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IL TRADUTTORE E IL MERCATO: DEONTOLOGIA E PROFESSIONE

Etica o deontologia? Nella letteratura sulla traduzione, il termine etica viene spesso considerato sinonimo del termine deontologia. Sebbene molti percepiscano una profonda differenza tra etica e deontologia, non è molto facile argomentarla.

Possiamo dire che la deontologia impone:

  1. che si applichi la legislazione vigente in materia;
  2. che si mettano in pratica al meglio le proprie abilità professionali contenendo i propri onorari e i tempi di esecuzione della prestazione entro i limiti stabiliti dagli ordini o dalle associazioni professionali.

La deontologia sembrerebbe dunque un fatto sociale che risponde a criteri oggettivabili e formalizzabili, mentre il senso etico sembrerebbe rispondere a una facoltà biologica che, a contatto con l'ambiente culturale, evolverebbe nella percezione interiore dell'individuo di avere una volontà soggettiva e un'intenzionalità (libero).

arbitrio). L'esistenza del libero arbitrio parrebbe dunque una condizione indispensabile per parlare della differenza tra etica e deontologia in quanto senza di esso tale differenza sfuma. L'esistenza del libero arbitrio fa dell'essere umano un'intelligenza morale, in grado di scegliere intenzionalmente se onorare o violare le norme; da questo punto di vista, il computer resta il solo traduttore completamente schiavo, costretto ad un'etica programmata (pseudoetica). La traduzione dunque è tra i settori professionali che presentano maggiori implicazioni etiche in quanto in esso sono frequenti conflitti tra i dettami convenzionali della professione e la percezione del proprio agente morale. Se ad esempio il cliente, durante una trattativa, insulta il suo interlocutore e l'interprete smorza i toni per non far fallire la stessa, fa bene o fa male? Secondo Pym, essendo il traduttore sempre responsabile di ciò che dice, di fronte al conflitto

l’unicasoluzione è quella di non tradurre. Questa è la soluzione più ovvia perché l’io del traduttore non viene mai eliminato dal campod’azione, proprio perché il traduttore è umano: se la deontologia, in quanto algoritmo professionale,costituisce un freno alla propensione etica del traduttore, l’etica, al contrario, costituirà un freno alsuo automatismo deontologico.Quindi, qualunque sia la posizione etica o morale di un traduttore, da un punto di vista professionaleegli potrà essere responsabile solo se sarà stato addestrato ad esserlo.Una teoria etica della traduzione, dunque, non offre soluzioni pronte, universali e giuste, ma facapire quanto è difficile reperire criteri alla propria responsabilità professionale, civile e individuale.Solo una crescita del ruolo professionale può contribuire in modo decisivo all’autonomiadecisionale. In questo senso, l’eticaè anche una questione sociale (e non solo biologica) che implica la possibilità di affrancarsi, almeno in parte, dai dettami imposti dai clienti e dal mercato, di essere un po’ meno sfruttati e un po’ meno mercenari. Il mercato editoriale: patroni, critici e consumatori. I testi, in quanto prodotti di parola e di segni condivisi da gruppi circoscritti sono “forze sociali”. Tuttavia, perché un libro abbia successo non è necessario che esso sia un mero capolavoro, bisogna invece che abbia notorietà. Tale notorietà viene spesso acquisita entrando nella top ten dei bestsellers (è infatti dimostrato che una volta entrato in questa classifica un libro incrementa la vendita delle proprie copie). Lo stesso criterio vale per il libro tradotto. Questo libro tuttavia non è solo il risultato del lavoro dell’autore ma il suo successo dipende soprattutto dalla traduzione che ne è stata fatta. Nonostante a partire dalsecondo dopoguerra, l'attività traduttiva ha avuto uno sviluppo quantitativo esponenziale, ciò non ha contribuito ad una rivalutazione della professione. I Translation Studies hanno definito il paradosso per cui, almeno in Occidente, i traduttori sono esclusi da un adeguato riconoscimento sociale, economico e affettivo. Oggi più che mai, nella maggioranza dei casi, i traduttori sono visti come dei gregari, il cui nome viene indicato dentro il libro a piccoli caratteri sul retro del frontespizio. Se poi si tratta di manualistica o documentazione tecnica, di atti di congressi e verbali di riunioni, il nome del traduttore non figura, anche se è su di esso che grava la responsabilità giuridica. Anche se meglio pagati di quelli che lavorano in ambito editoriale, i traduttori per l'impresa e per i clienti privati godono di un prestigio sociale straordinariamente basso rispetto al servizio richiesto ed ai rischi che si assumono. Da sempre la traduzione

Sottostà al di patroni e di sistemi di potere che promuovono o ostacolano alcune opzioni e alcune traduzioni piuttosto che altre. I traduttori hanno potuto influire sul mercato della cultura e hanno ottenuto un ruolo attivo solo raramente, dopo aver maturato notorietà personale in altro campo e conseguenti appoggi influenti. Quanto più la sua opera poteva influire sul polisistema culturale, tanto più il traduttore era controllato e reso meno autonomo nel suo lavoro.

Paradossalmente il traduttore sembra essere visibile solo in negativo nel senso che condivide con l’autore le colpe ma non i meriti. Inoltre quando lavorano per l’editoria o per il cinema, i traduttori sono costretti a cedere i diritti d’autore al loro cliente nonostante questi rientrino nella normativa sul diritto d’autore. Ancora, la pratica traduttiva sottostà a tariffari stabiliti dalla cerchia solidale dei patroni, decisi a lasciare i traduttori fuori dal mercato. Solo

Pochi privilegiati che svolgono comunque un altro mestiere o che hanno raggiunto una certa fama in altri campi possono porre condizioni e vedere riconosciuto il loro ruolo (non di traduttori ma di qualcos'altro).

Se un traduttore vuole scavalcare il patronato e operare in modo autonomo, egli deve condurre indagini di mercato, scoprire qualche opera del passato o del presente che non è ancora stata tradotta, che è bene tradurre e che potrebbe avere successo. Tuttavia, non avendo un ruolo interno al sistema di produzione, nessun normale traduttore ha sufficiente autorevolezza per condizionare le scelte editoriali.

In definitiva, per pubblicare una traduzione, è indispensabile essere qualcuno o avere fortuna (esempio di Oreste Lionello che ha tradotto il Cyrano de Bergerac prendendosi tutto il tempo che voleva e chiedendo come compenso una somma altissima che gli fu data perché il produttore era amico della figlia e non poteva dirgli di no).

In Italia il controllo

mantengono sindacalmente deboli e rassegnati alla subordinazione pur diguadagnare qualcosa;- in terzo luogo, solo in tempi recenti ci si è posti il problema di creare corsi universitari volti allaformazione di traduttori professionisti.Infine non si potrà sperare di migliorare lo status del mestiere finché non si placheranno i detrattoridella disciplina, coloro che negano qualsivoglia possibilità di regolamentare l’attività e l’addestramento dei professionisti. Se la teoria resta invisibile, se si rinuncia a parlare della traduzione in termini almeno parzialmente disciplinati, se si rinuncia a valutarla e criticarla secondo parametri flessibili ma coerenti, si contribuisce a rinnegare la serietà della mediazione interculturale.È evidente che il problema della individuazione di parametri flessibili ma coerenti è di difficile soluzione e che la flessibilità consiste proprio nella disponibilità a cercare diverse

scale di valori che lascino aperto il dibattito ponendo limiti all'arbitrio e formulando le regole dell'arte. Riconoscere in un mestiere la presenza di regole dell'arte vuol dire riconoscere un nesso irrinunciabile tra conoscenza teorica e competenza professionale nonché tra competenza e qualità del prodotto. Questo intendeva Ladmiral introducendo nel 1994 il concetto di "teoremi per la traduzione", ovvero paradigmi e criteri che consentano di realizzare una traduzione in modo non arbitrario. Il problema base è dunque quello di stabilire dei punti di riferimento, di ammettere che stabilire dei riferimenti è necessario per far funzionare qualsiasi sistema critico. Operare in qualità di critico o recensore della traduzione è possibile solo sulla base di un approccio epistemologico che non riguarda le regole in sé, ma l'esistenza stessa di un sistema regolatore comune a traduttori, lettori, critici, recensori ed

editori.Infatti un prodotto non va bene perché piace a qualcuno che l'avrebbe fatto così ma perché rispettoa postulati noti e al momento condivisi, ha sostituito all'arbitrio strategie argomentabili, atte arealizzare un progetto. In pratica, chi esamina una traduzione, deve tenere conto del rapporto cheunisce il processo traduttivo (dato dal metodo, dal sistema, dai criteri, dalle strategie) al prodottoche necessariamente è stato creato per assolvere funzioni diverse e non sempre compatibili tra loro.In Italia, i problemi connessi alla critica della traduzione non sono legati solo alla radicatadiffidenza nei confronti di un genere secondario o della teoria, ma a problemi di ordinesociopsicologico.Nella maggior parte dei casi, un aspirante critico della traduzione incontra una serie di deterrentiche generano un sistema di autocensura. Il critico, infatti, si trova potenzialmente a recensiretraduzioni di amici, colleghi e autorevoli accademici,

Formattazione del testo

edite da case editrici per le quali egli ha lavorato, lavora o vorrebbe lavorare. Ciò garantisce una sorta di impunità per i traduttori poco seri edi connivenza per i potenziali clienti.

Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
35 pagine
31 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/01 Glottologia e linguistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sidney81 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria della Traduzione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi L'Orientale di Napoli o del prof Montella Clara.