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TEORIA SOCIALE E MODERNITA’
La parola “teoria” deriva dal verbo greco theoréin, che significa grosso modo “contemplare
qualcosa riconoscendovi un ordine”.
La parola teoria ha cambiato significato per gli autori che l’hanno sviluppata. Il verbo theoréin
proviene dal verbo “orào” che significa “vedo, conosco”, theoréin è “contemplare riconoscendo
l’ordine immanente che c’è nelle cose”. La nostra mente ordina il mondo. La parola teoria aveva in
greco antico come primo significato quello di “processione”, si intende in questo senso una fila che
ha un ordine. La teoria è ordinata. Oggi chi usa la teoria nelle ricerche, la avvicina ad un “modello”.
La teoria sociale è molto spesso intesa come la parte più astratta, come i modelli che ha in mente
chi fa sociologia.
Per “teoria sociale” si intende spesso la parte più astratta della sociologia: i concetti, i
modelli di certi processi, gli schemi di pensiero generale proposti da autori e da scuole.
La “teoria”, che tende ad affermazioni valide per un ampio numero di casi diversi, si
distingue in questo modo dalle ricerche empiriche, il cui raggio d’interesse è più
circoscritto.
Questa è la definizione standard, però solo storicamente la teoria sociale riguardava solamente la
sociologia; in realtà la teoria sociale è interdisciplinare. La teoria sociale è il luogo in cui diverse
teorie sociali si confrontano intorno a teorie di base.
La distinzione fra teoria e pratica va presa con cautela: le pratiche sono intrise di teoria, e
fare teoria è pur sempre una pratica.
C’è un aspetto pratico nel fare teoria: ci si mette energia e fatica perché si pensa, e pensare è una
pratica; la teoria è una pratica. Conta parecchio chi la sta facendo, è molto importante tenere conto
della lingua in cui si fa teoria; in base alla lingua ci sono modi diversi di pensare alla cosa. La teoria
è una pratica, bisogna partire da questo presupposto; il pensare è una pratica ed è determinato. La
teoria è una pratica e quindi, in questo senso, è determinata. Se una persona fa teoria, lo fa in un
certo contesto storico e sociale. Intanto “storia” vuol dire una certa successione.
Se il ricercatore ha studiato sociologia, è avvantaggiato in questo campo, è determinato dalla
selezione operata nella sua disciplina, non può partire da zero. E’ determinato anche perché pensa
in un certo contesto, la pratica è determinata anche dal contesto sociale entro cui la si fa. Nessuno
è mai il primo a pensare, ciò significa che siamo determinati anche in questo; siamo all’interno di
una catena di pensieri. Secondo Chackrabarty c’è un’asimmetria nelle conoscenze.
La pratica teorica è determinata ma anche indeterminata.
Tutto ciò che è stato esplicato sinora, lo si ritrova nell’introduzione del libro “In un passaggio
d’epoca”.
Scrive Anthony Giddens:
“Lasciatemi sottolineare che io faccio uso del termine «teoria sociale» per circoscrivere una
serie di questioni che ritengo riguardino tutte le scienze sociali. (Dal libro “The constitution
of society).
Tali questioni hanno a che fare con la natura dell’azione umana e del soggetto agente; con il
modo in cui vanno concettualizzati l’interazione e i suoi rapporti con le istituzioni; e con il
modo di affrontare le dimensioni pratiche dell’analisi sociale.
La teoria sociale cerca di capire quali sono i concetti validi per parlare del mondo sociale, “teoria
sociale” è “riflettere su quale sia il modo migliore per concettualizzare l’uomo nel contesto sociale.
La teoria sociale deve occuparsi del ruolo che ha il linguaggio nella vita umana.
Continua Giddens: Per converso, intendo la “sociologia” non come una disciplina generica
che ha a che fare con lo studio delle società umane, ma come quella branca delle scienze
sociali che si focalizza in particolare sulle società moderne o “avanzate”. (Dal libro “Le
conseguenze della modernità)
La sociologia è nata per riflettere sulle società moderne nate in Europa. Giddens nel 1984 ha
ancora quest’idea, ma oggi non funziona.
La teoria sociale va intesa come la pratica attraverso sui si mettono a punto e si discutono
in modo ricorrente i presupposti, i concetti fondamentali ed i procedimenti conoscitivi delle
scienze sociali.
Si discutono concetti, presupposti e metodi, e si ridiscutono; è un continuo mettere in discussione
quello che già pensavamo.
MODERNITA’
Si prenda come riferimento sempre il libro di Giddens “Le conseguenze della modernità” che
contiene un concetto generale di modernità, importante per tutte le scienze sociali; si tratta di un
concetto che dev’essere discusso. Giddens presenta una visione molto standard di cosa sia la
modernità, è da qualche decennio che si discute del fatto che noi forse siamo in una post-
modernità.
Anthony Giddens sviluppa la concezione della modernità offerta dai classici del pensiero
sociologico, ma resta anche all’interno del loro modo di intenderla.
Il termine modernità si riferisce, per Giddens, a quei “modi di vita e di organizzazione
sociale” che affiorarono in Europa fra il XVII ed il XIX secolo, e che successivamente si
diffusero o influenzarono ogni parte del globo.
Questa definizione associa la modernità ad un’epoca e ad una collocazione geografica di
partenza determinate.
Questa è proprio una visione che enfatizza la discontinuità tra la modernità, intesa come epoca, e
tutto ciò che la precede. Novum che si contrappone e quindi spinge a mettere insieme tutto il resto.
Giddens dice che il primo aspetto della modernità è che da un certo momento in poi le cose
cominciano a cambiare incessantemente e con un passo accelerato. Comincia una situazione di
vita che ha come caratteristica quella di essere always changing: continuamente in cambiamento.
Nella modernità si intende che è bene cambiare, il che significa che la parola modernità è intrisa di
questo senso; è rimasta la concezione positiva del nuovo. La novità è in sé un valore, anche se
l’aspetto valoriale non lo scrive espressamente Giddens. Egli nota che vi sono alcune cose che
esistono dalla modernità in avanti, altre cose no. Giddens pensa sempre e solo all’Europa
occidentale, esprime bene la visione standard.
Per la situazione attuale, Giddens parla di una modernità “radicale” o “riflessiva”: una
modernità che ha a che fare con gli esiti di processi che essa stessa ha avviato.
L’aggettivo post-moderno nasce negli anni ’60 in architettura, nasce con il “modern style”; uno stile
uguale per dovunque. L’idea del post-modern è innanzitutto quella di creare edifici nuovi adatti al
contesto, per esempio mettere un patio se si è in Messico. Da lì poi il termine ha preso un impeto
internazionale enorme grazie al libro “La condizione post-moderna” (1979) di Jean-François
Lyotard. E’ una situazione in cui ci sono tante verità tra le quali è impossibile decidere, è
un’affermazione difficile; questo è uno dei pensieri della grande filosofia europea di fine ‘800 – inizi
‘900.
La realtà precede il linguaggio, col linguaggio ci approssimiamo alla realtà; dentro a ogni
linguaggio ci può essere la cosa vera e falsa. Il rischio è quello di arrivare al relativismo, secondo il
quale non c’è una sola verità; Lyotard su tutto questo fa confusione.
Egli parlava di “condizione post-moderna”, poi si arriva a parlare di post-modernità; secondo
Giddens è sbagliato. Continuiamo ad essere in un mondo di cambiamento costante, d’altra parte
non è che niente è cambiato; noi abbiamo a che fare oggi con le conseguenze della modernità. Si
tratta di esiti inintenzionali, succedono come effetto delle cose che si facevano per un altro motivo;
per esempio l’anno scorso Pennac ha messo in scena uno spettacolo che si chiama “Il sesto
continente” con protagonista una famiglia fissata con l’igiene. Loro diventano degli industriali di
detersivi, dalle loro fabbriche escono detersivi che finiscono in mare dove piano piano si forma il
sesto continente (un’enorme isola di rifiuti). Questa famiglia non aveva fatto tutto ciò per inquinare.
Si tratta di una delle conseguenze inattese della globalizzazione.
La parola “globalizzazione” ha iniziato a diffondersi negli anni ’80 e da allora, nonostante la
sua genericità, ha un incontrastato successo. Allude ad un insieme di processi composito,
che comporta una riconfigurazione delle attività economiche, culturali, sociali e politiche
che collegano gli Stati e le società costituenti la comunità mondiale, con l’effetto di
intensificare sia la loro interdipendenza, sia la diffusione di una consapevolezza
dell’interdipendenza.
Vediamo ora l’opinione di Gerard Delanty sulla teoria sociale e sulla modernità: egli ha scritto
un manuale di teoria sociale intitolato Contemporary European Social Theory. Anche per lui la
social theory non è la parte astratta della sociologia, vuole contrapporsi all’idea che sia una cosa
astratta.
Scrive Gerard Delanty: “La domanda cruciale oggi per quanto riguarda la teoria sociale
della modernità è la sua rilevanza per le trasformazioni globali e se può sfuggire
l’eurocentrismo. Una delle principali obiezioni al concetto di modernità è la sua supposta
natura eurocentrica.
Nel senso più semplice e letterale del termine, l’eurocentrismo è l’assunzione che l’Europa
o l’Ovest costituisce il centro del mondo.
In un senso più forte, il termine è un attacco alla pretesa di superiorità intrinseca
dell’Europa sul resto del mondo. Identificando l’imperialismo come il lato oscuro della
civiltà europea, i sostenitori dell’anti-eurocentrismo ritengono che non ci sia nulla di
moralmente superiore nell’Ovest.
In un altro senso ancora, l’eurocentrismo è un modo etnocentrico di pensare l’altro.
Il concetto di eurocentrismo non è teoricamente chiaro, può essere visto meglio nel
contesto di un discorso riflessivo di anti-eurocentrismo che comporta in varia misura una
critica delle ideologie che
Che cos’è la modernità? Il termine segnala una condizione di