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CRITERIO DI RANKINE
Il limite elastico di trazione è diverso dal limite elastico per compressione. IL CRITERIO DI Rankine imputa il superamento del limite elastico alla massima e alla minima tensione normale. La massima tensione normale porta allo snervamento se raggiunge il valore di Ϭ' e la minima tensione normale porta allo snervamento se raggiunge il valore di Ϭ''. La massima tensione normale deve essere inferiore a Ϭ', mentre la minima tensione normale deve essere superiore a Ϭ''. La massima e la minima tensione normale nel punto, valgono: Cioè sono, rispettivamente, il massimo e il minimo delle tensioni principali. Se rappresentiamo questo nel piano di Mohr abbiamo un certo stato tensionale: Dobbiamo verificare che la minima tensione normale e la massima non vengano superate. Questo stato tensionale è ammissibile perché sta tra le due sigma. Mentre Tresca restituiva nel piano di Mohr una fascia orizzontale, Rankinerestituisce una fascia verticale. La configurazione di rottura si ha quando i cerchi dimohr toccano la fascia, come nel caso verde. Se proviamo a rappresentare questo nello spazio delle tensioni principali, otteniamo un cubo. In uno stato piano, il dominio lungo l'asse delle sigma nella parte positiva vale σ'. Dietro abbiamo σ'' e allora il dominio è un quadrato. CRITERIO DI COULOMB Questo criterio assume come parametro di crisi il modulo della tensione tangenziale totale. La crisi si raggiunge se la tensione tangenziale raggiunge questo valore: Dove: - c = COESIONE; - ϕ = ANGOLO DI ATTRITO INTERNO. Questi due fattori dipendono dal materiale. La tensione tangenziale totale può essere ricavata in questo modo: dato un certo tensore degli sforzi, scegliamo una giacitura, su di essa calcoliamo la tensione normale e la tensione tangenziale totale. Il valore soglia dipende dallo stato tensionale. Una tensione normale di compressione ha un effetto cheimpedisce loscivolamento.Nel piano di Mohr, il valore soglia è un cono:La zona ammissibile è quella interna al cono (CASO VERDE), mentre il materiale va in crisi quando il materiale supera il limite elastico, cioè quando il circolo è tangente al cono (CASO ROSSO).Il piano di rottura è esattamente il piano su cui agisce la tensione che raggiunge il valore limite, dove la giacitura in cui avviene la rottura è quella corrispondente ai punti di tangenza.Siamo, così in grado di valutare su quale giacitura avviene lo scorrimento. 163La tensione si ottiene ruotando l'asse fino a raggiungere l'asse delle tensioni e poi si dimezza nel piano reale.Se noi guardiamo questo criterio nello spazio delle tensioni principali, e in particolare nel piano deviatorico, ciò che otteniamo è una piramide chiusa nella parte positiva dell'asse idrostatico che si allarga nel parte negativa dell'asse idrostatico.Se proviamo a sezionare,
otteniamo la base dellapiramide: è irregolare perché gli assi sono diversi. Questo dominio diventa sempre più piccolo man mano che tagliamo verso la punta. Questo criterio ha un difetto: infatti esso non arriva mai a rottura anche se abbiamo tensioni normali per compressione molto alte. Questo non funziona molto bene, per questo il cono viene chiuso per un certo valore. La coesione e l'angolo di attrito interno li ricavo con una prova monoassiale in trazione e poi una di compressione.Prova monoassiale: Pendo un piano di Mohr e faccio la prova in trazione, ciò che ottengo è Ϭ'.0. Poi la faccio in compressione e ottengo Ϭ''.0. Dopo le due prove ho questi due cerchi di Mohr. In corrispondenza di esse c'è stata la rottura, cioè si è raggiunto il limite elastico ed entrambi i circoli hanno in tangenza il cono. A questo punto, posso tracciare il dominio: Noto il dominio, attraverso le formule, riesco a calcolare
L'angolo di attrito interno e coesione. Il criterio di Tresca, usando la notazione del problema di DSV, assume questa forma:
Il criterio di Mises, invece, assume la seguente forma:
In tutto questo quello che non funziona è una trave caricata assialmente in compressione. Comunque la vogliamo vincolare, la soluzione in questo caso è uno sforzo normale di compressione pari a P. Non volendo trascurare la deformabilità assiale ciò che otteniamo è una trave rettilinea che si accorcia. Però nella realtà non succede questo. Prendo un righello e lo sottopongo ad uno sforzo normale di compressione. Noto che esso sbanda sempre e in questo caso il regime è elastico. Quindi c'è qualcosa che non va nella nostra teoria. Il problema non sta nel materiale in quanto è un comportamento elastico.
QUI INIZIA LA PARTE FINALE (STABILITÀ)
8.15 ELASTICITÀ CONCENTRATA
Il problema sta nell'ipotesi dei piccoli spostamenti.
Il fenomeno si vede senza quella ipotesi. Per cogliere quello che succede dobbiamo rimuovere tale ipotesi.
La soluzione che abbiamo sopra non è quella che si realizza, finché i carichi sono piccoli la deformazione è quella che ci aspettiamo. Se i carichi, però, aumentano si ottiene lo sbandamento.
Finché i carichi sono piccoli questa soluzione soddisfa l'equilibrio. Quindi dobbiamo rimuovere l'ipotesi di piccoli spostamenti ed entrare in un campo dove le soluzioni possono essere più di una. Le soluzioni, cioè le configurazioni di equilibrio, non hanno tutte la stessa qualità in termini di stabilità.
Può succedere che prendendo questa pallina nella conca spostandola, essa ritorna nella sua posizione iniziale - configurazione di equilibrio stabile. Stabile significa che introducendo una piccola perturbazione essa ritorna nella sua posizione iniziale.
Questa invece sotto perturbazione cade ovvero è una configurazione instabile.
non ritorna alla sua posizione iniziale. La configurazione di equilibrio indifferente si verifica quando il sistema è in equilibrio ma può assumere diverse configurazioni stabili o instabili. Se immaginiamo di avere una situazione di questo tipo: 167, possiamo avere due casi: 1. Il sistema è in equilibrio nella configurazione rettilinea, con il carico distribuito uniformemente tra l'asta e la molla. 2. Il sistema è in equilibrio nella configurazione sbandata, con il carico spostato verso l'alto o verso il basso rispetto alla configurazione rettilinea. Otteniamo così tre possibili configurazioni di equilibrio: una instabile e due stabili. Nel momento in cui si rimuove l'ipotesi di piccoli spostamenti, entriamo in un mondo che potrebbe presentarsi come una qualsiasi configurazione. Per un piccolo livello di carico, c'è una sola configurazione stabile, quella rettilinea. Quando aumenta il carico, l'elemento sbanda ma la configurazione rettilinea è ancora presente ed è instabile. L'elemento può sbandare verso l'alto o verso il basso. La cosa interessante è che una volta sbandata, rimane comunque in posizione rettilinea. Dimostriamo questo prendendo un caso molto semplice. Consideriamo una molla elastica e un'asta rigida con un carico P. Il sistema ha un grado di libertà. Nell'ipotesi dei piccoli spostamenti e considerando la reazione del vincolo, il sistema raggiunge l'equilibrio nella configurazione rettilinea.soluzione configurazione rettilinea. Però non è quello che accade inquanto l'asta sbanda sotto l'azione del carico. 168Rimuoviamo completamente l'ipotesi di piccoli spostamenti. Scriviamol'equilibrio in una configurazione qualunque.configurazione deformata
La forza orizzontale è pari a ϕ, l'equilibrio delle forze in orizzontale è soddisfatto, l'equilibrio delle forze in verticale è soddisfatto.
Scriviamo l'equilibrio dei momenti nella configurazione deformata con polonella molla elastica:
Se mettiamo al posto di M, kϕ: deve essere soddisfatta affinché l'equilibrio ci sia
Ha un parametro di spostamento in assenza di piccoli spostamenti. Le soluzioni che ha sono:
- ϕ=0 significa che la configurazione è rettilinea, è soddisfatta per ogni P
- se allora l'equazione è soddisfatta
Cosa significa?
Disegniamo il grafico carico spostamento che riporta sulle ordinate il carico e
ascisse il parametro di spostamento
La prima soluzione disegnarla significa che tutti i punti che si trovano sull'asse delle ordinate sono di equilibrio (poiché ogni configurazione è un punto). Tutti i punti dell'asse sono soluzioni.
Se andiamo a rappresentare invece la seconda equazione otteniamo un ramo
Il punto di intersezione dista k/l
Se andiamo a studiare la stabilità della soluzione quello che realizziamo è che il ramo lungo l'ordinata è instabile. Il punto di intersezione si chiama punto di biforcazione e le linee rosse si chiamano percorsi di equilibrio.
Immaginiamo di metterci all'origine, non c'è carico non c'è deformata
Aumentiamo il carico fino ad arrivare al punto di biforcazione. Aumentiamo ancora il carico, la struttura entra in una fase instabile, la configurazione non sarà mai più rettilinea ma prende uno dei due rami. Basta qualunque imperfezione e la trave sbanda.
Siamo
Esattamente nel caso delle tre configurazioni diverse. 170Il percorso di equilibrio diramato vicino al punto di biforcazione è molto piatto. Questo significa che quando superiamo di poco il valore del carico che corrisponde al punto di biforcazione chiamato carico critico, poiché il percorso diramato è molto piatto, per piccoli valori del carico la configurazione deformata ha subito grandi spostamenti. In funzione di questa descrizione è molto importante conoscere il valore del carico critico. Bisogna evitare di raggiungere il valore critico del carico. Scriviamo ora l'equilibrio nella configurazione deformata, ma manteniamo l'ipotesi di piccoli spostamenti. Manteniamo la cinematica linearizzata ma non confondiamo le due configurazioni. Cioè disegniamo quella deformata nell'ipotesi di piccoli spostamenti. Soluzioni: 171Quindi ottengo il percorso rettilineo e come percorso diramato ottengo una retta piatta Il carico critico è corretto
non riscontro spiegazione nella teoria classica della resistenza dei materiali. Potrebbe essere necessario utilizzare metodi avanzati come la teoria della plasticità o la meccanica dei solidi non lineare per analizzare questo tipo di comportamento.