Anteprima
Vedrai una selezione di 4 pagine su 15
Tecnica del colloquio, Teorie e tecniche dei test Pag. 1 Tecnica del colloquio, Teorie e tecniche dei test Pag. 2
Anteprima di 4 pagg. su 15.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Tecnica del colloquio, Teorie e tecniche dei test Pag. 6
Anteprima di 4 pagg. su 15.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Tecnica del colloquio, Teorie e tecniche dei test Pag. 11
1 su 15
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

3. LE REGOLE DEL GIOCO

Ogni gioco ha le sue regole ed il colloquio psichiatrico non sfugge a questa legge. Innanzitutto

queste regole non sono immotivate e mi si pone dunque il quesito se dilungarmi sul perché delle

regole o accennarvi soltanto. In secondo luogo, esse implicano, per loro corretta comprensione

anche intellettuale, tutto un contesto culturale che a me pare che i giovani psichiatri non abbiano (e

neppure gli psicologi). Dunque le regole. A me pare che possano essere sostanzialmente ridotte a

tre: la regola del linguaggio, quella della frustrazione, quella della reciprocità.

LA REGOLA DEL LINGUAGGIO

La formulazione di questa regola è assai semplice: in linea di massima il linguaggio che s adopera

durante un colloquio è quello del paziente. La regola del linguaggio implica che abbiate riflettuto

sui rapporti che esistono tra linguaggio e cultura etnica, tra cultura e personalità, che abbiate fatto

perlomeno delle fantasie – e magari delle letture – sull’origine e l’apprendimento del linguaggio nel

bambino. E poi che abbiate una certa idea delle forme del linguaggio, conoscere le quali è in fondo

un obbligo per chi – comunque – cerca di decodificare un testo verbale composto di parole e di

strutture grammaticali sintattiche.

I livelli di osservazione del linguaggio nel colloquio:

1. la lingua usata

2. vocabolario prevalente

3. ricchezza del lessico

4. stile: -sintassi (corretta, scorretta); -stile oratorio

5. analisi delle figure retoriche utilizzate.

Innanzitutto è fondamentale osservare la lingua usata. La prima domanda da porsi è se la persona

che ci sta di fronte adopera, parlando con noi, la lingua che usa prevalentemente quando è fuori

dalla nostra stanza oppure usa un'altra lingua. È frequentissimo trovare persone che, nella vita

quotidiana, parlano in dialetto. Da un punto di vista psicologico, non è la stessa cosa. Secondo me,

l’uso dell’italiano al posto della lingua parlata correntemente ha spesso – al di là del significato “di

rispetto” che intenzionalmente il soggetto da alla cosa – una funzione di isolamento delle

rappresentazioni dagli affetti e tende quindi a stabilire una situazione di minor partecipazione

emotiva del paziente al proprio discorso.

In ogni caso è assolutamente evidente che noi parleremo nel linguaggio quotidiano di uso corrente,

evitando accuratamente di usare un linguaggio tecnico-scientifico.

Il linguaggio tecnico-scientifico è uno strumento estremamente prezioso che dobbiamo imparare ad

usare allo scopo di a) poter comunicare adeguatamente e con precisione con i nostri colleghi e b)per

poter pensare. È tuttavia evidente che esso va tenuto presente qui, giacché la regola del linguaggio

impedisce di usare quel tipo di linguaggio con le persone che vengono a consultarci.

Del linguaggio del paziente osserveremo pressoché tutto. Perlomeno tutto quello che siamo capaci

di osservare.

Per quanto riguarda la regola del linguaggio debbo sottolineare ancora che essa ha un versante

passivo, che consiste nel lasciar usare al paziente il proprio linguaggio, ed un versante attivo per

quanto riguarda l’intervistatore. L’attività dell’intervistatore al riguardo consiste a) nel creare le

condizioni in cui il paziente possa usare il proprio linguaggio e b) nell’usare egli stesso, per quanto

è possibile questo linguaggio. Che cosa significa usare il linguaggio del paziente? Significa

impiegarlo spontaneamente. Che è come dire che questa regola è applicabile nella misura in cui

siamo in grado di identificarci transitoriamente con il paziente , sicché in quella situazione

psicologica il suo linguaggio può davvero essere usato da noi in modo autentico e personalizzato.

Tipicamente l’uso delle espressioni linguistiche del paziente dovrebbero potersi vedere nelle

riformulazioni. Una buona riformulazione consente al paziente di avere quella sensazione

fondamentale (e realistica) di sollievo nel comprendere che chi gli è capitato in sorte di consultare

sta lavorando.

In generale, del paziente dobbiamo essere in grado di riutilizzare perlomeno le metafore e,

comunque, nell’uso del nostro linguaggio dobbiamo cercare di situarci quantomeno al suo livello

linguistico.

Ci sono però – a mio parere – delle eccezioni a questa regola. Mi sembra che le due eccezioni siano,

grosso modo, indicabili con due tipi di personaggi: il tossicomane ed il delinquente. Entrambi fanno

un falso uso del linguaggio. Offrono come terreno d’intesa – non senza contrastarne il prezzo – un

linguaggio di gruppo che essi stessi sanno non esistere, nel senso che, se pure a volte viene usato,

esso è finalizzato anche all’interno del gruppo all’evitamento della personalizzazione, della

presentazione di sé come persona. Stare troppo a questo gioco, significa giocarsi il paziente.

LA REGOLA DELLA FRUSTRAZIONE

Una formulazione abbastanza chiara di essa è la seguente: durante il colloquio bisogna evitare di

soddisfare i desideri consci ed inconsci del paziente, eccezion fatta evidentemente per il desiderio

che lo ha consciamente spinto da noi, cioè quello di avere un opinione più chiara su di sé.

Questa regola ha una giustificazione molto semplice: le forme mediante le quali il paziente esprime

i suoi desideri consci ed inconsci sono le reali comunicazioni che ci sta facendo.

Bisogna comunque distinguere la regola della frustrazione dalla maleducazione pure e semplice o

dal sadismo. La regola si applica bene laddove noi abbiamo avuto la possibilità di comprendere la

struttura mentale del paziente.

Sempre interagendo con il paziente, noi gli comunichiamo anche chi siamo, com’è strutturata la

nostra attività mentale: anche per noi non è possibile mentire. Ma questa è tutt’altra cosa dal

comunicare direttamente al paziente nostri desideri, nostri tratti di carattere o nostri modi di

pensare. In un certo senso, si potrebbe dire che uno dei parametri valutativi della riuscita di una

psicoterapia consiste nella certezza (o meno) acquisita dal paziente circa il fatto di conoscerci bene

senza sapere alcunché di noi. Un paziente che si esprima così ha potuto fidarsi finalmente di sé per

capire sé e gli altri.

La regola della frustrazione si sovrappone a quella del linguaggio ed entrambe, per essere

operativamente utilizzate, necessitano di essere filtrate traverso lo stile dapprima personale e poi

professionale dello psichiatra.

LA REGOLA DELLA RECIPROCITA’

Il paziente uscendo, deve aver ricevuto almeno quanto ha dato. È se vogliamo la regola dello

scambio.

Non si dovrebbe lasciar uscire il paziente per due validissimi motivi. Il primo è di tipo relazionale-

umano: se una persano ha cercato di esporci la sua situazione mentale, ci ha comunque offerto

qualcosa di prezioso: contraccambiare è d’obbligo. Il secondo è di tipo intrapsichico dello

psichiatra-psicologo: in molto casi, soprattutto se si tratta di pazienti abbastanza gravi, il paziente

tende a lasciare nella mente dell’intervistatore il suo problema.

Se non siamo in grado di comprendere quel che sta accadendo dentro di noi, non potremo neppure

tradurre le nostre esperienze con quel paziente in quel momento nel linguaggio proprio del paziente

e quindi non potremo restituirgli migliorato, il concetto che ci ha dato.

Dunque la regola della reciprocità ha anche un versante egoistico di salvaguardia della mente dello

psichiatra. Comunque sia, non si può lasciar andare una persona senza dirle assolutamente nulla: al

limite si può dire di aver bisogno di un ulteriore colloquio per farsi un idea più chiara della

situazione.

Sulla base di queste tre regole secondo la mia esperienza, è possibile tessere la trama del colloquio.

Tutte e tre hanno dei momenti nei quali sono particolarmente alla ribalta: ma anche la corretta

applicazione di tutte e tre deve avvenire in qualsiasi momento del colloquio.

4. ANATOMIA DEL COLLOQUIO (prima parte)

TECNICA DEL COLLOQUIO:

1. preliminari: -l’appuntamento, -la stanza, -gli scopi del colloquio

2. inizio e riconoscimento : -la presentazione formale, -l’inizio, -la fase libera

3. valutazione della fase libera: la “carota” dello psichiatra, necessità della formulazione di un

ipotesi di lavoro

4. informazioni dopo il periodo libero: applicazione della reciprocità, completamente del

quadro

5. conclusione: -la dichiarazione; -la discussione della dichiarazione; - il rituale del saluto e del

pagamento

6. revisione: -la stesura; -le riflessioni diagnostiche ed auto diagnostiche; -l’uso della stesura

(appunto o cartella clinica)

REGOLE USATE DURANTE IL COLLOQUIO:

a) la regola del linguaggio

b) la regola della frustrazione

c) la regola della reciprocità.

I PRELIMINARI DEL COLLOQUIO

I preliminari di un colloquio comprendono innanzitutto gli aspetti materiali e psichici che fanno da

cornice al colloquio stesso e ne consentono lo svolgimento e in secondo luogo l’appuntamento. In

pratica, l’appuntamento o lo fissate voi o lo fissano degli altri. È necessario sapere di avere a

disposizione almeno 45 minuti dedicabili al nuovo venuto. Fissare un appuntamento è già in sé una

comunicazione al paziente: gli si dice che lo si prende in debita considerazione.

L’appuntamento può essere preso da terzi se a) c’è una persona che sa prendere gli appuntamenti

senza combinare pasticci, b) c’è un’agenda di ciascun appartenente al gruppo istituzionale che

rappresenti davvero il quadro lavorativo del prossimo futuro di costui, c) il gruppo istituzionale

funziona.

Altrimenti è meglio stabilire che le richieste di appuntamento devono essere fatte dall’ora x all’ora

y e farsi trovare a quell’ora disponibili.

Risulta chiaro che, in tal modo, la telefonata per l’appuntamento è comunque una presentazione sia

del paziente o dei suoi familiari sia dello psichiatra o della sua istituzione.

Nel fissare l’appuntamento, non dimenticate di farvi dare un recapito telefonico del paziente: in

linea di massima l’appuntamento non dovrebbe essere spostato, ma l’imprevedibile può sempre

accadere ed è sgradevole per chiunque recarsi ad un appuntamento per sentirsi dire che il dottore

non c’è.

È importante comunque non fare un colloquio telefonico.

Il periodo che va dall’inizio alla fase libera (compresa) è quello che decide le sorti del colloquio.

Chi ben comincia è a metà dell’opera: con l’avvertenza che qui si comincia in due, e che pertanto le

sorti del colloquio non dipendono solo da noi, anzi.

È un dato indicativo ovviamente, ma siccome anche le fasi seguenti richiedono un loro t

Dettagli
A.A. 2014-2015
15 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher smalldreamer1126 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teorie e tecniche dei test e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Bombi Anna Silvia.