad una maggiore valorizzazione della casta militare (kṣatriya) e, in maniera verosimile, all'innesco di una crescente diffusione del fenomeno dell'abbandono della vita sociale a favore di una condotta di vita di tipo ascetico.

I due movimenti in questione sono il buddhismo ed il jainismo, quest'ultimo analizzato nelle righe seguenti. Fatto da sottolineare è che entrambi condividono l'idea che i rispettivi capostipiti fossero degli.

esseri umani in tutto e per tutto e che abbiano raggiunto l'illuminazione con le loro forze, cosa che possono compiere anche i loro discepoli.

Il jainismo è un "movimento spirituale" ancora vivo, anche se minoritario, presente in India. Fondatore storico è Vardhamāna, personaggio che sarebbe stato chiamato Mahāvīra ("grandeeroe") o anche Jina ("vittorioso") e del quale sappiamo molto poco. Sarebbe nato prima del Buddha, come quest'ultimo avrebbe avuto origini nobili (appartenente alla casta militare) e compì un percorso simile a quello dello "Svegliato" (uno dei significati letterali del termine "Buddha", assieme a "l'Illuminato"), abbracciando la vita da asceta itinerante. All'età di 43 anni avrebbe raggiunto la "conoscenza assoluta", ovvero il modo di sfuggire al ciclo saṃsārico. Dalla tradizione jaina è considerato come il ventiquattresimo

tīrthaṃkara (“creatore di guado”), successivo aPārśva.Il tratto fondamentale del jainismo, assieme al “multilateralismo” epistemologico, è l’adesioneall’ideale di ahiṃsā, ovvero la “non-volontà di nuocere” (a-hiṃsā, appunto), strettamenteconnessa al karman e alle rinascite. Fatto curioso, dato che i fondatori del jainismo (ma anche del2buddhismo) erano kṣatriya (appartenenti alla casta militare). Questa dottrina śramanica, infatti, è2 Per quanto riguarda questa prima parte sono stati seguiti i seguenti testi: “L’India filosofica. Un percorso tra temi eproblemi del pensiero indiano. I. Dalle origini alla fine del sec. VIII” di Saverio Marchignoli, Eurocopy-Bologna, 2005; ecaratterizzata dalla problematica dell’azione e dei legami che quest’ultima comporta. Tutta laproblematica è riassunta in sette principi di base:1) “anime” o “spiriti”

  • (jīva);32) l'inanimato (ajiva) ;3) l'afflusso/contaminazione (āsrava);4) il legame (bhanda);5) l'arresto del flusso (saṃvara);6) l'eliminazione (nirjarā);7) la liberazione (mokṣa).
  • L'inanimato, a sua volta, si divide in 5 parti: spazio, presupposti del movimento, presupposti dellastasi, tempo e materia ("pudgala"; ha struttura atomica).
  • Il jainismo rifiuta l'esistenza di un Dio creatore, preferendo una visione del mondo improntata maggiormente al realismo. La categoria più interessante tra quelle sopra esposte è la prima: quella dei jīva. Quest'ultima, soprattutto nei testi più antichi, rimane in bilico tra lo spirituale ed il biologico. Il numero dei jīva è infinito, sono costituiti di pura coscienza, dotati di onniscienza, energia e beatitudine, non hanno estensione propria, ma sono allo stesso tempo onnipervadenti e assumono la dimensione del corpo al quale sono connessi. Una volta avvenuta questa connessione,

i jīva possono divenire sia mobili (dèi, animali, uomini) sia immobili (vegetali). I jīva vengono classificati in base agli organi che possiedono: "a un senso" (il tatto; esseri elementari connessi con ciascuno dei cinque elementi); "a due sensi" (tatto e gusto; vermi, molluschi da conchiglia); "a tre sensi" (tatto, gusto e odorato; formiche, moscerini); "a quattro sensi" (tatto, gusto, odorato e vista; farfalle, mosche, scorpioni); "a cinque sensi" (esseri infernali, animali, uomini e semidei). Nel pensiero jaina, ogni azione produce un "afflusso" di particelle materiali verso il jīva, sul quale si depositano facendogli assumere una "colorazione" (leśya). Per raggiungere la liberazione è necessario liberarsi seguendo un processo di purificazione basato sui "tre gioielli" ("retta visione", "retta conoscenza", "retta condotta") e suddiviso in 14 stadi.

Terminato questo processo, il jīva raggiunge la perfezione (siddhi) e rimane libero, ma per poterlo cominciare c'è la necessità di rifarsi ai precetti etici, primo fra tutti l'ahiṃsā. Ma se ogni azione produce un "afflusso", allora si hanno due conseguenze:

"Il pensiero dell'India. Un'introduzione" di Raffaele Torella, Carocci editore, 2013. Per il periodo che segue, invece, si faccia riferimento solamente al primo dei testi citati.

Questi primi due argomenti sono sostanze ed esistono realmente.

Da qui in avanti, il testo di riferimento è stato "Il pensiero dell'India. Un'introduzione" (cfr. la nota 1)

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
4 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-OR/17 Filosofie, religioni e storia dell'india e dell'asia centrale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher LivioG. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofie dell'India e dell'Asia Orientale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Marchignoli Saverio.