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ALLA CONQUISTA DEL SUD

Incompatibili panamericanismi

A partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, gli Stati Uniti ricorsero anche alla via diplomatica attraverso la

creazione di un’organizzazione panamericana, il cui varo ufficiale avvenne alla Conferenza di Washington. In

seguito quest’organismo acquisì una maggiore veste istituzionale. Già nel 1881, il segretario di Stato James Blaine

aveva invitato tutti i paesi del continente ad una riunione antiamericana con l’obiettivo di discutere l’adozione di un

meccanismo di arbitrato in caso di controversie tra Stati americani e la creazione di un’unione doganale. Il

tentativo, che può essere considerato uno dei primi passi della Casa Bianca per delineare una politica rivolta a tutta

l’area latinoamericana, non ebbe successo, ma il progetto venne ripreso nel 1889, quando gli Stati Uniti promossero

la I Conferenza panamericana, tenutasi a Washington alla presenza di tutte le nazioni americane d eccezione di

Santo Domingo. In quella circostanza si tentò di approvar un meccanismo per la soluzione pacifica delle

controversie e di creare un’unione doganale. La delegazione statunitense insistette sul secondo punto ma incontrò

l’opposizione dei vicini del Sud per i legami che molti di essi avevano con l Gran Bretagna. La conferenza si chiuse

con i risultati modesti (né l’unione doganale né il sistema di arbitrato furono approvati). L’atto più importante

riguardò la creazione dell’Unione internazionale delle repubbliche americane che, pochi anni dopo, avrebbe

cambiato il proprio nome in Unione panamericana. A Washington il sistema panamericano venne avviato sul piano

formale e da allora, la Casa Bianca ebbe a disposizione un nuovo strumento diplomatico per estendere la propria

influenza geopolitica, mentre le nazioni latinoamericane vi trovarono un foro di discussione e di confronto e

accettarono così di far parte di un organismo continentale già ipotizzato in passato ma sempre respinto.

La tigre comincia a graffiare

Intanto la politica estere degli Stati Uniti acquisì nuovi contenuti. Ciò condusse a un mutamento di indirizzo anche

nei confronti dell’America Latina, che assunse importanza prevalentemente economica. XIX secolo gli Stati Uniti

avevano i mezzi economici e militari per partecipare alla competizione imperiale tra le grandi potenze. Si passava,

in sostanza dalla fase espansionistica della manifest destiny a quella imperialistica, in competizione con a Gran

Bretagna, con la Francia e la Germania. La svolta imperialista rispose anche alla crisi economica che investì il

paese nel 1893 e che si protrasse sino al 1896.

E’ in questo quadro che si inserisce la crisi venezuelana del 1895. Gli Stati Uniti si imposero prepotentemente sulla

scena continentale in occasione della controversia che oppose il governo inglese al Venezuela per la delimitazione

dei confini della Guaina britannica e, in particolare, per il possesso del territorio situato alla foce dell’Orinoco,

molto importante ai fini commerciali. La crisi suscitò grande disappunto negli Stati Uniti e forte ostilità nei

confronti degli inglesi. L’azione britannica era stata giudicata a Washington una palese violazione della dottrina

Monroe. In Venezuela l’intervento militare inglese fu scongiurato dal residente statunitense Grover Cleveland, che,

invocando il rispetto della dottrina Monroe, intimò al governo di Sua Maestà di sottoporre la vertenza ad un

arbitrato internazionale.

Alcuni mesi dopo il governo inglese respinse la proposta di arbitrato. A quel punto Cleveland decise di assumere

una condotta bellicosa, prospettando la creazione di una commissione speciale statunitense incaricata di stabilire il

confine tra il Venezuela e la Guiana britannica e, di sostenere le eventuali rivendicazioni venezuelane. Alla fine

quest’ultima, nel novembre del 1896 trovò un accordo con gli stati Uniti siglando un trattato con il Venezuela nel

1897. la soluzione definitiva giunse però solo due anni dopo. L’arbitrato dell’ottobre del 1899 concesse al

Venezuela il delta dell’Orinoco e l’area sud dello stesso fiume, mentre alla Guaina britannica fu garantita la

maggior parte del territorio originariamente conteso.

La crisi di confine venezuelana rappresentò un primo esempio della crescente tendenza degli Stati Uniti a

considerare l’emisfero occidentale come di loro esclusiva pertinenza e ad usare la dottrina Monroe come base

legale per estendere il loro potere. Nell’ottica statunitense, riprendeva il processo espansionistico. La volontà di una

costante proiezione degli Stati Uniti è testimoniata anche da episodi meno gravi. Ci si riferisce alla crisi

diplomatica che si verificò tra Stati Uniti e Cile a causa del cosiddetto “caso Baltimore”, che portò i due paesi ad un

passo dalla guerra. La controversia scaturiva dall’assassinio di due marinai statunitensi appartenenti alla nave

Baltimore e coinvolti in una rissa con civili cileni nel 1891, nel porto di Valparaiso. Il presidente Benjamin

Harrison pretese scuse ufficiali e il risarcimento dei danni dal governo cileno. Santiago acconsentì a indennizzare le

famiglie dei marinai. Per gli Stati Uniti si trattava di una vittoria.

La guerra ispano-americana del 1898

Cuba e Porto Rico erano rimasti gli unici due possedimenti spagnoli nelle Americhe. La favorevole fase economica

attraversata dalle due isole nel periodo delle guerre di indipendenza aveva spinto le classi dominanti locali a non

sostenere posizioni di rottura del vincolo coloniale, consapevoli che ciò avrebbe comportato la mobilitazione in

armi della gente di colore e l’abolizione della schiavitù. La Spagna per contro, non era in grado di assicurare un

rifornimento di forza lavoro libera e quindi non fu indotta a modificare il regime schiavista. Madrid si dimostrava

poco disposta all’abolizione. I latifondisti locali non maturarono posizioni indipendentiste, dimostrandosi sensibili

all’annessione agli Stati Uniti. A favore di quest’ultima opzione giocavano varie motivazioni politico-economiche,

quali vantaggio di inserirsi in un mercato dinamico, la sostituzione del decadente stato spagnolo con quello

nordamericano e maggiori garanzie rispetto al rischio dell’abolizione della schiavitù.

A ciò si aggiunga il tentativo operato nel luglio del 1848 dal generale spagnolo Narciso Lòpez di organizzare una

spedizione per la liberazione di Cuba che sarebbe dovuta partire proprio dagli Stati Uniti. Il governo nordamericano

decise di sciogliere la spedizione per che violava le leggi di neutralità. Il generale, non si perse d’animo e organizzò

prima uno sbarco nei pressi di Càrdenas- catturando la guarnigione spagnola e il governatore e, in seguito, una

nuova azione che gli costò la vita. L’iniziativa di Lòpez preoccupò i notabili cubani, molti dei quali ripiegarono su

posizioni riformiste (cioè controllo spagnolo temperato dal riconoscimento di ampie autonomie).

Ma se l’èlite mise da parte il sogno nordamericano, una quota di cubani di ceto medio-alto, si convinse che solo la

lotta armata avrebbe reso possibile una maggiore libertà per l’isola e, pertanto si ribellò. La guerra dei Dieci anni si

concluse nel 1878 con la firma della pace tra rivoltosi ed autorità spagnole, sancendo l’abolizione generalizzata

della schiavitù. A distanza di poco meno di venti anni un nuovo impulso insurrezionale agitò Cuba. All’inizio del

1895, i ribelli ripresero la lotta in tre diversi punti nella zona orientale dell’isola. La Spagna reagì, decretando la

censura della stampa e inviando un corpo di spedizione di circa 9000 uomini che fu affidato al generale Valeriano

Weyler che portò il terrore sull’isola. A lui si devono il trasferimento della popolazione rurale in “zone militari”

controllate dall’esercito spagnolo. Nondimeno Weyler riuscì a riprendere il controllo della parte occidentale del

territorio cubano, mentre in quella orientale la tecnica della guerriglia adottata dai ribelli si dimostrò efficace per il

movimento indipendentista. La guerra proseguì senza che nessuno dei due contendenti avesse il sopravvento sino al

1898, quando gli Stati Uniti decisero di intervenire.

Nell’amministrazione nordamericana fu subito chiaro che la sollevazione cubana poteva favorire la ripresa del

processo di espansione. L’ipotesi dell’intervento era stata sempre scartata proprio in virtù del fatto che il debole

dominio spagnolo non aveva ostacolato la penetrazione economica e commerciale nordamericana. D’altronde,

l’intervento era stato motivo di forti tensioni e accesi dibattiti all’interno degli Stati uniti. Al conflitto con la Spagna

si arrivò, comunque, per gradi e il ruolo della stampa scandalistica nordamericana fu decisivo nel preparare e nel

convincere l’opinione pubblica nazionale a sostenere una lotta contro il colonialismo spagnolo e in difesa del

popolo cubano.

Nel dicembre 1897, i tumulti verificatisi all’Avana spinsero il generale Lee, console degli Stati Uniti a Cuba, a

chiedere l’arrivo della corazzata Maine. Ma la sera del 15 febbraio 1898 la nave militare statunitense, all’ancora al

porto dell’Avana, saltava in aria, ma causa di un incendio nella sala macchine e non per responsabilità della Spagna

come denunciò Washington, offrendo il pretesto per la guerra. Dopo che il governo ebbe presentato un ultimatum

alla Spagna, in cui si chiedeva la cessazione della concentrazione forzosa della popolazione, delle operazioni

militari e la concessione ai cubani di un’ampia autonomia, il 20 aprile del 1898 il Congresso approvò una Joint

Resolution con la quale si disponeva l’intervento militare al fine di “pacificare” Cuba. Due giorni dopo gli Stati

Uniti dichiaravano guerra alla Spagna.

La contesa fu breve e si concluse con il Trattato di Parigi del 1898. La Spagna cedeva agli Stati Uniti porto Rico,

l’isola di Guam, l’arcipelago delle Filippine e Cuba. L’isola era sottoposta ad una nuova tutela, quella di

Washington. Dopo l’esperienza filippina, dove la guerriglia nazionalista dava del filo da torcere agli occupanti

statunitensi, metteva in guardia al calcare la mano a Cuba e dall’impantanarsi in una lunga sanguinosa e costosa

lotta contro un movimento indipendentista.

Più che una vittoria militare, rappresentò una battaglia simbolica che impressionò e suscitò preoccupazioni

nell’America Latina tutta, anche perché rafforzò negli Stati Uniti il sentimento di superiorità razziale degli

anglosassoni nei confronti dei latini. La percezione dell’America Latina nel discorso politico-culturale e

nell’opinione pubblica consapevole nordamericana poggiarono su tre assi principali:quelli della governabilità, della

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A.A. 2013-2014
34 pagine
10 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/05 Storia e istituzioni delle americhe

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Jasminef di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'America latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi L'Orientale di Napoli o del prof Nocera Raffaele.