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La rivoluzione di Cartesio
Il periodo storico- filosofico in cui cresce e si sviluppa il pensiero di
Cartesio, è quello della Francia del XVII secolo: è il periodo delle
rivoluzioni scientifiche, della riscoperta fiducia nella matematica,
geometria e fisica, è il periodo di Francesco Bacone, Giordano Bruno e
sopratutto di Galileo Galilei (uno dei personaggi che influenzerà
moltissimo la filosofia di Cartesio). Vi è un' esperienza che tocca
profondamente il Cartesio-uomo, che porterà alla nascita del Cartesio-
filosofo, ed è un' esperienza che tutti possono provare: l'esperienza dell'
errore, dello sbaglio. L'esperienza di credere vero un qualcosa che poi si è
rivelato falso. Da qui parte la storia della filosofia di Cartesio, ovvero dalla
comprensione che vi è una radicale differenza tra certezza e verità: la
certezza è un atteggiamento emotivo, è la convinzione di chi crede di
essere in possesso della verità ma in realtà non la possiede. Allora dov'è, o
meglio, cos'è e come si trova la verità? Per Cartesio il primo frutto della
ragione è la scienza ed in particolare la matematica, sulla quale egli basa e
fonda la scoperta del metodo, ovvero una strada per la verità e la
conoscenza. Il filosofo parte proprio dall'analizzare le scienze
matematiche, che secondo lui sono già in possesso del metodo, capendo
però che esso e le regole matematiche in primis necessitano di una
giustificazione o fondazione (così da condurre l'uomo alla più alta e vera
conoscenza): Cartesio cerca questo, una filosofia non solo speculativa ma
anche “pratica”. Nella seconda parte del “Discorso sul metodo” (1637) egli
elabora le quattro regole del metodo: 1- Evidenza ( accogliere come vero
solo ciò che risulta evidente, ossia chiaro e distinto), 2- Analisi (procedere
dal complesso al semplice), 3- Sintesi (risalire dal semplice al complesso),
4- Enumerazione e revisione (enumerare tutti gli elementi dell'analisi e
rivedere tutti i passaggi della sintesi). La regola cruciale della speculazione
cartesiana è l' evidenza, che il filosofo oppone alla congettura (la cui verità
non può apparire allo spirito immediatamente). L'atto con cui lo spirito
arriva all'evidenza è l'intuito, e la chiarezza e distinzione diventano i
caratteri fondanti di un' idea evidente. Tuttavia queste regole non recano in
se stesse la loro giustificazione. Cartesio deve quindi tentare di dar loro un
fondamento risalendo alla loro radice: l'uomo come ragione. Per fare
questo, secondo Cartesio l'unico strumento è il dubbio: il dubbio di
Cartesio è un qualcosa di forte, radicale ed indispensabile. Il dubbio
diventa metodico, una sospensione del giudizio, una critica che distrugge
ogni certezza. Se applicando questo metodo, si arriverà a trovare un
principio di cui non è possibile dubitare, allora quello stesso principio sarà
il fondamento di tutte le conoscenze. Il dubbio di Cartesio è un climax
ascendente, a cui nessun grado della conoscenza può sottrarsi.
< Poiché la ruina delle fondamenta trascina necessariamente con sé il resto
dell' edificio, io attaccherò da prima i principi sui quali tutte le mie antiche
1
opinioni erano poggiate. >
Il primo stadio del dubbio è la messa in discussione delle certezze
sensibili: se pensiamo alle passate esperienze ci accorgiamo che i sensi a
volte ci hanno ingannato e quindi ipoteticamente potrebbero ingannarci
sempre. Inoltre con l'esperienza del sogno ci rendiamo conto che l'uomo
non riesce a distinguere con sicurezza il sonno dalla veglia. Il secondo
stadio del dubbio mette in discussione persino le conoscenze matematiche:
è vero che esse rimangono le stesse sia nel sonno che nella veglia, ma chi
ci assicura che esse non siano un' illusione? Nel terzo stadio il dubbio
diventa iperbolico: Cartesio suppone così l'esistenza di un “genio maligno”
che ci ha ingannato fin dal principio su tutto quello che credevamo essere
chiaro ed evidente ovvero sull' esistenza di ogni cosa, compresi noi stessi,
il nostro corpo. Il dubbio raggiunge così il più alto grado di estensione e
diventa universale. Ed è a questo punto che Cartesio ha un' illuminazione,
un' idea, un pensiero immediato che lo colpisce nel profondo: io posso
essere ingannato sull'esistenza di Dio, del mondo, degli oggetti e perfino
del mio corpo ma per ingannarmi o essere ingannato è necessario che io
sia qualcosa, che io esista.
< Non v'è dunque dubbio che io esisto, s' egli mi inganna; e m' inganni
finché vorrà, egli non saprà mai fare ch' io non sia nulla, fino a che penserò
2
di essere qualche cosa. >
La proposizione < Io penso, dunque sono > è imprescindibilmente vera
perché il dubbio stesso la conferma. Io esisto quindi, ma cosa sono?
Essendo che ho posto l'epochè sui corpi e sulla realtà esterna, non posso
dire di avere o esistere come corpo. Io ( io inteso come il soggetto uomo )
sono un pensiero. Secondo il filosofo, io esisto come cosa che dubita, che
1 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, 1, Edizioni Laterza
2 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, 2, Edizioni Laterza
capisce, che vuole, che afferma ecc; io sono spirito, intelletto, ragione. E'
possibile che un oggetto della realtà che io percepisco non esista, ma non è
possibile che non esista io, che percepisco (o meglio, credo di percepire)
quell' oggetto. Su questa certezza, ovvero la proposizione “ego cogito, ego
sum”, si procederà a fondare ogni altra conoscenza, compresa la validità
della regola dell' evidenza. Ma Cartesio non si ferma qui, perché
comprende che il cogito è solo la partenza; esso non è la conclusione di un
percorso ma l'inizio di un viaggio, un viaggio che non può chiudersi nella
mera analisi dell' io. Il filosofo inoltre capisce che ha davanti un problema
irrisolto ovvero che io sono sicuro di esistere, ma non ho nessuna certezza
sulla realtà esterna (compreso il mio corpo), sulla quale vale ancora l'
ipotesi del genio maligno. La mia esistenza è quella di un essere pensante,
ovvero un essere che ha idee. Sono un essere che ha l'idea del cielo, della
pioggia, del vento ecc ma queste idee per ora esistono solo nel mio spirito,
nella mia mente. Ma queste idee o meglio, i fenomeni corrispondenti a
queste idee, esistono anche all' infuori di me? Cartesio divide le idee in tre
categorie: 1- Innate (che mi sembrano essere nate in me), 2- Avventizie
(che mi sembrano estranee o venute dal di fuori), -3 Fattizie (quelle
formate o trovate da me stesso). Alla prima categoria appartiene la capacità
di pensare e di avere delle idee; alla seconda appartengono le idee dei
fenomeni naturali; alla terza appartengono le idee di cose immaginarie o
inventate. Capire la differenza tra queste categorie di idee è la chiave di
volta. La differenza tra esse non è nella loro realtà soggettiva ma in quella
oggettiva, e bisogna quindi trovare ed analizzare da cosa esse siano
causate. Ed è qui che entra in gioco Dio, o meglio, l' idea di Dio. L' idea di
Dio, cioè di una sostanza infinita, onnisciente, eterna ecc, è la sola idea
nella quale vi è qualcosa che non può venire da me stesso, visto che io
sono privo delle perfezioni rappresentate da quell' idea. Ma postulato che
secondo Cartesio < deve esserci per lo meno tanto di realtà nella causa
3
efficiente e totale, quanto nel suo effetto> , così la causa dell' idea di una
sostanza infinita non posso essere io, che sono invece una sostanza finita.
Questa causa deve essere una sostanza infinita, la quale per tanto deve
essere ammessa come esistente. Questa è la prima prova cartesiana dell'
esistenza di Dio. Inoltre io sono un essere imperfetto e corruttibile (lo
dimostra la presenza in me di incertezze e dubbi); se io fossi la causa di me
stesso mi sarei dato le perfezioni che riesco a concepire e che sono
appunto contenute nell' idea di Dio. La conseguenza logica è che io non mi
sono creato da me, non sono causa di me stesso ma esiste un Dio all'
3 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, 3, Edizioni Laterza.
infuori di me, il quale mi ha creato finito ponendo in me l' idea di infinito e
di tutte le altre perfezioni. Questa è la seconda prova cartesiana dell'
esistenza di Dio, a cui Cartesio “aggiunge” la tradizionale prova
ontologica (originariamente esposta da Sant' Anselmo D' Aosta) rivista
però in chiave moderna ovvero con il riferimento alle scienze
matematiche: < ritornando a esaminare l' idea che avevo dell' Essere
perfetto, trovavo l'esistenza vi era compresa nel modo stesso che è
compresa in quella del triangolo l'uguaglianza dei suoi angoli a due retti, o
in quella d' una sfera l'uguale distanza di ogni sua parte dal centro; e per
conseguenza è, per lo meno, tanto certo che quest' Essere perfetto, ossia 4
Dio, è o esiste, quanto può esser certa alcuna dimostrazione matematica > .
Una volta stabilita l' esistenza di Dio (che diventa garante di ogni verità),
la regola dell' evidenza trova il suo fondamento ultimo, e con essa anche
tutte le altre regole del metodo. Ma allora com' è possibile l' errore? Esso
dipende, secondo Cartesio, da intelletto e volontà: l' intelletto applica il
metodo, non nega né afferma nulla mentre l' atto di negare o affermare, è
compito della volontà. Nonostante l' applicazione del metodo, la volontà
resta libera e quindi può “disobbedire” all' intelletto; questo è possibile
perché lo volontà è più estesa dell' intelletto. Da qui nasce la possibilità
dell' errore, il quale non è dipendente o causato da Dio (il quale ha fornito
la volontà della massima perfezione possibile, ovvero la libertà) ma è
responsabilità dell' uomo e dell' uso del suo libero arbitrio. Con il recupero
delle certezze garantite dalle idee chiare e distinte, a Cartesio è permesso
volgere lo sguardo alla riflessione sull' esistenza della realtà esterna. Non
si può dubitare che l' io possegga una facoltà attiva e una passiva: la
passiva sente, l' attiva produce. Il fatto che questa facoltà attiva produca o
formi idee in me, presuppone l' esistenza di un qualcosa diverso dalla
sostanza pensante (res cogitans), un qua