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Media, New Media, Postmedia
Se l'arte riflette il proprio tempo, tutto può essere facilmente sintetizzato in due parole: arte contemporanea.
Da almeno quindici anni, l’arte contemporanea è l’arte dell’età dell’informazione.
L’espressione New Media Art, ritenuta inadeguata, si è dimostrata tuttavia particolarmente resistente, così come il punto di vista che incarna. Compare ovunque nelle mostre, a volte ha un piccolo spazio dedicato, quasi fosse quarantena. Ciò accade dall'idea dell'arte che ci sta dietro, ritenuta obsoleta dalla critica d’arte contemporanea.
Da qui la necessità di risalire alla origini di questo termine. Che cos’è, veramente, la New Media Art?
Che cosa descrive davvero questo termine? Questo libro è un tentativo di dare una risposta a tutte queste domande.
New Media Art
Il 16 ottobre 2003 alla Tate Modern di Londra inaugura The Weather Project un'affascinante progetto di Olafur Eliasson. Egli mette in scena una simulazione ambientale, negli immensi spazi della Turbine Hall (ex centrale elettrica).
Dalla parete in fondo, un sole irradia di luce gialla lo spazio, dissipando la foschia. Quando la nebbia si dissolve lo spettatore si rende conto che lo spazio è vertiginosamente raddoppiato da uno specchio che riveste l’intero soffitto, ed è anche il responsabile del fatto che percepiamo come un sole ciò che è, di fatto, un soffitto tempestato di lampadine a monofrequenza.
In pochi mesi l’installazione è stata visitata da due milioni di persone, facendo di Eliasson uno degli artisti viventi più conosciuti al mondo.
L’artista lavora a stretto contatto con i più diversi ambiti disciplinari, il suo studio è una sorta di laboratorio in continua evoluzione.
Lavora con la luce e con i meccanismi della percezione, scavando nella storia della tecnologia alla ricerca di strumenti e fenomeni per creare situazioni avvolgenti, magiche, destabilizzanti.
I critici americani Tribe e Jana curarono un volume intitolato New Media Art, in cui, con questo nome, identificano tutti quei progetti che fanno un uso di tecnologia emergente che si concentrano sulle potenzialità culturali, politiche ed estetiche di questi strumenti.
La cosiddetta New Media Art sembra godere nel mondo dell’arte di una popolarità che è inversamente proporzionale a quello proposto daEliasson e compagni.
Infatti è facile imbattersi in condanne, come quella nel gennaio 2008 di un giornalista tedesco che scrive: "La Media Art è stata un episodio. Ma non c'è alcuna Media Art".
Evidentemente il termine utilizzato dai due critici americani allude a un qualcosa che va al di là dell’uso di tecnologie emergenti, e per individuare questo “qualcosa” dobbiamo prendere sul serio l’espressione “New Media Art”.
Il termine New Media Art è il prodotto di un complesso processo di selezione terminologica, che è lo specchio dell’incerta definizione del suo territorio e della debolezza delle sue strategie di affermazione.
Per definirla si alternano termini diversi, tuttavia non indicano sempre la stessa cosa:
- Digital Art: restringe il campo ai media digitali e fa riferimento a una storia che inizia nei tardi anni Sessanta e qui risalgono i primi esperimenti di uso artistico del computer.
- Media Art: termine particolarmente in voga nell'area tedesca, si estende a tutti i media, nell'accezione multicanale del termine. Crea una tradizione che va da Man Ray a Nam June Paik all’uso attuale della Rete e del computer.
Tribe e Jana, in un'intervista, sono stati ancora più precisi riguardo un preciso momento storico e una determinata comunità: "La New Media Art è stata uno dei pochi movimenti artistici storicamente significativi della fine del ventesimo secolo. Con Internet come mezzo di comunicazione di massa ha iniziato a prendere forma un movimento specifico che usava questi strumenti come media artistici primari per commentare gli effetti di questi media sulla società e sulla cultura".
Steve Dietz ricorda come la retorica del nuovo, ponga senz'altro alcuni problemi, primo fra tutti il dire per sentato che ogni utilizzo di un nuovo medium portava delle "nuove".
Il termine "New Media" comincia a circolare fra chi si occupa di arte e fra i teorici del medium. Nel 2001 Lev Manovich pubblica un libro intitolato "The Language of New Media", destinato a diventare una pietra miliare degli studi sui linguaggi digitali. Per Manovich i "nuovi media" nascono come categoria concettuale quando il computer comincia ad essere utilizzato non solo per la produzione, ma anche per l'archiviazione la distribuzione di contenuti.
I New Media sarebbero il prodotto dell'incontro di due tecnologie nate negli stessi anni: il mass media e l'elaborazione dei dati. Arte e media sarebbero il frutto di un unico territorio in cui artisti e sviluppatori lavorano a stretto contatto. Manovich arriva a sostenere che i nuovi media, e non l'arte, siano i veri eredi della rivoluzione iniziata, oltre un'avanguardia, che la storia dei nuovi media sia la vera storia dell'arte contemporanea e che li troverebbero il loro inveramento le ipotesi dell'avanguardia.
Al punto in cui siamo arrivati, la New Media Art è qualcosa di molto simile alla mitologica Fenice: "che vi sia ciascuno lo dice, dove sia nessuno lo sa". L'unico fatto su cui sembra esserci un accordo pressoché unanime è quello da cui siamo partiti: la New Media Art si definisce in rapporto al medium che utilizza, ed di cui ne emergono le implicazioni sociali, politiche e culturali.
Per i sostenitori dagli anni Sessanta in poi, si è entrati in una fase "postmediale", in cui l'arte non si concentra più sullo specifico di un medium ma adotta un atteggiamento nomade. Viene coltivata l'idea che le nuove tecnologie abbiano un impatto significativo sull'attività artistica. Lev Manovich spiega che dagli anni Sessanta, l'arte contemporanea è un'attività prettamente concettuale, e che il tipo di artista formatosi negli ultimi due decenni è un artista che "progetta".
Sempre per Manovich la New Media Art non ha nulla che fare con l'arte contemporanea e per lui questo è un fatto positivo. Secondo l'artista inglese Charles Sandison, un'espressione come Media Art "può produrre una sorta di ghetto dell'arte, in cui vengono confinati artisti il cui elemento comune è il fatto di ricevere le stesse critiche".
La definizione più recente è quella data da Beryl Graham e Sarah Cook nel 2010, che definiscono la New Media Art come l'arte fatta usando le tecnologie elettroniche e che dispiega, in ogni combinazione, uno o più di questi tre componenti: interattività, connettività e computabilità. Escludono però le opere che abbiano la scienza e la tecnologia come tema, ma che facciano uso delle tecnologie elettroniche.
In altri termini, l'espressione New Media Art non indica l'arte che utilizza le tecnologie digitali come medium artistico; non è un genere artistico né una categoria estetica, non descrive un movimento né un'avanguardia. Piuttosto descrive l'arte che viene prodotta, discussa, criticata, consumata all'interno di uno specifico "mondo dell'arte", che chiameremo "mondo della New Media Art".
Per definire la New Media Art si deve fare riferimento a un "contesto", più che a un movimento o a un determinato uso del medium.
L’identificazione tra New Media e New Media Art nasce nei decenni precedenti, ma si consolida negli anni Ottanta, questo perché gli artisti evitano volutamente i contesti sociali tradizionali.
Primi anni Novanta.
Il 1990 è un anno cruciale per capire le vicende successive della New Media Art, e viene assunto come data simbolo del suo processo di istituzionalizzazione.
La sede di questo processo è l’Europa, nel 1989 viene fondato in Germania il “Zentrum für Kunst und Medientechnologie”, più comunemente ZKM che possiamo considerare il capostipite di questo processo.
In questo processo, inoltre, interverrà pesantemente il miliardario filantropo George Soros con i suoi Soros Centers of Contemporary Art (SCCA).
Questo processo di istituzionalizzazione ha alcune peculiarità: il primo luogo la New Media Art fa proprio in toto alla propria “utilità sociale” e sul proprio contributo allo sviluppo creativo dei New Media. L’utilità sociale della New Media Art viene implicitamente contrapposta alla non utilità dell’ arte contemporanea.
Da un lato la Media Art voleva integrarsi nel sistema dell’arte come un suo sottoinsieme, dall’altro la Media Art è più che semplice arte. Il risultato è che la Media Art si è conquistata l’immagine di “arte insufficiente”.
Questo rapporto conflittuale con l’arte contemporanea diventa ancora più evidente quando queste due realtà vengono fatte convivere nella stessa istituzione. Nello ZKM infatti i due ambiti vengono “separati in casa” grazie a una suddivisione in una serie di istituti e dipartimenti.
Ma a prescindere dalle critiche che possono essergli rivolte, lo ZKM vanta il merito di aver posto per primo la questione della “museificazione” della New Media Art.
Altre istituzioni si formano in Germania, come l’Institute for New Media, di Francoforte e in Gran Bretagna, il FACT di Liverpool, e oggi la più importante istituzione inglese di New Media Art.
Nei paesi dell’Est i SCCA avranno vita breve: nel 1999, a seguito della ristrutturazione delle fondazioni Soros, tutti i SCCA diventano indipendenti. Questo significherebbe affrontare il problema cruciale dei finanziamenti. Nei SCCA, il sostegno alla New Media Art aveva un ruolo di primo piano.
Il 1990 è l’anno di net_condition, la mostra itinerante progettata dallo ZKM che aprirà la stagione delle grandi mostre museali, soprattutto negli Stati Uniti.
All’inizio del decennio sono ancora pochi gli artisti che si appropriano con una certa consapevolezza delle tecnologie “domestiche”.
Figure come l’italiano Maurizio Bolognini, che realizza installazioni di forte impatto concettuale, riprogrammando e “sigillando” dei personal computer in modo tale che la loro vitalità e attività lavorativa, percepibile attraverso il ronzio, possa essere semplicemente constatata, ma non visualizzata attraverso alcun dispositivo di output.
Con l’avvento del World Wild Web e la diffusione massiccia del personal computer (1995) questa situazione cambia bruscamente. I computer degli anni Novanta sono economici e dotati di un’interfaccia intuitiva; chiunque dopo un minimo di training può usarlo. Fare arte con un computer non richiede più una formazione tecnologica. Chiunque può farlo, e non necessariamente per fare un’arte che trovi nel computer il suo unico mezzo di fruizione.
La Net Art nasce in questo modo. Si tratta di esplorare e sovvertire un linguaggio elementare, creare un corto circuito comunicativo, infilare un mezzo di comunicazione globale.