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SOLUZIONE DI PROBLEMI
Perché una persona possa porsi un problema deve essere in grado di attivare due
rappresentazioni:
- Rappr. Della situazione presente
- Rappr. Della situazione che vorrebbe realizzare
E per risolverlo deve disporre di adeguate strategie o riuscire a costruirle sul momento.
I bambini fin dalla nascita agiscono in modo da trasformare le situazioni in cui si trovano.
Piaget ha implicitamente posto al centro dell’intelligenza sensomotoria la capacità di
risolvere problemi. Egli ha distinto gli ultimi tre stadi di questo periodo attraverso il tipo
di mezzi di cui i bambini dispongono per la soluzione dei problemi che incontrano. Tuttavia
Piaget non ha definito esplicitamente i bambini come solutori di problemi e non ha
considerato innata la capacità di porsi un obiettivo, attribuendola ai bambini solo a partire
dal III stadio del periodo sensomotorio.
Case ha messo al centro della sua teoria proprio l’idea che i bambini siano dei solutori di
problemi. In quest’ottica, un aspetto centrale dello sviluppo è la formazione di desideri.
Secondo Case, ogni comportamento è guidato da strutture di controllo esecutivo che
comprendono tre componenti: la rappresentazione di uno stato esistente, la
rappresentazione di uno stato desiderato e una strategia che indica la serie di passi per
conseguire il secondo. Una struttura di controllo esecutivo di cui i bambini sono dotati già
dalla nascita e che guida l’inseguimento visivo è:
situazione problema (oggetto interessante che si muove) obiettivo (continuare a
vederlo) strategia (muovere gli occhi per seguire il movimento).
Con lo sviluppo, le strategie di controllo esecutivo diventano sempre più lunghe e
complesse in ogni componente: l’analisi della situazione presente si fa sempre più
dettagliata, l’obiettivo si articola in una gerarchia di sotto-obiettivi e la strategia prevede
un numero crescente di passi. Le diverse strategie si sviluppano con percorsi e velocità
simili, perché il grado di complessità che esse raggiungono in un certo momento dipende
dalla capacità della memoria di lavoro dei bambini, cioè il numero di rappresentazioni
mentali che essi riescono a mantenere attive contemporaneamente. La sincronia con cui
avviene lo sviluppo in diversi ambiti consente di identificare una serie di stadi divisi al
loro interno in sotto-stadi.
Nel sotto-stadio 0, i bambini si limitano a esercitare, modificandole lievemente, le
strutture già presenti alla nascita. Nel sotto-stadio 1, due di queste strutture prima
indipendenti vengono coordinate in una nuova struttura, quando per farlo basta porre
attenzione ad un solo aspetto della situazione. Nel sotto-stadio 2, la coordinazione viene
realizzata anche quando è necessario mutare la direzione dell’attenzione da un oggetto,
o aspetto, a un altro, o focalizzarla su due aspetti contemporaneamente.
Capitolo IV
Lo SVILUPPO del SE’
Nei primi due anni, oltre alla conoscenza della realtà esterna ha inizio nel bambino quella
della realtà interna, ovvero il proprio Sé. Piaget ha proposto al riguardo alcune
speculazioni, suggerendo che la realtà oggettiva e quella soggettiva si costituiscano di pari
passo, a partire da uno stato di indifferenziazione in cui i bambini si trovano nei primi
mesi di vita. Molti psicologi hanno studiato il Sé e tutti sono concordi nell’affermare
l’intreccio tra Sé ed emozioni.
Due sono le teorie considerata maggiormente valide: quella di James, secondo cui il Sé è
identificabile in componenti diversificate e quella di Baldwin e Mead dell’interazionismo
simbolico, da cui parte l’idea che il Sé abbia origine dalle interazioni sociali.
Il Sé può essere definito in base alle sue funzioni, ossia come l’istanza psicologica che
consente ad ognuno di noi di integrare le proprie esperienze, tracciando un confine tra
ciò che pertiene all’individuo e ciò che pertiene al resto del mondo. Il Sé è ciò che ci
consente di definire noi stessi e la realtà esterna.
IL SE’ PRESIMBOLICO
Diversi studiosi parlano di un Sé presimbolico, che è presente già nel neonato, e costituisce
la sede dell’esperienza percettiva ed emotiva. Benchè sia difficile verificare
empiricamente l’esistenza e le precise caratteristiche del Sé presimbolico, esso è
postulato dalla maggioranza degli studioso come base necessaria per il successivo
emergere della coscienza di Sé. Si tratta di un’esperienza di tipo intuitivo affettivo: è
quello che traccia la prima distinzione tra Sé ed altro. Nei termini di James è l’Io, non il
Me, che invece comparirà solo più tardi.
Le informazioni che consentono ai bambini di distinguere se stessi dagli oggetti esterni
sono quelle che derivano dall’esplorazione del proprio corpo e dall’attenzione prestata ai
propri movimenti. A poco più di un giorno dalla nascita, i neonati sono in grado di
distinguere se vengono toccati sulla guancia da movimenti casuali delle proprie mani o da
un’altra persona. Nel primo caso rispondono con il riflesso del rooting con frequenza
inferiore che nel secondo.
Un esperimento condotto da Rochat e co. Indica che a tre mesi i neonati sono in grado di
avvertire non solo la contemporaneità delle percezioni visive prodotte dai propri
movimenti, ma anche la corrispondenza nella direzione dei movimenti e hanno un’idea
complessiva della configurazione delle gambe rispetto al corpo. I bambini venivano posti
davanti a un televisore con lo schermo diviso in due parti, dove si vedevano online due
diverse versioni dei movimenti delle loro gambe, riprese da due telecamere. Una
telecamera riproduceva le gambe del neonato come li vedeva egli stesso, l’altra
introduceva delle modifiche. I bambini osservarono più a lungo le riprese modificate e
mentre le guardavano sgambettavano più velocemente. Secondo gli autori, queste risposte
indicano che essi possiedono uno schema corporeo (Sé corporeo) e sono in grado di notare
le discrepanze tra i movimenti delle gambe avvertiti propriocettivamente e quelli visti.
Secondo Rochat la capacità di cogliere invarianti intermodali è alla base del senso di Sé
come agente, che si sviluppa nei bambini parallelamente alla conoscenza del Sé corporeo,
grazie alla percezione della contemporaneità dei loro movimenti e di eventi visivi o sonori
che coinvolgono entità diverse del Sé. La precoce presenza nei bambini di un senso di sé
come agente è suggerito da diverse caratteristiche delle azioni e dalle manifestazioni
emotive che le accompagnano.
Le esplorazioni del proprio corpo e del mondo fisico circostante rendono possibile una
prima tappa essenziale nella costruzione del Sé. Questo Sé si completa con lo sviluppo di
un Sé interpersonale grazie alle interazioni con le altre persone e la condivisione di
esperienze ed emozioni che avviene a partire dal secondo mese con la comparsa del sorriso
sociale. La presenza di un caregiver è indispensabile per assicurare la continuità del Sé
presimbolico, dato che il lattante alterna periodi di veglia a periodi prolungati di sonno e
anche durante la veglia la sua attenzione non è mai continua. È il caregiver che struttura
in modo organico le esperienze costitutive del Sé presimbolico del bambino, che pur
restando isolate le une dalle altre, non risultano eccessivamente frammentate.
Verso la fine del primo anno di vita il significato sociale del Sé si delinea in modo più
chiaro, in quanto il bambino inizia ad attribuire mente al corpo altrui. Ad esempio, quando
un bimbo cade dopo i primi passi e si guarda attorno per vedere come reagiscono i
presenti, sta costruendo un Sé non solo corporeo, ma indicativo del parallelo distinguersi
Me/altri. La capacità di attribuire stati mentali agli altri è mediata dall’interpretazione
dei loro movimenti come azioni analoghe a quelle che noi stessi compiamo; questo
riconoscimento non emerge dalla semplice osservazione del comportamento altrui da
parte del ambino, quanto dalla sua partecipazione alle routine interattive.
LA COSCIENZA DI SE’
Il primo indizio di un Sé consapevole (Me) è costituito dal riconoscimento del proprio
aspetto fisico. Le prime osservazioni sono state condotte nella seconda metà dell’800 da
Preyer. Questi studi sono stati ripresi negli anni ’40 da Zazzo che ha usato tecniche più
elaborate, facendo vedere ai bambini la loro immagine allo specchio e attraverso foto o
filmati. Da queste indagini ha preso inizio una serie di studi sempre più sofisticati, tra cui
la ricerca di Lewis e Brooks-Gunn con bambini dai 9 mesi ai 2 anni.
Ai partecipanti venivano mostrate varie immagini di se stessi. Si è ritenuto che i bambini
avessero riconosciuto la propria immagine quando i segni di interesse erano
significativamente più numerosi e prolungati di quelli riservati all’immagine di altri
bambini e soprattutto quando i soggetti mostravano sorpresa per un’incongruenza
dell’immagine rispetto a quella attesa. Gli autori hanno trovato che già a 9 mesi i bambini
rivolgono più attenzione alla propria immagine dal vivo rispetto a quella di altri bambini,
ma il riconoscimento di sé sembra legato alla contingenza tra gli indici propriocettivi e i
propri movimenti visto allo specchio o sullo schermo.
Una recente ricerca ha mostrato che le madri aiutano i figli di pochi mesi ad associare la
figura dello specchio con i movimenti del bambino. Le mamme si rivolgono infatti
all’immagine e attirano l’attenzione del bambino sullo specchio mantenendo vivo il gioco
che diverte il bambino. Tuttavia, questo tende a considerare l’immagine solo come
qualcosa o qualcuno con cui interagire. È solo a partire dai 15 mesi che i bambini mostrano
reazioni diverse a filmati di altri bambini o di se stessi. I rapidi progressi nello sviluppo
del linguaggio offrono ai bambini altri strumenti per manifestare la consapevolezza di Sé.
Quest’ultima ha anche altre manifestazioni, meno dirette: la gamma di emozioni che i
bambini possono sperimentare si arricchisce con la comparsa delle emozioni
autocoscienti. I bambini manifestano, inoltre, una crescente determinazione nel far
valere la propria volontà nei confronti degli adulti e allo stesso tempo anche un crescente
autocontrollo, ossia la capacità di resistere ai propri impulsi per agire in conformità alle
richieste genitoriali.
IL SE’ E LE SUE ARTICOLAZIONI
La ricerca attuale sul Sé e il suo sviluppo è debitrice alle teorizzazione dello psicologo
William James, il quale ha proposto una visione del Sé e della