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DAL CINEMA NARRAZIONE AL CINEMA DELLO SGUARDO
10. Neorealismo: la rottura dei codici
Il neorealismo è uno sconvolgimento visivo. Dopo la guerra nasce una nuova percezione del mondo. La
narrazione diventa incerta e frettolosa e gli errori di stile si moltiplicano per la fretta di raccontare. Il cinema
riparte, mettendo da parte la forma classica. Questo nuovo cinema è più espressivo e meno raffinato, ma
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pieno di sentimenti e di idee, diffondendosi in tutto il mondo. La narrazione non è abbandonata ma
rielaborata.
Uno sconvolgimento visivo
Ancora oggi il neorealismo si indica come la più grande scuola, fonte di ispirazione di molti registi mondiali.
Scorsese indica Rossellini, Spielberg invece Zavattini. Sempre Zavattini è stato padre del realismo magico
nelle Americhe (il cubano Tomás Gutiérrez Alea, il brasiliano Glauber Rocha, il cileno Miguel Littin). Si
rifanno al neorealismo anche il turco Guney, gli iraniani Panahi, Makhmalbaf e Kiarostami. In India Satyajit
Ray prima e Mira Nair poi. In Cina Zhang Yimou. In Grecia Angelopoulos e in Gran Bretagna Ken Loach. In
Africa Sembène Ousmane, Souleymane Cissé e Idrissa Ouedraogo. Dovunque il neorealismo è presente,
seppure con ragioni differenti.
Tutti sono d'accordo nel definire il neorealismo importante, ma ci sono pareri discordanti su come definirlo.
Chi dice la narrazione di problemi sociali e della vita della povera gente. Chi dice le riprese in esterno e uso
di attori non professionisti. Tutto vero, ma in parte. Per un autore sono valide, per un altro no. Zavattini
prendeva spunto dalla cronaca, mentre Visconti dalla letteratura (Giovanni Verga ne La terra trema, 1948).
Vero che spesso gli attori non erano professionisti, ma furono usati anche attori conosciuti (Magnani e
Fabrizi in Roma città aperta o la Calamai in Ossessione). La ripresa in esterni non era una novità assoluta.
La novità sta in uno sconvolgimento visivo. Ma cos'è?
Il cinema italiano degli anni trenta
La rivoluzione neorealista era stata preparata in Italia negli anni '30. Il ministro della cultura fascista Bottai
nel 1940 lancia la rivista “Primato”, dove scrivono intellettuali anche di sinistra, come Pavese, Pratolini,
Zavattini, Ungaretti e Gadda, promuovendo di smuovere la stagnante cultura italiana. Già nel cinema fascista
abbondavano le storie realistiche, tra la povera gente (Vecchia guardia, 1935 e Ragazzo, 1933). La commeda
brillante proponeva evasione, ma con differenza tra realtà e immaginazione, alla maniera di Capra (Il signor
Max, 1937, Dora Nelson, 1940 e L'amore canta, 1941). Il fascismo fondò anche Cinecittà (1937), il centro di
produzione più attrezzato d'Europa. Il Centro Sperimentale di Cinematografia pubblicava la rivista “Bianco
& Nero”, dove scrivevano antifascisti e marxisti, sostenitori di un concetto alto di cinema come arte. Nel
1932 nasce la Mostra del Cinema di Venezia, evento più importane di cinema nel mondo e nel '34 fu
premiato, come film straniero, L'uomo di Aran di Flaherty, denotando interesse per un cinema diverso dal
narrativo-commerciale. Ma il fermento della cultura cinematografica si raccoglieva intorno alla rivista
“Cinema”, dove scrivevano registi come De Santis e Antonioni, o comunisti come Ingrao, e tutti discutevano
intorno ad una parola, “realismo”. Chi diceva di tornare a Giovanni Verga, facendo del cinema un'arte
ispirata ad un'umanità che soffre. Chi prendeva a modello i maestri russi (Ejzenštejn e Pudovkin). Chi, come
Antonioni, voleva seguire i maestri francesi (Carné e Renoir) o i documentari semi-narrativi americani sul
lavoro umano (come The river di Pare Lorentz, 1937). In America, già nel periodo della grande crisi, molti
fotografi ritraevano la dura realtà della miseria. Anche in Italia, negli anni '40, Alberto Lattuada inizia
fotografando il reale sullo stile americano.
Fu il cinema di guerra a dare la svolta, dando una visione della guerra lontana dai trionfalismi. Nei film
americani gli eroi si coprivano di gloria (Le vie della gloria, 1936 e Il sergente York, 1941, entrambi di
Hawks). Invece i film di Francesco De Robertis erano storie di soldati comuni, come in Uomini sul fondo
(1941). Storie di soldati senza gloria. Rossellini in Un pilota ritorna racconta la vita dei profughi in Grecia e
Albania. I film di guerra italiani parlano di una guerra dura e ingrata. Non si critica il regime, cosa
impossibile. Infatti l'ideologia non prevedeva di mostrare la realtà fino in fondo. Il realismo, quindi, era
ancora un'utopia. Il cinema non poteva essere libero di raccontare la verità, era troppo influente.
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Essendo la guerra la matrice del neorealismo, ne consegue che non va considerato fenomeno prettamente
italiano. Però in Italia, dopo guerra e dittatura, esplose il desiderio di realismo e di vita che dette vita al
nuovo cinema. Ma questo evento ha una dimensione mondiale, dove neorealismo è un punto di riferimento
per chi vuole guardarsi intorno, dopo anni drammatici. E nel cinema italiano, dopo la guerra, nasce infatti
una nuova maniera di guardare. Non è che il neorealismo azzera tutto il cinema precedente. Dentro ci
troviamo ancora stereotipi del cinema narrativo. La novità è la maniera di filmare, un cambiamento nella
forma dell'enunciazione.
Il cambiamento nella forma della narrazione
Il caos dell'ultima fase della guerra si riflette anche sul cinema. Distruzione, città senza governo, massacri
facevano perdere la sicurezza e i riferimenti. In un periodo così anarchico le istituzioni vacillano, ma
vengono fatte scoperte che altrimenti non sarebbero state possibili: i film del periodo neorealista (45-48)
hanno tutti qualcosa di nuovo, mai visto prima, sia per i contenuti che per la forma. Per esprimere le
condizioni del mondo vengono abbandonate tutte le regole del cinema classico: lo spettatore non è più al
centro. Non ci sono storie costruite a tavolino o sceneggiature. André Bazin dirà chè l'unità base del racconto
non è più l'inquadratura ma l'evento bruto, al quale la cinepresa osserva, per capire cosa accade. La novià del
neorealismo è il caos della realtà quotidiana. Se il cinema classico era ordinato e pulito, nel neorealismo è
sporco e disordinato. Non c'è tempo per scegliere dove mettere la cinepresa o per un montaggio studiato. C'è
l'urgenza di far vedere la realtà. E gli errori diventano fondamento di una nuova estetica: nasce un nuovo
rapporto con lo spettatore, rivolgendosi a lui con voci fuori campo o con sguardi in macchina, spezzando la
narrazione, che non viene abbandonata. Questo codice produce un rovesciamento della forma narrativa: lo
spettatore non è più onnisciente e tranquillo. Si ricercano nuove forme per interpretare un mondo
paurosamente diverso. Ciò deriva anche da una serie di perdite: si gira senza soldi, senza strumenti, senza
strutture produttive. Altra originalità del neorealismo, dalla quale nascerà il cinema moderno, è la
soggettività della cinepresa. Nel cinema classico la soggettiva veniva usata poco, solo per fare vedere cosa
vedeva un personaggio. Adesso è soggettiva la cinepresa stessa, che segue le storie da dentro, spesso senza
saper neppure dove guardare, disorientando lo spettatore. Lo spettatore e il narratore sono sullo stesso piano
dei protagonisti sullo schermo.
I registi del neorealismo, però, hanno poco in comune tra loro. Le loro idee, la loro provenienze hanno
prodotto cinema diversi.
Rossellini
Al suo Roma città aperta (1945) si attribuisce la nascita del neorealismo. Racconta alcune vicende alal fine
della guerra a Roma: torture, partigiani, esecuzioni. Non c'è la classica contrapposizione buono-cattivo. La
novità è che il caos della guerra viene trasposta a livello della forma e dello stile del film. La novità sta
proprio negli errori del film: il montaggio è frettoloso, la cinepresa troppo veloce e gli intrecci rapido. Un
vero e proprio affanno, come se il narratore fosse in pericolo. Ciò ci trasmette la paura della guerra e di cosa
comporta nella vita di tutti i giorni. La macchina non è precisa, salta qua e là, non è mai tranquilla. Questa
“fretta” e questa “paura” sono la principale novità del neorealismo. La polizia, gli attentati, la morte arriva
all'improvviso, senza preavviso, assurdamente.
Rossellini termina la sua “trilogia della guerra” con Paisà (1946) e Germania anno zero (1948), dove coglie
la catastrofe e tutte le sue conseguenze nel rapporto uomo-società. Paisà è il modo con cui si salutano i
napoletani fuori da Napoli. Ma qui non c'è fratellanza, tutti sono soli. John e Carmela muoiono prima di
capirsi; il soldato nero che si spaventa della miseria in cui vive lo scugnizzo napoletano; la ragazza romana
che sogna l'amore e si ritrova a prostituirsi; l'infermiera che cerca il partigiano, già morto. Sono tutti incontri
mancati in un paesaggio in rovina. Anche qui è un cinema rozzo, con una cinepresa sobbalzante e storie
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terminate in modo non soddisfacente. Rossellini ci mostra il necessario per farci capire. Gli errori si trovano
nei raccordi di montaggio, con ellissi troppo lunghe e difficili da capire.
Ancora più tragico il mondo di Germania anno zero, dove Edmund uccide il padre infermo considerato un
peso per la famiglia. La novità consiste nel vagare di Edmund tra le rovine di Berlino in cerca di calore e
comprensione, camminando sempre a testa bassa, senza capire a cosa stia pensando. Il volto impenetrabile di
Edmund è uno scoglio dove si infrangono le certezze del cinema classico e delle sue spiegazioni
psicologiche dei personaggi. Per Rossellini il realismo è amore, curiosità e rispetto dell'altro, senza spiegare
niente: solo osservare e guardare. Nel cinema classico si trovano tesi da dimostrare, nel neorealismo solo
domande da porre.
Visconti
Il realismo di Visconti, invece, è un realismo dei corpi, della sensualità e della vita, imparata quando era
assistente di Renoir. Visconto però è cupo e tragico. Nel suo primo film, Ossessione (1943), emerge la dura
realtà di sofferenza e miseria. Due amanti, Gino e Giovanna, uccidono il marito di lei per vivere insieme, ma
si accorgono di non avere futuro. Il film, con i suoi ruoli reali, dalle locande sudice alle città piene di vita, al
modo ossessivo di filmare gli attori, è una finestra su un mondo fisico e sensuale sconosciuto al cinema. La
Giovanna di Ossessione e Pina di Roma città aperta sono donne vere, disordinate, sporche e non artefatte
come le dive. Giovanna è sensuale e violenta, non si mette in posa, anzi, non lascia guardare ed è prepotente.
A