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IL BELLO, IL BUONO E IL CATTIVO
Come la politica ha condizionato l’arte negli ultimi cento anni
INTRODUZIONE:
Questo libro racconta come la politica ha condizionato il lavoro e la vita degli artisti dall’inizio del Novecento a oggi.
L’artista contemporaneo non riesce a proporre un sistema linguistico che abbia l’ambizione di cambiare la società, preferendo concentrarsi su come far proprie le strategie di consenso e le logiche del profitto che costituiscono l’ossatura di quello stesso sistema borghese cui le avanguardie storiche erano ostili.
Capitolo primo
Napoleone e l’arte dei dittatori moderni
A imprimere la svolta che avrebbe incoronato Parigi capitale mondiale dell’arte moderna fu Napoleone. La Francia avrebbe ottenuto l’egemonia politica sul mondo solo se avesse acquisito anche quella culturale.
Napoleone assume così un ruolo attivo nella gestione dei teatri parigini, favorì gli spettacoli musicali ma, il vero colpo di genio fu la raccolta di opere d’arte antica che requisì nel corso delle campagne militari in Europa (soprattutto Paesi Bassi e Italia).
L’idea di trasformare alcune sale del Louvre in museo permanente non fu, però, di Napoleone ma del marchese de Marigny, direttore delle Fabbriche Reali sotto Luigi XV.
Fu tuttavia Napoleone a dare una svolta alla vita del Louvre quando nel 1800 impose l’apertura giornaliera al pubblico.
Egli intuì che anche la moda avrebbe potuto giocare un ruolo nell’accrescere la reputazione della Francia, sostenendo pubblicamente la rivista di moda Journal des Dames et des Modes, la quale contribuì all’affermazione di una scuola della moda francese.
Napoleone fu un leader carismatico, sostenuto dal popolo che gli riconobbe la capacità di modernizzare la nazione.
Per rafforzare il suo potere diede grande importanza alla propria immagine, come testimoniano i tanti ritratti a lui dedicati. L’iconografia che lo riguarda lo rende immediatamente riconoscibile.
Rivoluzionò inoltre l’idea di propaganda politica, dando incarico ai migliori pittori e scultori del tempo di glorificare la sua figura attraverso opere intese come veri e propri manifesti pubblicitari, diventando così un modello per i principali dittatori del Novecento.
Fondano le proprie radici della propria storia nella Rivoluzione Francese e nella Rivoluzione Industriale la pittura e la scultura sovietica e nazista, trovando nel Neoclassicismo il modello ideale per rappresentare il consenso popolare di cui godevano i propri leader.
Non è un caso che il maresciallo Georgij Žukov, identificato nell’immaginario collettivo popolare russo come il Napoleone dell’Unione Sovietica, sia stato raffigurato da Vasilij Ėjakovlev su un cavallo impennato sulle zampe posteriori.
La principale causa che ha condotto l'arte del Terzo Reich all'oblio è la sua scarsa qualità formale. L'arte sovietica di matrice realista, legata a canoni settecenteschi e ottocenteschi, ha esercitato invece a lungo la sua influenza nei paesi dell'Est Europa, divenendo un punto di riferimento per diverse generazioni di giovani artisti.
I regimi totalitari del Novecento arrivarono a eliminare fisicamente artisti e pensatori i cui ideali non coincidono con quelli della classe dirigente. A differenza di questi, Napoleone, non trasformò la censura in repressione fisica, ma impose ai dissidenti l'allontanamento dai confini nazionali. Soprattutto nell'era di Napoleone non ci furono esecuzioni di massa o repressioni. Egli creò i presupposti perché la Francia approdasse al Novecento in un clima di piena libertà di espressione.
Fu il primo dittatore moderno, nessuno prima aveva progettato un uso così determinato e diffuso su larga scala dell'arte figurativa propagandistica autocelebrativa.
Capitolo secondo
L'Armory Show e il tappetino Navajo di Theodore Roosevelt
Nel 1938 Gertrude Stein scriveva: "mentre gli altri paesi europei erano ancora all'Ottocento, la Spagna per mancanza di organizzazione, l'America per eccesso, furono le naturali fondatrici del Novecento".
L'Armory Show fu la grande fiera dell'arte che si tenne a New York nel 1913, ad organizzarla era stata l'American Association of Painters and Sculptors. Con la loro iniziativa, tali artisti, non avrebbero mai immaginato di incidere sulle posizioni della classe politica di allora e di quella dei decenni successivi.
Il dibattito sull'arte moderna all'Armory Show contrappose due diverse scuole di pensiero;
- secondo alcuni tale manifestazione avrebbe dovuto testimoniare l'autonomia dell'arte americana su quella europea
- secondo altri invece avrebbe dovuto testimoniare che l'arte non ha frontiere ed è un patrimonio capace di accomunare gli uomini anziché dividerli
Nonostante il legame dell'arte americana d'inizio secolo con quella europea, non tutti gli artisti auspicavano che Europa e America fossero accomunate da un unico destino culturale. L'esigenza era quella di dar vita a un'arte che fosse rappresentativa del popolo americano.
Scriveva Claude Lévi-Strauss: "Perché una cultura sia veramente se stessa e produca qualcosa, essa e i suoi membri devono essere convinti della propria originalità e superiorità".
Il pittore realista Edward Hopper (1882-1967) era convinto della necessità di un'arte americana che avesse il "sapore del suolo natio". Tale idea divenne anche il punto fermo su cui la politica americana concordava.
Nel 1913 visitò l'Armory Show anche l'ex presidente Theodore Roosevelt (1859-1919), il primo presidente americano a pensare che gli Stati Uniti dovessero esportare nel mondo anche la propria cultura. Il suo fu un chiaro messaggio che fu raccolto dai presidenti che vennero dopo di lui, Eisenhower infatti sottolineò l'importanza politica del MoMA affermando: "la libertà delle arti è una libertà basilare, uno dei pilastri della libertà della nostra terra".
L'asserzione di Roosevelt secondo cui non bisogna aver paura del nuovo, ma non per questo si deve accettare tutto, è un esercizio di retorica che mira a sminuire la portata innovativa di dadaisti, futuristi e cubisti, ai quali contrappone la presunta superiorità dei pittori e degli scultori americani del tempo. La sua affermazione sul fatto che il suo "tappetino Navajo ha maggiore dignità culturale del Nudo che scende le scale di Duchamp" in realtà mirava strumentalmente ad attribuire alla cultura dei nativi americani la stessa dignità che un europeo conferiva alla propria storia dell'arte.
Fu un tentativo mal riuscito di ritorno all'ordine, ben lontano dai modelli di riferimento come Pompei e Raffaello.
Fu proprio il carattere illustrativo dei suoi dipinti a consentire alla propaganda nazista di fargli raggiungere una buona notorietà attraverso riproduzioni su cartoline e poster affissi in tutto il Paese.
Hitler e Goebbels sbagliarono strategia nel mettere in mostra le opere degli artisti che avevano stigmatizzato: l'esposizione suscitò un tale interesse che fu visitata da circa due milioni di persone, oltre un milione e seicentomila in più rispetto a quanti visitarono la mostra degli artisti graditi al regime.
Nel 1934 Ziegler fu vittima degli stessi aguzzini di cui era stato complice, infatti fu imprigionato con l'accusa di disfattismo per aver proposto di negoziare la pace con l'Inghilterra.
Fu lo stesso Hitler a ordinare la liberazione commentando in modo sarcastico: "Ziegler non è solo un cattivo pittore ma anche un cattivo politico".
Quello di Ziegler è il dramma comune a intellettuali e artisti che sono riusciti ad incidere, seppure per un breve lasso di tempo, sulla cultura di una nazione in virtù del proprio ruolo politico e non in forza della propria arte.
Le opere degli artisti cui Ziegler avrebbe voluto tagliare le mani sono oggi motivo di orgoglio e di riscatto per i tedeschi.
Capitolo sesto
L'equivoco Leni Riefenstahl
Leni Riefenstahl (1902-2003) è stata tutt'altro che una grande artista e ancora oggi la sua notorietà è la conseguenza dell'enorme macchina propagandistica messa in moto dal regime per sostenerla.
Negli anni Trenta ha fatto fare un passo avanti al cinema, trasferendovi l'inquadratura delle fotografie d'avanguardia di autori quali Rodčenko, Moholy-Nagy e Weston, ma non ha avuto influenza nella definizione di un'estetica che possa essere ritenuta innovativa.
I fotogrammi dei suoi film hanno il sapore di repliche anestetizzate e addomesticate dalle immagini dei grandi artisti fotografi d'avanguardia.
Piuttosto che partecipare al clima culturale delle avanguardie storiche Riefenstahl preferì impegnarsi nel tentativo di un ritorno all'ordine che trovava le sue motivazioni nelle teorie sull'arte di Hitler e di Goebbels.
Indirizzò l'immagine verso forme che adattarono il neoclassicismo d'impronta napoleonica alle esigenze della propaganda nazista. A differenza di qualunque altro cineasta o artista dell'epoca, ella poté contare su quasi tutte le risorse economiche e umane destinate da Hitler alla propaganda cinematografica, per realizzare Olympia i suoi modelli sono:
- il neoclassicismo napoleonico
- le foto di manifestazioni militari e di ginnasti scattate da Rodčenko
Fu principalmente la sua accondiscendenza al regime che le permise di godere di disponibilità economiche illimitate e di potere addirittura partecipare alla regia degli eventi da documentare.
Ancora oggi vengono proposte moltissime versioni attualizzate del famoso manifesto pubblicitario realizzato da Rodčenko nel 1925 per la sezione di Leningrado della casa editrice di Stato. Anche nel nuovo millennio dunque la lezione di Rodčenko e dei suoi costruttivismi continua a dare i suoi frutti.
Caratterizzate da un pensiero politico-ideologico, le immagini della Riefenstahl non hanno inciso nel cinema e nell'arte del dopoguerra. Se ancora oggi si parla di lei è per il ruolo svolto per il Ministero della Propaganda nazista e per la capacità di promuovere una mitologia attorno alla propria persona.
I suoi film hanno semmai il pregio di permetterci di vedere come sarebbe stata la nostra vita se i nazisti avessero vinto la guerra.