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APPUNTI STORIA RADIO TV PROF Innocenti

I cooking show negli stati uniti

Nel panorama statunitense vediamo schierati i magazine di fine dining come la rivista GOURMET

e dall’altro programmi governativi come l’RDA che vanno a costituire un set di regole per

comunicare alla popolazione la giusta quantità di sostanze nutritive da assumere giornalmente.

La maggior parte dei programmi di cucina davano consigli elementari su come cucinare il cibo i

scatola e a metà degli anni Quaranta i programmi di cucina erano più dei tappabuchi del

palinsesto. I coking show che hanno popolato il periodo tra il 1945 e il 1962 erano per lo più

dimostrazioni di ricette eccezionalmente semplici, economiche; i coking show mettevano insieme

una serie di consigli sulla famiglia, l’igiene la casa e poi un piccolo trafiletto per la ricetta che

partiva da prodotti in scatola o semilavorati, sono degli anthology show. Solo nel momento in cui si

capì che i coking show potevano essere dei veri e propri show si iniziò a rinegoziare il binomio

intrattenimento/istruzione. Il cambiamento avviene grazie ad alcune personalità come Beard il

quale inserisce l’idea di spettacolarizzazione del cibo. Da Beard in poi si delineano due filoni di

coking show: quelli classici stereotipati e freddi con la sola funzione educativa; e quelli che

puntano sull’aspetto di intrattenimento. Altra personalità importante nel panorama statunitense dei

coking show è Dione Lucas, che fa un salto in avanti nelle istruzioni delle ricette, innanzitutto

partendo da zero e accompagnando la preparazione con dolcezza e ironia sottile, anticipatrice di

Julia Child. Dunque in questa fase classica dei programmi di cucina assistiamo alla polarizzazione

del genere in due: il cibo è protagonista di programmi dall’alto piglio pragmatico; il cibo è al centro

dei primi tentatici di costruzione di un retaggio storico/culinario.

L’esperimento di Mario soldati

Il primo contatto del cibo in tv in Italia avviene con Viaggio lungo la valle del Po. Alla ricerca dei cibi

genuini che cerca di ricostruire il ritratto di un’Italia postbellica attraverso le tradizioni culinarie e

agricole. Viene dichiarato ufficialmente che l’intento primario è il binomio viaggio/conoscenza e

regala all’atto di mangiare la posizione privilegiata per entrare in contatto con le popolazioni locali e

rintraccia nella cucina le caratteristiche che risalgono alla geografia del luogo. Soldati mette a

confronto campagna e industria e si chiede che cosa sta facendo agli italiani il “logorio della vita

moderna”. Importante nella struttura del programma è lo studio, punto di raccordo e lancio dei

servizi, degli ospiti invitati e del congedo. I tre grandi temi sono declinati con toni e registri differenti

e mescola spettacolo e informazione. C’è un alto tasso di veridicità per l’assetto documentario e il

linguaggio di finta sorpresa che cercava di rendere la sensazione della diretta laddove non c’era.

Per avvicinarsi allo spettatore inoltre Soldati diventa lui stesso la sua incarnazione, ponendo

numerosi interrogativi anche banali per aiutare la comprensione.

Dal punto di vista dell’inquadratura e delle modalità di ripresa c’è da sottolineare un cambio netto

tra il mondo della campagna e quello degli stabilimenti, ma anche un tono diverso in una

particolare rappresentazione ovvero quella delle carni. Alla visita al mattatoio Soldati si informa su

cosa mangiamo ecc; Soldati si attarda nel riprendere la lavorazione delle carni nella loro ovvia

crudezza, riallacciandosi più ad un riferimento documentaristico educativo ed esplorativo che a

quello della cucina come spettacolo, che insegna a trattare la carne nel suo pezzo isolato.

Soldati fa questa sua ricerca per trovare il genuino rendendosi conto che sta scomparendo, ha un

atteggiamento nostalgico nei confronti del passato, e i toni con cui guarda all’industria sono di

indagine ma anche di una certo distacco.

Il cibo agli albori della tv italiana

Il secondo dopoguerra è caratterizzato ancora da sottonutrizione,basso tenore di consumi, circuiti

di mercato ristretti. Dal momento in cui comincia l’urbanizzazione vi è anche un rifiuto globale delle

radici rurali dell’autoconsumo e delle tradizioni alientari ed è infatti intorno agli anni Sessanta che

gli italiani cominciano a sperimentare una dieta moderna aumentando in modo significativo i

consumi di carne. In questo primo periodo la televisione ancora sperimenta, e gli unici programmi

che fanno sistema sono quelli che occupandosi in generale del settore agroalimentare, prendono

forza costante e reiterata produzione e si pongono come notiziari. Fino agli anni Novanta il cibo in

tv non è sfruttato in maniera metodica e l’unica prosuzione sistematica sembra essere più legata

alla scoperta del territorio (La tv degli agricoltori, A come agricoltura, Linea verde, L’almanacco del

giorno). Ma la prima trasmissione che si occupa di cucina in maniera organica secrinandolo

secondo molteplici angoli di lettura è A tavola alle 7 nel 1974, e in seguito Che fai mangi?.

A tavola alle 7

In Italia i programmi di cucina tardano ad arrivare e consolidarsi, ma tra gli anni Settanta e Ottanta

con A tavola alle sette e Che fai mangi? Si comincia a trattare la cucina in maniera organica

prendendo a modello o i magazine specializzati o quelli più generici.

In particolare A tavola alle 7 è uno dei programmi più significativi della paleo televisione prima

dell’arrivo dei canali tematici, condotto da Ave Ninchi, vestita da casalinga è incapace di cucinare,

a cui fa da contraltare Luigi Veronelli, primo gastronomo televisivo con funzione educativi. LA base

di questo programma è quella di una trasmissione dalla forte propensione alle indicazioni di

economia domestica. La quantità di informazioni e ricette è tutt’altro che scarsa, ma son pochi i

piatti la cui preparazione è seguita dall’inizio alle fine: si tende invece a saltare da una parte

all’altra dello studio per seguire in contemporanea i vari segmenti in corso, tornando

periodicamente con indicazioni sulle ricette in progress. Il programma mescola il varietà con

l’anthology show americano, in quanto vi è un contorno di intrattenimento misto a informazione.

Infatti mentre gli ospiti iniziano le preparazioni i conduttori bilanciano le indicazioni delle ricette

appena fornite con il quiz spostandosi ai tavoli de concorrenti. Le domande si susseguono a ritmo

incalzante e chi accumula più punti non solo vince premi ma ha la facoltà di decretare il vincitore

delle ricette. Le varie domande inoltre sono occasione per Veronelli di fornire indicazioni ai

telespettatori.

Perciò vi sono due tipi di ricette: quelle presentate passo passo, e quelle introdotte e lasciate sullo

sfondo che assumono i toni di una sfida tra concorrenti.

Nelle edizioni successive questi due momenti non sono fissi, cambia la disposizione della cucina

nello studio e la semplice coppia di ospiti è sostituita da categorie professionali, vengono ospitati

cantanti, attori cuochi e hostess. Col passare del tempo inoltre il format diventa più verboso e si

affacciano temi ancora oggi di attualità tra stili di vita modificati, abitudini alimentari e gastronomia.

Il programma si presenta dunque come una finestra sui cambiamenti sociali, culturali ed economici

dell’Italia del tempo, il cui aspetto più saliente è data dall’introduzione della carne sulle tavole degli

italiani.

Transiti degli anni Ottanta

Negli anni Ottanta i consumi stavano diventando più complessi: da una parte essi si inserivano in

modi di vita che facevano capo alla tradizione, sintetizzati all’epoca con l’espressione dall’altra si

assisteva a quello che veniva indicato come «politeismo dei consumi».Per meglio comprendere la

transizione verso la televisione contemporanea, il superamento dei pregiudizi intorno ai consumi di

massa fa sì che ci si renda conto che quel patto tra consumi e bisogni.

In questo nuovo rapporto di necessità tra funzioni e consumi, quello che sembra evidente è la

rinnovata domanda di una nuova sintesi culturale. Il criterio di scelta più evidente che guida il

consumo nella quotidianità, poi ripreso nella sua mediatizzazione sia a livello satellitare che

nell’odierno panorama della lifestyle television, è sempre di più l’enfasi posta sulla qualità del

consumo. Qualità che diventa un segno della differenza, una selezione accurata, un criterio di

scelta. Esattamente come nel 1941 la cultura gastronomica americana presentava spinte

divergenti che la tv non riusciva a mediare, come la contrapposizione tra la rivista sofisticata

Gourmet e la prima campagna governativa RDA, in Italia negli anni Ottanta/Novanta la cultura

gastronomica era sospesa tra Slow Food, che nasce sul territorio, e le prime catene di fast food,

che contribuiscono a cambiare i consumi alimentari degli Italiani. La televisione italiana inizia a

presentare quella schizofrenia dovuta all’arrivo della tv commerciale che non è ancora in grado di

mediare tra questi nuovi modelli: infatti, tranne poche eccezioni il cibo e la cucina, sia come

intrattenimento che come divulgazione, non riescono in un primo momento a strutturarsi in un

genere vero e proprio. In questo periodo Slow Food lavora sul territorio e divulga la

neogastronomia attraverso una pedagogia del gusto «buono, pulito e giusto» perseguendo

l’intento di modificare strutturalmente le aziende agricole, opera dall’esterno puntando più sulla

formazione che sullo sfruttamento del medium televisivo (una soluzione, quest’ultima, che forse

non avrebbe giovato nella prima fase del movimento).

dalla storia di Slow Food è evidente la distanza tra la cultura gastronomica e la sua

rappresentazione televisiva, colmata dall’impegno extratelevisivo del movimento. In quegli anni

“rallentare” era infatti percepito quasi come un delitto, qualcosa che andava nella direzione

contraria rispetto a quel carrierismo rampante e al consumo totalizzante e manicheo che era una

sorta di marchio di fabbrica degli anni Ottanta.

La vera e propria mediazione tra le spinte “fast” e “slow” sarebbe avvenuta solo con l’avvento della

lifestyle

television, in grado di trasmettere quei valori assimilabili all’universo della neogastronomia pur

all’interno della tendenza della spettacolarizzazione, in cui si legge in trasparenza il lavoro svolto

nei decenni precedenti da questa nuova idea di gastronomia.

Il linguaggio televisivo odierno sembra infatti caratterizzato da un dialogo e da un approccio più

sincretico ed eterogeneo rispetto alle contrapposizioni (o alle esclusioni) del passato: grazie alla

moltiplicazione dei canali che la tv tematica porta co

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
8 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cecc.ila di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della radio e della televisione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Innocenti Veronica.