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DOMANDA/ A
LA SINTOMO RE
RE FASE DEL CICLO DI
VITA
La prima categoria per contestualizzare la domanda del paziente è quella di prendere
nota di quale fase del ciclo di vita si trova la persona o le persone con cui si parla.
È utile per comprendere quali compiti di sviluppo deve affrontare. La fase del ciclo divita
è definita sul figlio più grande.
La seconda categoria è quella di indagare le relazioni attuali, che possono essere
intrafamiliari, interfamiliari o extrafamiliari. Queste relazioni, se funzionano,
costituiscono delle risorse. Fare l’itinerario mentale di queste relazioni con il soggetto può
aiutarlo a mettere in luce queste risorse partendo da un altro punto di vista.
In particolare le relazioni extrafamiliari (adulti con lavoro e figli con la scuola) sono un
macroindicatore per capire la gravità della situazione.
Nelle relazioni attuali ci possono essere gli eventi prossimali, ossia gli eventi critici in
quel determinato periodo.
Il sintomo o il disagio non c’entrano solo con la persona che lo porta, ma con tutto il
contesto. Interloquendo con le relazioni attuali si deve cercare di trovare una relazione fra
il sintomo e l’evento scatenante, in modo da togliere la responsabilità dal bambino.
La storia familiare riguarda le vicende avvenute “prima di ora”.
Per rappresentare la storia familiare si utilizzava l’albero genealogico, strumento
utilizzato in storiografia. È stato utilizzato in medicina per l’andamento delle malattie
genetiche e in psicologia sistemica dagli psicologi man mano che la storia veniva a galla.
Bowen trasforma l’albero genealogico, dicendo che sia più utile dal punto di vista
psicologico farlo costruire al soggetto stesso, in modo da poter vedere lo stato emotivo del
soggetto, e la modalità di costruzione (genogramma).
La storia familiare fa da modello o da contromodello. Si può vedere a volte una ripetizione
di eventi da una generazione all’altra (es. separazione, adozione). Ciò che succede può
essere considerato uno svantaggio o una risorsa in base alla modalità con cui i familiari
prima hanno affrontato la situazione. Quello che è successo prima ha delle risonanze con
quello che vediamo oggi. È importante far riflettere le persone su quello che è successo
nelle generazioni precedenti. La cosa difficile è l’evento traumatico, spesso taciuto dalle
generazioni precedenti perchè spesso esse non riescono a parlarne.
In termini psicoanalitici si parla di trasmissione transpsichica: anche se non se ne parla,
un messaggio viene trasmesso. Tale messaggio arriva alle generazioni successive con lo
svantaggio che non se ne può parlare.
Spesso le persone nel dialogo anche spontaneo dicono qualcosa del rapporto con i
genitori. Possiamo, con gentilezza, chiedere qualcosa in più qualora fosse d’aiuto.
Qui possiamo trovare gli eventi distali, eventi critici particolari che possono essere
successi nella storia familiare.
Per Andolfi bisogna accendere la capacità osservativa di vari aspetti:
interazioni
• 4
messaggi non verbali attraverso cui vengono veicolate le emozioni.
•
È importante accendere un faro anche su ciò che succede dentro di noi in termini di
emozioni suscitate, di pensieri.. Ciò influenza quello che avviene con gli utenti.
La culla culturale (definita così da Marie Rose Moro) è la dimensione simbolica, ossia
l’orizzonte che produce significati (ci propone un significato per quello che capita), in cui si
può comprendere ciò che accade, anticipare ciò che accadrà e reagire all’imprevisto.
Altro caposaldo per Marie Rose Moro è che non esiste il bambino isolato, ma esiste un
bambino e una relazione madre-bambino all’interno di una famiglia. E la famiglia con le
sue rappresentazioni e le sue dinamiche si situa all’interno delle rappresentazioni
collettive.
Ci accorgiamo dello spessore dell’orizzonte culturale quando incontriamo un altro
orizzonte culturale.
Marie Rose Moro ci dice che il bambino nasce in una nicchia di sviluppo, ossia in un
ambiente fisico e sociale, con delle pratiche di puericultura e delle specifiche
rappresentazioni (immagini) del bambino e della sua crescita. Queste rappresentazioni
anche nella stessa cultura si modificano nel tempo. Insieme alle rappresentazioni, anche
le pratiche di puericultura.
Marie Rose Moro, neuropsichiatra e psicoanalista che lavora da molti anni in Francia si è
specializzata nell’accoglienza e nella cura di famiglie immigrate e ci ricorda che per
lavorare con la famiglia dobbiamo tenere conto delle rappresentazioni ontologiche, ossia
l’immagine del bambino e in modo complementare l’immagine dell’adulto e del suo ruolo,
e dei doveri e dei diritti di ciascuno. Dobbiamo stare attenti alle teorie eziologiche rispetto
alla natura delle difficoltà e dei sintomi del bambino, e ai rimedi tradizionali.
Bisogna trattare gli altri come soggetti, e non come oggetto del nostro lavoro.
Ascoltare la famiglia e i suoi punti di vista, evocandone la capacità di pensiero e non
passivizzandola, questo ascolto veicola il rispetto per le persone e quindi provoca
generalmente un atteggiamento di fiducia. L’applicazione di un rimedio estraneo alla loro
cultura serve a poco, perché rischia di irrigidire le difese famigliari contro l’esterno.
Il ruolo dello psicologo potrebbe essere letto come aiutare la famiglia a costruire un
racconto che dia un senso alle difficoltà loro e dei bambini.
Questo discorso vale sia per gli immigrati, che per le persone italiane ma di cultura
diversa dalla nostra. Non possiamo dare per scontato che tutti la pensiamo allo stesso
modo.
Marie Rose Moro puntualizza quattro assi di analisi, quattro categorie, da osservare
quando incontriamo le persone:
1. asse delle interazioni comportamentali
2. asse della sintonizzazione affettiva, ossia se le persone si comprendono fra di loro,
ma anche con l’operatore, che passa anche dal linguaggio non verbale
3. asse delle interazioni fantasmatiche, per individuare quali rappresentazioni
profonde ha la un genitore nei confronti di se stesso, del bambino, del compagno o
della compagna.. Si possono rintracciare analizzando i discorsi della madre, del padre
e del bambino
4. asse culturale
I primi tre assi sono già stati illustrati nel discorso psicoanalitico. L’asse culturale è stato
introdotto da Marie Rose Moro.
Distacco, viaggio e ingresso nel nuovo Paese sono eventi critici spesso traumatici che
riguardano l’immigrazione.
Mondo rappresentazionale di Sandler
Passiamo da una prospettiva sistemico relazionale ad una prospettiva psicoanalitica,
interessata ad individuare le connessioni tra mondo intrapsichico e modo delle relazioni.
Sandler ci dice che ognuno di noi, bambino o adulto, ha dentro di sé come una sorta di
teatro in cui c’è il palcoscenico con dei personaggi in scena, e le quinte dietro cui si
trovano i meccanismi scenici. 5
Il personaggio che noi abbiamo nel mondo interno più importante, secondo Sandler, è il
soggetto stesso, ossia la rappresentazione del sé. Gli altri personaggi sono gli altri
significativi.
C’è un rapporto di complementarietà tra la rappresentazione del sé e la
rappresentazione degli altri. Se il bambino si sente amato, e ha quindi una
rappresentazione di sé come un bambino ben voluto, ha la rappresentazione
complementare della mamma e del papà come persone accudenti.
Se parlando con le persone cogliamo, e poi restituiamo, una rappresentazione particolare
degli altri o del sé, possiamo aiutare il soggetto a far emergere la rappresentazione
complementare.
Le rappresentazioni sono realistiche se contengono sia aspetti positivi che aspetti
negativi. Altrimenti si sfocia nell’idealizzazione o nella denigrazione. Se una donna
descrive il marito come una persona molto capace, molto probabilmente si sentirà
incapace.
Sandler ci dice che queste rappresentazioni si formano nell’infanzia per l’accumulo di
esperienze che un bambino fa, e quando si sono formate sono relativamente stabili.
Relativamente perché la crescita stessa modifica la rappresentazione che ciascuno ha di
sé, e anche eventi critici particolari possono modificare la rappresentazione che ciascuno
ha di sé.
Sandler distingue tra la rappresentazione relativamente stabile che sta sotto e
l’immagine di sé, o forma della rappresentazione, che ho l’immagine che io ho di me in
questo momento, in relazione a diversi contesti, diversi ambienti. Le immagini di sé sono
mutevoli; sono i vestiti che i personaggi si mettono. Queste rappresentazioni che sono al
fondo delle immagini sono importanti perché sono alla base delle mie azioni e dei miei
atteggiamenti.
Ad esempio, quando c’è una lezione di un professore ospite, e si arriva abbastanza
insieme dove c’è l’aula, ci sono quelli che si portano avanti e altri che stanno in fondo.
Una spiegazione possibile è che uno si pone di fronte agli altri a seconda di come pensa
di essere: più o meno importante; più o meno in grado di interagire.
Da un punto di vista psicoanalitico anche in un lavoro di counselling l’evoluzione avviene
se si riesce piano piano a modificare la rappresentazione di sé in senso adeguato, in
senso evolutivo.
Queste rappresentazioni sono insieme cognitive ed emotive: se mi aiutano io riesco a
capire che immagine ho di me (componente cognitiva), e quindi l’immagine di me che si
crea ha in sé dei sentimenti che possono essere positive o negative (componente
emotiva).Questo è molto simile ai modelli operativi interni, radicati nella teoria
dell’attaccamento. Sono immagini di noi stessi e degli altri significativi, molto spesso
preconsce, e che quindi possono emergere sia nel lavoro psicologico che in situazioni di
vita normali.
Se le persone riescono a riconoscere nel dialogo con noi le rappresentazioni di sé e del
bambino che hanno, può darsi che le mettano in discussione e che quindi possano
modificare anche il comportamento.
Il lavoro di Sandler in buona sostanza rilegge le categorie psicoanalitiche adattandole al
mondo rappresentazionale.
L’identificazione è la modificazione della rappresentazione di sé sulla base di un’altra
che io prendo come modello.
tutto questo lavoro è intrapsichico. Succede tutto all’interno del soggetto.
L’introiezione viene riletta da Sandler come conferimento, assegnazione, ad alcune
rappresentazioni di uno status speciale. In modo che non c’è più bisogno dei genitori
all’esterno perché ho introiettato la loro identità.
Sandler fa