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COME SI FA LA GUERRA

Guerra Ideale/guerra reale

Il progresso dell’umanità può avvenire soltanto in pace oppure tocca alla guerra promuoverlo?

Dobbiamo chiederci se effettivamente la complessità della guerra possa essere ricondotta alla

dicotomia tra guerra reale e ideale o meglio tra guerra-come-natura e guerra-come-cultura, per

comprendere se l’impulso bellico sia connaturato a determinate caratteristiche genetiche oppure se

possa essere il prodotto di un’elaborazione sociale e collettiva, se rientri nella natura della politica o se

ne costituisca una delle possibili manifestazioni. Per il grande storico greco Tucidide, “l’amore della

gloria, la paura, e l’utile” sono i “tre istinti principali” che rendono la guerra inevitabile, ma per

l’antropologa Margaret Mead invece risulta essere “soltanto un’invenzione-non una necessità

biologica”. La distinzione è espressa dall’olandese Huizinga: la guerra può essere considerata come

funzione culturale finché tra i membri sia riconosciuta parità nel valore o nel diritto, o comunque sia

soggetta a restrizioni. L’elemento culturale è stato abbandonato con la teoria della guerra totale. Nei

secoli le guerre si sono “civilizzate” grazie ad interventi diretti alla loro regolamentazione da un lato e

dall’altro hanno visto accrescersi la scala della violenza fino al limite dell’olocausto nucleare. Per Jean-

Jacques Rousseau è il rapporto tra le cose che costituisce lo stato della guerra; e non potendo lo stato

di guerra nascere da semplici relazioni personali, ma solamente da relazioni reali. La guerra è dunque

una relazione tra stato e stato, nella quale gli individui sono nemici solo accidentalmente e non come

uomini ma come soldati;non come membri della patria ma come suoi difensori. E’ evidente che questa

impostazione ci porterà a guardare alla guerra considerandola come il prodotto dell’intelligenza umana

e dei suoi progressi, cioè un’applicazione dei principi della razionalità strumentale, mentre in secondo

tempo potremo rivolgersi a dimensioni più intime. L’ambito sarà essenzialmente quello della strategia,

ossia della tecnica di conduzione della guerra in generale, con riferimento ai fini globali che il conflitto si

propone di raggiungere, come anello di congiunzione tra politica e guerra.

Il discorso strategico

Una riprova dell’oggettività della strategia intesa come indicatore delle modalità della guerra può essere

trovata nel confronto tra le 2 più note opere dedicate all’”arte della guerra”, scritte a 2 millenni di

distanza: quelle di Sun Tzu e di Machiavelli. L’Europa della fine del XV secolo stava per entrare in una

fase di grande bellicosità: l’Arte della guerra di Machiavelli verrà pubblicata nello stesso anno (1521) in

cui Carlo V lanciava la sua sfida mortale a Francesco I di Francia. Sun Tzu e Machiavelli riflettono su

realtà in parte analoghe ma appare significativo che tra i due scritti sia possibile individuare molte

assonanze e costanti (sapere quando è il momento di combattere, inganno, spionaggio, conoscere il

nemico, agire solo se si sa di poter vincere). L’opera di Tzu dopo essere caduta nell’oblio è stata

rilanciata dalla teoria strategica statunitense a inizio anni ’80 nel tentativo di offrire nuova ispirazione a

una teoria strategica ripetitiva delle grandi innovazioni che essa aveva conosciuto nei decenni

precedenti nel tentativo di mettere in forma la condizione nucleare. Le due opere offrono punti di tale

coincidenza da concludere che gli elementi fondamentali della logica strategica non possano

modificarsi né con il tempo né con i luoghi. In Della Guerra Clausewitz chiede: Arte o scienza della

guerra? Questa distinzione alla differenza che esiste tra potere e sapere, da una parte intesa come

capacità di fare davvero ciò che si vuole e dall’altra è la ragion d’essere della scienza della quale ha

bisogno per essere compresa a fondo in tutte le sue componenti. La guerra non è né un’arte né una

scienza. E’ dal grembo della politica che la guerra trae origine, è nella politica che i caratteri principali

della guerra sono già contenuti allo stadio rudimentale, come la proprietà degli esseri viventi lo sono nei

rispettivi embrioni. Ne concludiamo che la guerra sia qualche cosa di più complesso che un’arte o

scienza essendo intrecciata con la politica. Scopo fondamentale della strategia è quello di stabilire quali

risultati la guerra determinerà, risultati che dovranno essere pacifici. Se la strategia è più di una

semplice attività militare ciò significa che essa rappresenta la cerniera tra le due.

La “catena” strategica

Senza coincidere con l’analisi delle relazioni internazionali ma avvicinandovisi molto, il pensiero

strategico rappresenta la dimensione alla quale il calcolo razionale delle prospettive belliche è affidato,

dapprima in termini previsionali poi di conduzione delle operazioni. Quindi è un’attività non solo di

guerra ma anche di pace. La strategia potrebbe essere concepita come la scienza delle decisioni e si è

addirittura trasformata nella principale tecnica per evitare lo scontro nucleare tra le grandi potenze,

grazie all’edificazione dell’“equilibrio del terrore”.

• strategia diretta agisce per il fine della vittoria militare,

• strategia indiretta mira a “rovesciare il rapporto delle forze contrapposte, prima della prova della

battaglia, mediante manovre e non con il combattimento”, dato che rappresenta l’alternativa

funzionale a cui la politica può ricorrere per realizzare gli stessi risultati altrimenti raggiungibili con la

guerra ma con costi superiori.

A questo fine si comporrà una specie di catena che collega diversi gradi di intensità le singole decisioni

strategiche che il politico dovrà operare: dissuadere, minacciare, attaccare, difendersi. Possiamo

raggruppare queste 4 funzioni: dissuasione e minaccia rientrano nella strategia indiretta, attacco e

difesa in quella diretta e contengono tutte le possibili variazioni dell’agire strategico razionale e

andranno ordinate secondo la loro crescente intensità, poiché la dissuasione è l’azione minima mentre

la difesa è quella massima; se il nemico non potrà essere convinto dovrà essere vinto.

a) Strategia indiretta: dissuasione/minaccia.

Mentre la dissuasione comporta l’indicazione di ”non fare”, la minaccia si propone di “fare”. La teoria

strategica dell’età nucleare aveva costruito un raffinato apparato concettuale che si era dimostrato

l’unica possibilità perseguibile. Dalla circostanza che in una solo volta Stati Uniti e Unione Sovietica si

scambiarono una vera e propria minaccia traiamo la prova che questa seconda modalità sia più intensa

della prima e avvicini maggiormente alla guerra. La minaccia ci avvicina alla guerra e prende le forme

dell’ultimatum, come quello lanciato dall’Austria alla Serbia in occasione dell’assassinio dell’arciduca

Francesco Ferdinando nel 1914. Anche se le minacce non conducono necessariamente alla guerra

illuminano un altro aspetto centrale del rapporto tra guerra, politica e strategia: il problema delle

“percezioni” tra stati. Ne risulta il “dilemma della sicurezza”, una delle preoccupazioni maggiori dello

statista. Poiché la dissuasione tende ad allontanare dalla guerra mentre la minaccia la evoca, deve

essere analizzata la dimensione che in gioco quando la soglia precedente sia stata oltrepassata:

b) Strategia diretta: offensiva/difensiva.

Le condizioni dell’offensiva e della difensiva non sono semplici circostanze oggettive in cui all’uno o

all’altro contendente succede di trovarsi a seguito dell’essere stato o meno l’iniziatore del conflitto.

Basterebbe osservare quanto complesso sia stabilire chi l’abbia iniziata, preparata, portata sull’orlo

dell’esplosione. Clausewitz fa della distinzione tra attacco e difesa il centro della teoria strategica e

dedica 2 libri a Difensiva e Offensiva, una questione che egli risolve a favore della prima posizione,

intrinsecamente più forte della forma offensiva. La prima ragione consiste nel ricordare che ogni difesa

contiene in sé anche una risposta all’attaccante, una contro-offensiva; è poi l’esame empirico a darci

infinite prove della verificata superiorità di fatto della prima sulla seconda; ma la prova maggiore è

fornita dalla natura della posizione difensiva che ha come scopo quello di conservare perché può

giovarsi di tre elementi: la sorpresa, il vantaggio offerto dal terreno, l’attacco da più lati. Se ricerchiamo

filosoficamente l’origine della guerra, non è nell’attacco che vediamo sbocciarne il concetto, ma ha

origine nella difesa. La difesa non esiste che contro l’attacco; l’attacco invece non esiste in funzione

della difesa, bensì della presa di possesso, quindi non presuppone la difesa. Se dunque la difensiva è

la forma massima, essa appare ricollegarsi alla più contraria delle altre tre prima individuate

(dissuasione) con la quale condivide la grande forza riposta nell’attesa, che dimostra la volontà di

combattere e insieme la consapevolezza di quanto dannoso sia farlo davvero.

Modelli di guerra

Se la difesa ha successo, essa ci spingerà all’attacco e alla conquista. Ne deriva che 2 nuove

fondamentali dimensioni entrano in gioco e sono alla base delle preoccupazioni dello stratega:

• Spazio : non soltanto ai fini della determinazione del campo di battaglia ma più in generale delle

risorse naturali e ambientali che esso offre a chi lo occupa.

• Numero dei combattenti : nel momento dello scontro è necessario riuscire a farvi convergere le

proprie forze che devono essere superiori al nemico. Vi si può ricondurre anche l’errore Hitleriano di

tenere aperti troppi fronti. Clausewitz dimostra la centralità della preponderanza numerica. Se

spogliamo il combattimento da ogni carattere particolare non ci resta che l’idea di una lotta senza

forma definita in cui non distinguiamo che il numero dei combattenti. Questo numero determinerà la

vittoria. Non sempre garantisce la vittoria, ci sono altri fattori: la portata dei fini di guerra, il valore

morale dell’obiettivo, l’addestramento delle truppe, il genio guerriero. Il paradosso del numero è

illustrato dall’irregolarità delle truppe combattenti delle forme di guerriglia, della loro particolare

mobilità, dell’intensità del loro coinvolgime

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
12 pagine
10 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher BarbaraM92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della guerra e delle Istituzioni militari e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Minniti Fortunato.