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GUARDIE GIURATE,
considerato del passato: il principio è che se ci sono delle guardie addette a controllare lo
svolgimento dell’attività lavorativa, il lavoratore deve sapere che quelle persone sono lì per
fare questo, per controllare. “spie”,
In altri termine, quello che lo statuto voleva evitare è che ci fossero delle non
conosciute come “addetti alla sorveglianza” dal lavoratore. cui è dedicato l’art 6.
Il secondo principio riguarda le VISITE PERSONALI DI CONTROLLO
Ci può essere un forte interesse o un’esigenza da parte del datore di lavoro a controllare i
lavoratori, ma i controlli devono seguire delle procedure corrette.
all’uscita
Devono essere dei luoghi di lavoro;
Si deve cercare un accordo con le rappresentanze sindacali in azienda;
Le procedure devono essere oggettive (es. se ci sono dei furti, il datore di lavoro può
scegliere o una modalità a campione, o di controllare tutti: quello che non può fare è di
scegliere personalmente chi controllare, i possibili sospettati)
Una delle disposizioni più datate è l’art 4 sugli IMPIANTI AUDIOVISIVI E ALTRE
che abbiano finalità di controllo del patrimonio dell’azienda ma che
APPARECCHIATURE
finiscono per far emergere l’attività lavorativa della persona (es. telecamere di un negozio),
svolgendo su di essa un’attività di controllo molto pregnante.
i ragionamenti in corso, va ricordato che l’art
Sullo sfondo di tutti 8 della legge 148/2011
consente alla contrattazione collettività di prossimità di derogare per finalità ampie ad una
serie di discipline tra cui la disciplina sull’orario di lavoro e sugli impianti audiovisivi. Queste
discipline fanno quindi parte di quelle materie su cui il contratto collettivo di prossimità può
derogare non solo a quello nazionale, ma anche alla legge, sempre nel rispetto dei principi
costituzionali e della normativa europea (es. consentire la lesione della dignità del
lavoratore, o la deroga al riposo minimo delle 11 ore).
L’OBBLIGO DI SICUREZZA DEL DATORE DI LAVORO
La normativa su salute e sicurezza nel luogo di lavoro è una normativa che ha
(già nell’art 2087 si parla dell’obbligo di sicurezza del
fondamento nel codice civile datore
di lavoro; articolo molto utilizzato soprattutto in assenza di una disciplina legislativa).
Nel frattempo è partita una normativa a livello europeo che ha creato un corpus normativo
talmente complesso e corposo da rendere necessario un TESTO UNICO SU SALUTE E
SICUREZZA, arrivato con il d.lgs. 81/2008, più volte rivisto.
LA RETRIBUZIONE DEL LAVORATORE
Il tema della retribuzione è stato il primo oggetto dei primi contratti collettivi (c.d.
concordati di tariffa), che contenevano veri e propri tabellari retributivi.
Il principio di riferimento resta l’art secondo il quale “il
36 Cost lavoratore ha diritto a una
, e in ogni caso sufficiente ad
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato
un’esistenza libera e dignitosa”.
assicurare a sé e alla famiglia
Mentre il PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ tra il lavoro svolto e la retribuzione percepita va da
sé, la grande novità è l’inserimento del PRINCIPIO DELLA SUFFICIENZA.
Questo tema è delicato sotto tanti profili.
È ad esempio molto controverso il riferimento alla famiglia: il costituente parla al 36 di
famiglia, ma all’art 37 parla di “essenziale funzione familiare della donna”. Ne esce un’idea,
risalente a più di 60 anni fa, in cui emerge la figura del capofamiglia.
tema del lavoro della singola persona o all’interno del nucleo famigliare è uno di quei temi
Il
irrisolti e forse irrisolvibili.
Il diritto del lavoro è disegnato sulla singola persona, pertanto è difficile capire come vi entra
l’ambito familiare di provenienza e il reffito familiare.
Dell’art 36 si è parlato anche trattando dell’efficacia della contrattazione collettiva di diritto
comune: si è detto che non è efficace erga-omnes), ma le tabelle retributive potrebbe essere
utilizzate dal giudice chiamato a decidere secondo equità. I contenuti dei contratti collettivi
diventano così efficaci erga-omnes.
L’art 37 Cost contiene il PRINCIPIO DELLA PARITÀ RETRIBUTIVA: la donna lavoratrice
ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Tuttavia, in nessun paese europeo, in nessun settore, in nessuna mansione questa parità
retributiva esiste. NON ESISTE UN PRINCIPIO DI PARITÀ RETRIBUTIVA ASSOLUTO,
ma la si trova solo quando è declinata.
Questo principio vale solo quando previsto (e su questo c’è costante giurisprudenza):
c’è stato un tentativo di affermare qualcosa di diverso, ma risale a molti anni fa.
Ha diritto alla parità retributiva la lavoratrice che svolge lo stesso lavoro del lavoratore.
Questo per dire che tra lavoratrice e lavoratore non ci può essere disparità retributiva, ma
tra lavoratore e lavoratore si, tra lavoratrice e lavoratrice si: ci possono infatti essere
condizioni di lavoro diverse tra lavoratori.
Se non si è in presenza di un rischio di discriminazione non esiste un principio generale di
parità di trattamento, men che meno un principio generale di parità di trattamento retributivo.
Non esiste una definizione legislativa di RETRIBUZIONE: nella maggior parte dei casi si
fa riferimento ai contratti collettivi, che contengono tutti una tabella retributiva.
Nei contratti collettivi è prevista la paga base, e poi ci sono tutte le indennità (es. indennità
di contingenza, poi bloccata, ma che ancora a volte compare, l’indennità per lavoro festivo e
per lavoro notturno, l’indennità di lavoro straordinario) calcolate sulla paga base (es. paga
base = 100, indennità di lavoro straordinario = 10% della paga base).
La retribuzione, quanto è corrisposto al lavoratore, è composta da una pluralità di voci.
Non c‘è comunque una definiziaone legislativa: lo si desume, è l’insieme delle voci che
compongono la retribuzione corrisposta al lavoratore a tempo (ormai quasi più a
cottimo, ossia a seconda dei pezzi prodotti).
La retribuzione a cottimo non è però del tutto scomparsa, perché nella retribuzione, oltre alla
paga base, rientrano anche le varie indennità legate al tipo di lavoro svolto (straordinario,
notturno, ecc) e l’INDENNITÀ DI PRODUTTIVITÀ, quella parte variabile della retribuzione
legata alla produttività, che cerca di collegare la retribuzione al rendimento.
Di solito è la contrattazione collettiva che cerca di spiegare come si calcola la produttività
quando si chiede l’attivazione dei
Negli anni 60, contratti aziendali, lo scopo era
legati alla redditività dell’azienda, da calcolarsi
riconoscere il premio di rendimento,
azienda per azienda: la prima retribuzione variabile, dopo quella a cottimo, è quindi arrivata
con la contrattazione aziendale.
La contrattazione aziendale di 2° livello aveva infatti la competenza di collegare la
retribuzione alla redditività dell’azienda.
Le PROCEDURE DI CALCOLO DELLA REDDITIVITÀ ponevano diversi problemi.
Ci sono tutta una serie di profili sulla produttività che possono in generale essere affidati alla
contrattazione collettiva, ma dopo occorre un contratto aziendale che evidenzi se c’è stato
aumento della reddittività o meno.
L’ordinamento, almeno dal 93, cerca di incrementare la parte variabile della
retribuzione, anche perché è una spinta ad incrementare la produttività del sistema.
La tradizione del sistema produttivo è che le persone vengano pagate a tempo, e la retribuzione
è tendenzialmente fissa: una delle critiche è che così non si aumenta la produttività.
La produttività più semplice da rilevare è la produttività a cottimo, quella che adesso viene
chiamata “produttività a sforzo”. Più rilevare l’apporto di produttività:
difficile è invece
su questo non ha giovato quella che è una scelta molto spesso adottata dal legislatore, che
è quella di consentire alla contrattazione collettiva di identificare, di contrattare sui premi di
produttività e di detassare la parte di retribuzione variabile.
Alcuni provvedimenti prevedono infatti, da almeno 20 anni, la detassazione e
decontribuzione della parte variabile di retribuzione, in modo da renderla forte, in quanto
l’interesse delle parti è ridurre il costo del lavoro (anche se c’è chi dice che, essendo quella
parte senza contribuzione, significa diminuire la parte pensionistica).
Il giudizio negativo deriva dal fatto che “basta che ci sia un contratto collettivo”, ma non è
detto che sia “qualitativamente alto”, cioè che conduca ad un incremento della produttività.
Tornando alla NOZIONE GIURIDICA DI RETRIBUZIONE.
Non esiste una nozione legale di retribuzione unitaria e di generale applicabilità.
Non c’è una disciplina unitaria che dica da cosa è composta la retribuzione: lo si deduce o
da singole disposizioni, o dal dibattito giurisprudenziale sul punto.
La giurisprudenza, in particolare, ha elaborato il PRINCIPIO DELLA OMNICOMPRENSIVITÀ
della retribuzione, ma questo tentativo è stato nel tempo accantonato.
La formula più completa di retribuzione, che un po’ serve da riferimento, la si trova nella
disciplina legislativa sul TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (TFR), la legge 297/82, che
c.c sull’indennità di anzianità.
ha introdotto il TFR e modificato gli artt 2120-21-22
quando cessa il rapporto di lavoro, c’è un quota di retribuzione
È stato previsto che, che
viene erogata in quel momento.
come modificato nell’82, si precisa che “in ogni caso” il lavoratore ha
Guardando il 2120,
diritto al tfr. Il comma 2 detta poi una nozione legislativa di retribuzione, ai fini però del tfr
(non in generale): la base di calcolo del tfr è la retribuzione, e il 2° comma precisa che la
RETRIBUZIONE ANNUA comprende “tutte compreso l’equivalente della
le somme,
(es. beni prodotti dall’azienda),
retribuzione in natura corrisposte in dipendenza del
rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo
di rimborso spese”.
La nozione è comunque ancora molto generica.
La prima parte stabilisce COME SI CALCOLA IL