Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Più che una subalternità della stampa minoritaria alla televisione, tra la metà degli
anni Ottanta e la metà degli anni Novanta vediamo piuttosto qualche cosa di più
profondo e radicale. Sotto i colpi del conflitto Rai e Fininvest non cade soltanto
l’intento educativo del servizio pubblico radiotelevisivo, ma finisce in pezzi anche
qualunque altra idea televisiva che non sia quella generalista.
Muore sul nascere qualunque spunto per un progetto editoriale tematico o di target, e
questo avviene tanto in tv quanto nell’editoria.
Sotto i colpi di questo conflitto emergono due fenomeni molto importanti:
La nuova idea di mercato televisivo.
→ La centralità delle concessionarie pubblicitarie in un settore così delicato
→ dell’industria culturale.
La televisione generalista si afferma con il duopolio, e diventa l’unico possibile modo di
essere della Tv e per estensione di tutti gli altri media. La situazione di duopolio cela in
realtà dietro di sé una condizione di monopolio assoluto prima delle risorse
pubblicitarie, poi sui contenuti, quindi sulle forme di sviluppo dell’intero sistema dei
media in Italia.
Questa situazione resta tale fino alla seconda metà degli anni Novanta. Nel campo
strettamente televisivo il duopolio monopolistico mantiene inalterata la sua forza
addirittura nel nuovo decennio, che ha affermato in Italia una sola forma di televisione
su tutte le altre possibili. Ha giocato a lungo e decisamente sulle forme economiche
dell’intero sistema dei media nel nostro paese, imponendo la massificazione delle
risorse pubblicitarie con un unico modello imprenditoriale, e innervandosi
inestricabilmente nelle vicende e nei destini del sistema politico.
Alla tv si sono combattute partite economiche e politiche decisive giornalismo non
poteva non esserne influenzato.
8. La manutenzione dei luoghi comuni
Come dice Eco “non esistono più i fatti” perché ciò che rende tale un fatto è la sua
notiziabilità, la capacità di suscitare l’interesse dei media.
Una redazione seleziona le notizie da mettere in pagina sulla base di due grandi
imperativi:
Rendere i fatti lavorabili nell’arco della giornata;
→ Cercare di stare in sintonia con ciò che il mondo si aspetta.
→
Convinzione ben radicata che nulla esiste se sta sui media:
• Versione popolare;
• Versione più raffinata.
Se ci sono eventi molto forti per l’opinione pubblica, questi prendono il sopravvento su
qualsiasi altra notizia. Si mette in secondo piano la normalità mentre si amplia in
maniera enciclopedica l’informazione su un certo evento. Esempio, 11 settembre
2001.
I momenti eccezionali sono appunto eccezionali, da rientrare subito nello schema delle
priorità: l’emergenza crea una soglia di attenzione più alta rispetto a quella normale
ed è qua che i media devono rispondere alle esigenze di informazione. I media sono
fondamentali in questi momenti perché orientano l’opinione pubblica.
Ragionamento del Censis di Giuseppe De Rita: quando accadono eventi che si
impongono quasi automaticamente all’opinione pubblica, la capacità di racconto e
analisi del giornalismo italiano rimane a livelli accettabili. Quando la cronaca si
impoverisce, si atrofizza la capacità di descrizione e interpretazione.
2. In redazione
1. Piazza Indipendenza: il giornale partito
Il 14 gennaio 1976 esce Repubblica. È un quotidiano smilzo di ventiquattro pagine
poco più. Vivacchia a stento i primi due anni, anche se flirta con successo con l’area
socialista e con quella del Movimento del ‘7.
Arriva il 16 marzo 1978: Moro viene sequestrato. Repubblica è uno dei giornali della
fermezza contro le richieste delle Brigate Rosse, come altri quotidiani, il Corriere in
testa. Questi quotidiani respingono sia le richieste di pubblicazione dei comunicati
delle BR, sia le proposte di trattative tra Stato e BR, sostenute con maggior forza dal
Psi di Craxi.
Nel 1978 Repubblica sale dalle 80-90mila copie alle 145mila. E continua a crescere
negli anni successivi.
Costruisce le sue fortune proprio sulla formula politica. repubblica fa politica davvero.
Fa politica chiaramente sin dagli esordi. C’è l’autocollocazione nella vasta area della
sinistra, esplicitata nell’editoriale di presentazione del giornale. Ci sono poi gli atti
concreti: il 20 giugno 1976 Scalfari firma il fondo, l’appello al voto. Dice chiaramente
che tutti gli altri quotidiani ravvisano nella Dc la colonna dell’ordinamento democratico
e sostiene che la Dc non è più il pilastro della democrazia italiana, anzi, rischia di
esserne il becchino. Chi spera e vuole specifici progressivi deve dunque volere
adeguati mutamenti politici e comportarsi di conseguenza.
Mercoledì 23 giugno 1976 Giorgio Bocca è tutt’altro che delicato usando parole dure
nei confronti di Bettino Craxi. Nel 1979 Giampaolo Pansa mette impietosamente e
drammaticamente sotto accusa quella stessa sinistra. Tanti da sinistra gli spararono
addosso.
Questi sono tutti esempi per capire come Repubblica sia diventato il punto di
riferimento per tutta la sinistra.
Repubblica era un giornale che faceva politica, ma imponendo una presenza politica
autonoma. Nulla, o quasi, del collateralismo storico dei quotidiani italiani verso il
partito di maggioranza o di opposizione. Non legata al carro delle coalizioni
tradizionali. Capace di leggere e raccontare umori della politica italiana senza inserirsi
organicamente dentro una corrente o dentro uno schieramento, com era stato, sul
versante delle opposizioni, nella tradizione del giornalismo italiano di sinistra.
Ugo Intini accusava Repubblica di essere il giornale partito o peggio il partito
responsabile dell’informazione: pretendeva che Repubblica fosse semplicemente una
posizione politica, una delle tante voci del coro e neppure sottoposta al giudizio degli
elettori. Non era del tutto fuori segno, ma non aveva capito la molla in più non aveva
compreso lo scarto che aveva fatto di un giornale politicamente orientato un
quotidiano che poteva indirizzare ben più di una scelta di voto. C’era ben più di un
orientamento politico dentro le posizioni e l’influenza di Repubblica.
Formula imposta da Repubblica al giornalismo italiano: settimanalizzazione dei
quotidiani trasmutazione di stili, formule e temi dal giornalismo settimanale a
quello quotidiano. Certi tratti caratteristici di Repubblica sono presi pari pari
dall’Espresso vecchia maniera. Ma scavando un po’ più a fondo si arriva a conclusioni
più radicali: lo stile è la manifestazione di una operazione cognitiva. Il giornale di
Scalfari si è sempre sforzato di trasformare la notizia in un tema, oppure, più
precisamente, di fare un evento-notizia.
Repubblica si è mossa fin da subito contro il tratto distintivo della tradizione del
giornalismo italiano: giornale come neutrale registratore dei fatti salienti accaduti il
giorno prima. Attraverso le tecniche stilistiche ogni notizia diventava una storia in sé
conclusa, con attacco, svolgimento e fine.
Erano giustapposti, senz’altro schema logico se non quello della divisione del lavoro
delle diverse redazioni, i resoconti di un mondo che dava invece sempre più il segno
della frammentazione.
Repubblica rompe immediatamente questo schema. Innanzitutto nel giornale non
c’era tutto: soltanto i temi e le notizie importanti. Quegli stessi temi erano poi trattati
con schemi radicalmente innovativi per il giornalismo italiano. Ci si focalizzava su
determinate notizie e se ne parlava per più articoli e più pagine sottolineando quindi
l’importanza di quel tema per quel giorno.
Le singole notizie cedevano il passo alla tematizzazione, alla costruzione di un
imponente approfondimento giornalistico attorno al tema, o ai temi, di giornata.
Ciò portava alla costruzione esplicita di un’agenda di priorità.
Quella che ne emerge è una scrittura differente rispetto a quella della tradizione del
giornalismo quotidiano: una scrittura di settimanale, ricca di aneddoti, colori,
retroscena, particolari sui personaggi. Ricca di scrittura e narrativa diverso approccio
cognitivo e modo diverso di affrontare il mondo.
Repubblica non era più il giornale al quale era affidato di raccontare obiettivamente
tutto quello che era accaduto il giorno prima. Il nuovo quotidiano raccontava soltanto
ciò che di realmente importante era accaduto il giorno precedente e di quei fatti
raccontava tutto.
È chiaro che tutto si giocasse sull’agenda, sulle motivazioni che dovevano spingere
redazione e lettori a dare così tanta visibilità a un determinato fatto rispetto che a un
altro.
L’assoluta novità introdotta da Repubblica è la pagina tematica, oggi sempre presente
in tutti i quotidiani
Perché la formula di Repubblica è stata vincente? Per leggere Repubblica devi avere un
minimo di cultura, un minimo di appartenenza e certe idee.
Si deve rispondere prima alla domanda chi sei? Che mette in rilievo come quello che
conti nei destini di un giornale è la sua identità. Un’identità più forte delle posizioni
assunte di giorno in giorno o di fase in fase.
A quel periodo i giornali non potevano pretendere alcun segno di continuità, forse solo
il Corriere della Sera. Oltre ad esso, sull’identità delle testate, sulla sua durata nel
tempo e sul suo sapere costruire legami di appartenenza, restano soltanto altri due
casi: Il quotidiano locale: poggia la propria identità sui concetti di località e
→ regionalità;
Il quotidiano partito: sa accaparrarsi una fetta di lettori disposti tutti i giorni ad
→ acquistare un quotidiano che non dà notizie o se le da, lo fa perseguendo la
propria battaglia politica.
Per tutto il resto, Ezio Mauro parla per Repubblica di un’assoluta novità sul piano
dell’identità. Ma che cos è quell’identità? Che cosa è stata e come è nata nelle vicende
di Repubblica? E perché Repubblica è riuscita a imporla come segno distintivo del
giornalismo italiano di fine secolo?
L’intento di Repubblica era arrivare a una fetta precisa del paese: la classe dirigente,
prendendo così come riferimento non il reddito ma i ruoli esercitati nella società.
L’idea era creare un giornale di classe, distinzione oggi obsoleta. La sinistra oggi non è
più soltanto classe come sottolinea il movimento del ’77, e la classe dirigente non è
più soltanto conservazione come Scalfari aveva perfettamente intuito.
Sul versante politico, possiamo considerare Repubblic