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POSIZIONI CONTRO I NATIVI – A FAVORE DELLO SFRUTTAMENTO

“L’uomo bianco, l’europeo, è l’uomo per eccellenza; sotto di lui appaiono l’indiano ed il nero. Ogni razza persegue autonomamente il suo destino, solo le sventure di quelle che occupano una posizione inferiore hanno tratti comuni […] non si direbbe, nel vedere ciò che avviene nel mondo, che l’europeo è per gli uomini delle altre razze quello che l’uomo stesso è per gli animali? Egli li fa lavorare al suo servizio e, quando non può piegarli, li distrugge” – Alexis de Tocqueville (1805 – 1859) su conquista europea delle Americhe.

Era risaputo che i conquistadores fossero tenuti a leggere un monito, il requerimiento, alle popolazioni indie: “se non lo farete, o porrete maliziosamente indugio, affermo che con l’aiuto di Dio io entrerò con forza contro di voi e vi assoggetterò al giogo e all’obbedienza.”

della Chiesa e di sua Maestà e prenderò le vostre mogli e i vostri figli e li farò schiavi e come schiavi li venderò e disporrò di loro come sua maestà comanderà e prenderò i vostri beni e vi farò tutto il male e il danno che potrò."

Non si conservarono, ovviamente, molte risposte delle popolazioni chiamate in causa, se non quella data dai cacicchi del fiume Sinù (Colombia) a Martin Fernandez de Enciso dopo che questi aveva affermato illegale possesso delle loro terre dal re e dal Papa: "Quando diceva che il Papa era signore di tutto l'Universo al posto di Dio, e che aveva fatto dono di quella terra al re di Castiglia, il Papa doveva essere ubriaco quando lo fece, visto che dava ciò che non era suo, e che il re che chiedeva e riceveva quel dono doveva essere un folle, visto che chiedeva ciò che era di altri, e che venisse là a prendersela, e noi infileremmo la sua testa su un palo."

come già ne abbiamo altre, dei nostri nemici”. L’invasione del Nuovo Mondo combinò quindi la diffusione della fede cristiana con il saccheggio delle ricchezze e lo sterminio delle popolazioni autoctone. Gli avventurieri, incupiditi dalla quantità di ricchezze trovate, in particolare oro, argento, pietre preziose, spezie e, con il passare del tempo, schiavi (che tornano ad essere una delle merci più gettonate dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente), finanziarono le spedizioni di conquista stesse. Gli schiavi, oltre che essere venduti, erano anche dati agli encomenderos come parte delle loro terre. Gli encomenderos seguivano l’istituzione giuridica dell’encomienda, che doveva servire per convertire ed assistere delle “anime” ma che, invece, sembrò la legalizzazione alla schiavitù. Questo “contratto” aveva la durata di due vite; contava infatti quella dell’encomendero e quella del suo

parente più prossimo. Nei possedimenti terrieri non si prestava attenzione alle Leggi Nuove di Carlo V e gli indigeni erano trattati come delle bestie da soma ed allo stesso loro modo morirono estraendo oro lungo i letti dei fiumi, estraendo argento nelle miniere tramite l'uso del mercurio, collassando dopo l'estremo lavoro nei campi, dopo gli stupri e gli abusi fisici che avvenivano per divertimento. Molti tra gli indigeni furono anche quelli che scelsero la via del coraggio, o della disperazione, e della libertà precedendo le mosse dei loro aguzzini, uccidendo i membri delle proprie famiglie e dandosi la morte.

Il filosofo Ginès de Sepùlveda fu il baluardo a difesa dei conquistadores. Egli riteneva di avere il diritto di imporre il "bene" agli indigeni qualunque fosse stato il prezzo: considerava il diritto alla vita, i peccati contro natura (sodomia, idolatria e sacrifici umani) e la conversione al cristianesimo come motivi validi per indire

La guerra agli indigeni; una guerra giusta. Secondo la sua visione gli indigeni dovevano essere forzatamente evangelizzati per essere in grado di assorbire i "nuovi valori" europei, posti all'antitesi dei riti esoterico-pagani da loro eseguiti, come sacrificio umano, incesto reale ed antropofagia.

Alla fine del suo discorso alla Giunta, Sepùlveda propose quattro giustificazioni alla conquista:

  1. Faceva il bene degli indigeni. Quelli non sapevano governare da soli seguendo gli insegnamenti del Signore; per questo andavano messi sotto la tutela degli spagnoli.
  2. Dovevano essere impediti i rituali pagani contro natura.
  3. Dovevano salvarsi le vittime dei sacrifici umani.
  4. Doveva essere perseguita la missione cristiana dell'evangelizzazione.

Per dare maggiore sostanza alle sue tesi il filosofo si avvalse della bolla papale "Inter arcana" di Clemente VII, dove era affermato, testuali parole, "Confidiamo in te [Re di Spagna]".

affinché conduca le nazionibarbare alla conoscenza del Dio autore e creatore di tutte le cose, non solo con discorsi ed ammonimenti, ma anche con le armi e la forza (se necessario) affinché le loro anime siano obbligate a far parte del regno celeste”. Anche altri uomini presenti alla Giunta condividevano i pensieri di Sepúlveda, come il Conte di Buffon, viceré del Messico, che riteneva gli indios come degli esseri completamente privi di anima e curabili dalla loro naturale cattiveria con il duro lavoro nei campi. Padre Gregorio García, invece, sosteneva che i nativi fossero di discendenza giudea perché, come gli ebrei, erano pigri, non credevano nei miracoli dell’Agnello e non erano riconoscenti agli spagnoli per il bene che avevano ricevuto. Di conseguenza queste persone erano considerate “eliminabili senza alcun pericolo di ritorsione divina”. POSIZIONI A FAVORE DEI NATIVI – CONTRO LO SFRUTTAMENTO La posizione dilberi, e molte altre atrocità commesse dai conquistadores nei confronti dei nativi. Las Casas si impegnò a difendere i diritti degli indigeni e a cercare di migliorare le loro condizioni di vita. Nel 1515, Las Casas propose al re di Spagna di sostituire gli schiavi indigeni con schiavi africani, nella speranza che questi ultimi fossero più resistenti e adatti al lavoro nelle piantagioni. Tuttavia, dopo aver assistito alle crudeltà subite dagli schiavi africani, Las Casas si pentì della sua proposta e si dedicò completamente alla causa degli indigeni. Nel 1542, Las Casas pubblicò la sua opera più famosa, "Brevissima relación de la destrucción de las Indias", in cui denunciava le atrocità commesse dai conquistadores e chiedeva la protezione dei nativi. Questo libro ebbe un grande impatto e contribuì a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione dei diritti umani. Bartolomé de Las Casas morì nel 1566, ma il suo lavoro e la sua lotta per i diritti degli indigeni sono ancora oggi ricordati e apprezzati. La sua figura è considerata una delle prime voci a favore dei diritti umani e della giustizia sociale.loro volta, alle caviglie delle madri, e così via. Si diceva che non fosse possibile, inoltre, contare gli indigeni morti per costruire Città del Messico. Si camminava su cadaveri, o su mucchi di ossa, percentinaia di chilometri e le nuvole di stormi che venivano a divorarli erano così numerose da oscurare il sole. Tutte le considerazioni del domenicano vennero raccolte nel libro "Brevisima relación de la destrucción de las Indias", che vide la sua presentazione durante la Giunta di Valladolid e la sua pubblicazione nel 1552. La domanda alla quale cercava di trovare risposta discuteva se avesse senso uccidere gli indigeni invece che evangelizzarli, se avesse senso sfruttarli e disumanizzarli a tal punto che gli stessi "se olviden de ser hombres". Las Casas lesse per cinque giorni di fila le sue tesi alla Giunta contestando i quattro punti di Sepúlveda. Non era contrario, ovviamente, all'annuncio del Vangelo e della Parola.

del Signore, ma lo era invece alla violenza disumana dei conquistadores e, così, comprendeva e giustificava i tentativi di rivolta dei nativi, che non gli apparivano che come delle strategie di difesa.

Dai suoi scritti si ha quest'invettiva: "L'isola di Hispaniola fu la prima dove entrarono i cristiani dando principio alle immense stragi e distruzioni di queste genti, e per prima distrussero e resero deserta, cominciando i cristiani a servirsi delle mogli e dei figli degli Indiani, e a far loro del male, e a mangiare le sostanze dei sudori e delle fatiche loro, non contentandosi di quello che gli Indiani davano loro spontaneamente, secondo quanto ciascuno possedeva, che è sempre poco. Essi infatti non sogliono tenere più di quello che serve al loro bisogno ordinario e che accumulano con poca fatica, e quello che basta a tre case di dieci persone l'una per un mese, un cristiano lo mangia e lo distrugge in un giorno. Gli Indiani, dopo aver subite molte

violenze e vessazioni, cominciarono ad accorgersi che quegli uomini non erano venuti dal Cielo […]. I cristiani, con i loro cavalli, spade e lance, cominciarono a fare crudeli stragi tra quelli. Entravano nelle terre, e non lasciavano né fanciulli, né vecchi, né donne gravide, né di parto, che non le sventrassero elacerassero come se assaltassero tanti agnelletti nelle loro mandrie. Di solito uccidevano i signori e la nobiltà in questo modo: facevano alcune graticole di legni sopra forchette e ve li legavano sopra, e sotto vi mettevano fuoco lento, onde, a poco a poco, dando strida disperate in quei tormenti, mandavano fuori l'anima". Bartolomé utilizzò, per avvalorare le sue tesi, anche quanto contenuto nelle bolle "Sublimis deo" e "Veritas ipsa" di Papa Paolo III, dove si affermava che gli indigeni erano esseri senzienti e razionali e che, per questo, erano aventi diritto alle libertà e allaproprietà. Nonostante quanto fatto, anche il Las Casas ebbe conseguenze sulla schiavitù, in particolare con la Tratta dei Neri; egli riteneva infatti che gli schiavi neri fossero molto più adatti al lavoro rispetto agli indios, che erano deboli. Lo sfruttamento dei neri al posto dei nativi americani era dunque visto come la "salvezza" della popolazione nativa delle Americhe. CONCLUSIONI DELLA GIUNTA Il dibattito terminò senza una risoluzione finale, anche se ambedue le parti si dichiarono vincitrici a parità. Non si deve dimenticare che le due posizioni servivano comunque a giustificare il dominio spagnolo di fronte alle altre potenze europee. Il problema dell'umanizzazione dei comportamenti nei confronti dei nativi aveva invece altre motivazioni: sicuramente, almeno in parte, era frutto di uno scrupolo morale dei governanti; secondo un'altra visione era dovuto alla volontà dei sovrani di mantenere in vita i sudditi e, soprattutto, la loro produttività.rmanenza del monopolio spagnolo sul commercio con le colonie, impedendo così lo sviluppo di un'economia autonoma nelle colonie stesse. Questa politica protezionistica portò a un crescente malcontento tra i coloni, che si sentivano oppressi e privati delle opportunità economiche. La Giunta, inoltre, si occupò anche di questioni amministrative e giuridiche, cercando di stabilire un sistema di governo stabile e di garantire i diritti dei cittadini. Tuttavia, le sue decisioni furono spesso influenzate dagli interessi della classe dominante spagnola, che cercava di mantenere il proprio potere e privilegi. Nonostante i suoi sforzi, la Giunta non riuscì a risolvere i problemi economici e sociali che affliggevano le colonie spagnole. La mancanza di autonomia economica e politica, unita alla crescente pressione fiscale e alla corruzione, portò alla diffusione di sentimenti di ribellione e alla nascita di movimenti indipendentisti. In conclusione, la Giunta di Commercio delle Indie fu un organo di governo creato dalla Spagna per gestire il commercio con le colonie. Sebbene avesse l'obiettivo di proteggere gli interessi spagnoli, la sua politica monopolistica e la mancanza di autonomia economica contribuirono alla crescita del malcontento e alla nascita dei movimenti indipendentisti nelle colonie spagnole.
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Publisher
A.A. 2020-2021
5 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AureoB00 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Verga Marcello.