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Interpretazione della normativa nazionale e il principio del ragionevole margine di apprezzamento
Corte, nell'interpretare la normativa nazionale, attribuisce al principio del ragionevole margine di apprezzamento, che a più riprese il Governo italiano, nel presente caso, tenta di utilizzare quale difesa delle proprie prerogative nella materia de qua. Si legge a tal proposito: "Quando si trovano in gioco questioni sulle relazioni tra lo Stato e le religioni, su cui possono ragionevolmente esistere in una società democratica divergenze profonde, occorre attribuire un'importanza particolare al ruolo di colui che decide a livello nazionale. Tale è in particolare il caso quando si tratta della regolamentazione del portamento di simboli religiosi negli istituti di insegnamento... Infatti, non è possibile distinguere attraverso l'Europa una concezione uniforme del significato della religione nella società (Otto-Preminger-Institut c. Austria, sentenza del 20 settembre 1994, serie A n. 295-A, p. 19, § 50) ed il senso o."
L'impatto degli atti che corrispondono all'espressione pubblica di una convinzione religiosa non sono gli stessi secondo le epoche ed i contesti (vedere, ad esempio, Dahlab c. Svizzera (decisione) n. 42393/98, CEDU 2001-V). La regolamentazione in materia può variare quindi da un paese all'altro in funzione delle tradizioni nazionali e delle esigenze imposte dalla protezione dei diritti e libertà altrui ed il mantenimento dell'ordine pubblico. Di conseguenza, la scelta quanto alla dimensione ed alle modalità di tale regolamentazione deve, per forza di cose, essere entro una certa misura lasciata allo Stato interessato, poiché dipende dal contesto nazionale interessato. Questo margine di valutazione procede parallelamente ad un controllo europeo che riguarda allo stesso tempo la legge e le decisioni che la applicano. Il compito della Corte consiste nel ricercare se le misure adottate a livello nazionale si giustificano nel loro principio e sono proporzionate.
Per delimitare l'ampiezza di questo margine di valutazione nella specie, la Corte deve tenere conto della posta in gioco, cioè la protezione dei diritti e libertà altrui, gli imperativi dell'ordine pubblico, la necessità di mantenere la pace civile ed un vero pluralismo religioso, indispensabile per la sopravvivenza di una società democratica. V. Le conclusioni raggiunte dalla Camera semplice nel caso Lautsi. Nel rendere la decisione oggetto di riesame, la Corte ha concluso che: 15. "l'esposizione di uno o più simboli religiosi non può giustificarsi ... come il governo sostiene, con la necessità di un compromesso necessario con le componenti di ispirazione cristiana. Il rispetto delle convinzioni di ogni genitore in materia di istruzione deve tenere conto del rispetto delle convinzioni di altri genitori. Lo Stato è tenuto alla neutralità confessionale nel quadro dell'istruzione pubblica obbligatoria dove".La presenza ai corsi è richiesta senza considerazione di religione e si deve cercare di insegnare agli allievi un senso critico. La Corte non vede come l'esposizione nelle aule di scuole pubbliche di un simbolo, che è ragionevole associare al cattolicesimo (la religione maggioritaria in Italia), potrebbe servire al pluralismo educativo che è essenziale alla preservazione di una società democratica come la concepisce la Convenzione".
Osservazioni in merito al caso in esame. Come innanzi evidenziato, è indubbio che la sentenza della Camera semplice nel presente caso sia stata, da alcune parti e da alcuni media, artatamente rappresentata come una poco legittima intrusione nelle prerogative statali e come una sorta di aggressione ai valori e riferimenti religiosi cristiani. L'interesse qui rappresentato è viceversa quello di contribuire, in primis, a ricondurre la vicenda entro i suoi corretti cardini, stimolando, laddove
sarà ritenuto opportuno, delle più analitiche riflessioni del giudice internazionale. Ed invero, l'accurato sforzo di contestualizzazione della decisione nel 17.caso Sahin, che risponde ad un canone ermeneutico da ritenersi oltremodo opportuno nell'esame di determinate materie ed anche alla luce del progressivo allargamento degli Stati contraenti della Convenzione (cui consegue il necessario confrontarsi della giurisprudenza di Strasburgo con ordinamenti giuridici molto differenti tra loro), non è stato parimenti profuso dalla Corte con riguardo al caso Lautsi. Non può sottacersi che, nell'esame del presente caso, il contesto nazionale non sia stato oggetto di adeguata attenzione, ciò che, inevitabilmente, ha prestato il fianco sia alle critiche contenute nell'istanza governativa di riesame, sia a quelle di carattere esoprocessuale - molto meno ortodosse - cui innanzi si è fatto cenno. Indubitabilmente, nell'esame del caso,Pare potersi tralasciare l'aspetto relativo alla portata della normativa italiana regolatrice dell'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici ed, in particolare, nelle aule scolastiche, atteso che le autorità nazionali ne hanno affermato la cogenza e tali norme soddisfano i requisiti di qualità prescritti dalla Convenzione europea. Ma, indubbiamente, le disposizioni in causa sono l'eredità di una concezione confessionale dello Stato che si scontra oggi con il dovere di laicità di quest'ultimo. Ciò disvela l'esistenza in Italia di una questione religiosa ancora aperta, alla quale fa da contraltare il detto principio di laicità, sulla cui esatta portata occorre interrogarsi approfonditamente.
Ciò che può trarre apparentemente in errore e risultare contraddittorio è il fatto che il medesimo principio di laicità dello Stato sia stato rappresentato come il fondamento giuridico di due
istanze contrapposte, l'una tendente alla rimozione del Crocifisso, l'altra finalizzata alla conferma dell'affissione di tale simbolo religioso. Il richiamo alla laicità per giustificare tale ultima istanza appare frutto di elucubrazioni meramente strumentali al perseguimento di un fine predeterminato e che ha come pericoloso pendant l'interesse governativo ad un peso e ad un appoggio della Chiesa cristiana nella vita politica del paese, retaggio di tempi che, ci si auspica, siano superati dall'evoluzione democratica e liberale dello Stato italiano. Ne deriva, comunque, che il compito principale per l'esame della vicenda è quello di riassumere la connotazione che tale principio ha assunto nel nostro paese nel corso degli anni a seguito delle numerose pronunce della Corte Costituzionale, atteso che esso non viene tematizzato, all'interno dell'ordinamento giuridico, a livello normativo. La nostra Costituzione non opera alcun riferimento
esplicito alla laicità20 come carattere necessario dello Stato. Tale nozione è stata tuttavia dedotta e ricostruita sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, quale principio generale dell'ordinamento. Le ricostruzioni operate dalla Corte Costituzionale elevano a principio supremo dell'ordinamento il concetto di laicità dello Stato, il quale "implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale". Nella nota sentenza n. 203/1989 emerge, con particolare intensità, un raccordo strettissimo tra laicità e divieto di discriminazioni e alla libertà di coscienza è riconosciuta una protezione particolarmente intensa del sistema costituzionale (cfr. Corte Cost. sent. n. 467/1991), dovendo essa essere preservata dagli attentati, diretti e indiretti, suscettibili di annidarsi in una.grande varietà di situazioni disciplinate dalla normativa subcostituzionale. Tutto ciò manifesta l'intendimento del Giudice delle Leggi di assicurare puntualmente e specificamente le estrinsecazioni della libertà religiosa e quindi, in particolare, anche l'effettiva concretizzazione e tutela, protetta da discriminazioni, dell'attività di culto - "componente essenziale della libertà religiosa" (cfr. Corte Cost. Sent. 195/1993) da tutelarsi "in positivo", giusta la formulazione del comma 2 dell'art. 3 Cost. -, in connessione al principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. E ancora, muovendo questa volta dai singoli e non dalle confessioni, magiungendo al medesimo risultato, la Corte afferma che va tutelata "l'eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto, di cui l'eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di
operare rappresenta la proiezione necessaria sulpiano comunitario e sulla quale esercita un’evidente, ancorché diretta influenza lapossibilità delle diverse confessioni di accedere a benefici economici come quelliprevisti» da determinate normative (cfr. Corte Cost. sent. 346/2002). Vanno ancoraricordate al riguardo, le affermazioni del giudice costituzionale sull’eguale libertàdelle confessioni religiose, da prendersi in considerazione, anche, in particolare, «inquanto preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini, e cioè infunzione di un effettivo godimento del diritto di libertà religiosa, che comprendel’esercizio pubblico del culto professato come esplicitamente sancito dall’art. 19Cost. In questa prospettiva tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare17gli interessi religiosi dei loro appartenenti» (cfr. Corte Cost. sent. 346/2002). Da ciòne discende l’inaccettabilità
della diversità di trattamento, tra confessioni religiose in quanto "il rispetto dei principi di libertà e di eguaglianza ... va garantito non tanto in raffronto alle situazioni delle diverse confessioni religiose ..., quanto in riferimento al medesimo diritto di tutti gli appartenenti alle diverse fedi e confessioni religiose di fruire delle eventuali facilitazioni disposte in via generale dalla disciplina comune dettata dallo Stato perché ciascuno possa in concreto più agevolmente esercitare il culto della propria fede religiosa"; Ne consegue che qualsiasi discriminazione in danno dell'una o dell'altra parte religiosa è costituzionalmente inammissibile in quanto contrasta con il diritto di libertà e con il principio di uguaglianza" (cfr. Corte Cost. Sent. 195/1993). Infine, per chiudere il discorso relativo alla giurisprudenza costituzionale, è opportuno precisare un passaggio logico che è stato.- utilizzato
- dalle giurisdizioni amministra