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L’ABITO: DAL SIMBOLO ALL’EMBLEMA

Dal 6° all’8° secolo nel mondo religioso avviene un cambiamento: non si usa più la lana non tinta,

ma si usano dei colori diversi con funzione tassonomica, per distinguere gli ordini, su influenza

della nascente araldica.

Questo passaggio avviene lentamente ma in modo netto:

Che colori adottano i monaci? Dal 9° secolo il NERO si impone come colore monastico per

eccellenza, e questa abitudine prende definitivamente piede tra 10° e 11° secolo, quando si

estende l’impero cluniacense fatto, appunto, di monachi nigri (al punto che tutti i movimenti

eretici, in opposizione all’ideologia cluniacense, rivendicano la povertà dell’abito originario, fatto di

lana grossolana e non tinta).

Anche l’ordine cistercense usa l’abito come reazione contro il nero cluniacense: i cistercensi

scelgono una stoffa comune e di poco prezzo, fatta di lana non tinta (quindi grigiastra) e prodotta

dagli stessi monaci del monastero, che quindi si chiamano monachi grisei.

La violenta controversia tra monaci cluniacensi e monaci cistercensi avvenne all’epoca di Pietro il

Venerabile, abate di Cluny, e di Bernardo di Chiaravalle: in una lettera Pietro rimprovera l’uso

dell’abito bianco per vestirsi perché è un colore speciale usato solo per le feste più importanti,

mentre il nero è simbolo di umiltà.

Solo dopo il 12° secolo il colore dell’abito perde il suo valore simbolico e mantiene solo quello

emblematico. In altre parole il colore serve a identificare socialmente l’ordine di appartenenza, non

a qualificare simbolicamente (come umili/puri…).

13° secolo= sorgono gli ordini mendicanti che, quindi, devono trovare il loro emblema in un colore:

Francescani: abito in lana grezza non tinta, quindi si iscrivono in quella gamma incerta dei

 grigi e dei bruni; dall’esterno sono emblematizzati come “frati grigi”:

Domenicani: inizialmente scelgono l’abito bianco, poi dal 1220 scelgono una formula

 bicroma: il saio bianco e lo scapolare nero, presentati come il colore della purezza e

dell’austerità.

UN COLORE ONESTO: IL NERO

Dalla metà dell’11° secolo diversi prelati dettano delle regole contro il lusso nel vestire dei chierici

e bandiscono alcuni colori, in particolare il rosso e il verde, giudicati troppo costosi e vivaci. Tali

indicazioni diventano delle norme durante il 4° concilio lateranense del 1215.

Oltre a dei colori individuali si condanna, in generale, la policromia. Per la sensibilità medievale

l’espressione più sconveniente di policromia era la riga e gli scacchi, motivi che tra i laici

conoscevano un vasto successo, ma che per i chierici erano sconvenientissimi (ma anche per

qualsiasi cristiano onesto!).

Alla fine del Medioevo i regolamenti riguardano tutta la società laica e hanno diverse funzioni:

1) Funzione economica: limitare le spese per gli abiti, giudicati investimenti improduttivi

2) Funzione morale: conservare una tradizione cristiana di modestia e di virtù

3) Funzione sociale ed ideologica: distinguere le persone per sesso, condizione e rango

Altre considerazioni sui colori degli abiti e sui regolamenti:

• Certi colori sono vietati a determinate categorie sociali per la loro tonalità troppo vistosa o

immodesta o perché costa troppo ottenerli.

• Certi colori sono prescritti a categorie di esclusi/infermi/non cristiani per segnalare la loro

“trasgressione” dell’ordine sociale (di solito rosso, giallo e verde)

• Progressivamente il nero diventa un colore di moda dopo gli anni della peste (1350-1380). I

motivi di questa diffusione sono due:

1) il nero è un colore principesco perché adottato dalla corte di Spagna

2) perché l’etica protestante lo considera come un colore più morale degli altri.

LA “CROMOCLASTIA” DELLA RIFORMA

La Riforma non è caratterizzata solo dall’iconoclastia ma anche dalla cromoclastia, ovvero la

guerra ai colori.

Il protestantesimo nasce all’inizio del 16° secolo, proprio quando stava trionfando il libro a stampa

e quindi l’immagine incisa (ovviamente in bianco e nero), quindi non stupisce che l’etica

protestante crea un sistema di colori costruiti intorno all’asse nero-grigio-bianco. Questa

cromoclastia riguarda tutti gli ambiti della vita, religiosa e laica, privata e pubblica.

IL TEMPIO Secondo i grandi riformatori le chiese erano troppo colorate e propongono una

espulsione totale del colore dal tempio. Essi, dunque, si pongono sulla stessa linea di pensiero di

Bernardo di Chiaravalle: Zwigli, Calvino, Melantone e Lutero denunciano l’eccessiva colorazione

del tempio e in particolare si scagliano contro il colore rosso, simbolo di peccato e di lusso.

Dal punto di vista dogmatico e teorico non sappiamo come sia avvenuta la cacciata del colore dal

tempio perché abbiamo troppe poche informazioni; quel che è certo è che la cromoclastia è una

guerra meno violenta e più sottile rispetto all’iconoclastia (e per questo non abbiamo molti dati!).

Inoltre c’è da considerare che la grande frammentazione delle chiese protestanti ha portato con sé

degli atteggiamenti diversi da comunità a comunità, al punto che è impossibile fare un discorso

generale.

IL CULTO Nel rituale della messa il colore svolge un ruolo essenziale e cambiava a seconda della

liturgia.

Secondo i riformatori protestanti i colori liturgici andavano eliminati perché:

• Lutero=i colori ridicolizzano la Chiesa

• Melantone= i colori liturgici trasformano i sacerdoti in istrioni

• Calvino= i colori sono ornamenti inutili e l’unico ornamento degno è la parola di Dio

Ecco perché la chiesa protestante si configura come “in bianco e nero”.

L’ARTE Per capire come si comportano gli artisti protestanti in materia di colore occorre studiare

due cose:

1) Le prescrizioni di colore dei riformatori, in particolare Calvino fu quello che diede maggiori

indicazioni, che proviamo a sintetizzare:

- Le arti plastiche non devono rappresentare il Creatore ma la Creazione e deve istruire i

fedeli, avvicinandoli a Dio

- I colori più belli, chiari e armoniosi sono quelli della natura

2) La tavolozza dei pittori protestanti, che in generale è così:

- Generale sobrietà

- Orrore del variopinto

- Colori scuri con effetti di chiaroscuro

- Pittura monocroma

- Fuga da tutto ciò che aggredisce l’occhio

Es. Rembrandt che pratica una sorta di “ascesi del colore” basata su toni scuri, discreti e poco

numerosi.

Quel che è importante della cromofobia protestante è che essa scatena due conseguenze

importanti:

1) Una reazione cromofila nella Chiesa di Roma: per i cattolici romani il colore diventa un

modo di abbellire la chiesa, immagine del cielo sulla terra. Niente per essi è troppo bello

per la casa di Dio: marmi, ori, stoffe e metalli preziosi…tutte cose rigettate dai protestanti.

2) L’incisione e le stampe che la Riforma usa per propaganda contribuisce alla diffusione

massiccia delle immagini in bianco e nero, contribuendo a sottrarre il bianco e il nero

dall’ordine di colori.

L’ABITO La cromofobia protestante ha importanti ripercussioni sull’abito.

Per la Riforma l’abito è sempre più o meno simbolo di peccato e di vergogna perché è legato alla

caduta col peccato originario; per questo motivo esso deve essere semplice e modesto.

Tutte le morali protestanti esprimono avversione per il lusso nell’abbigliamento e per la vanità:

- Semplicità di forme

- Discrezione dei colori: sono aboliti quelli vivaci e sono utilizzati tutti i colori scuri (nero,

grigio e bruno, il blu solo se discreto) e il bianco.

- No policromia

- Soppressione degli accessori

CONSEGUENZE Quali sono state le conseguenze del rigetto dei colori da parte dei protestanti?

1. Separazione tra il bianco-nero e tutti gli altri colori (in un certo senso potremmo dire che la

Riforma prepara la strada alla scoperta dello spettro dei colori di Newton del 1666, che

esclude il nero e il bianco dalla gamma di colori propriamente detti)

2. Produzione di oggetti destinati al consumo di massa molto poco colorati dalla metà del 19°

secolo. C’è, infatti, uno stretto legame tra il capitalismo industriale e l’etica protestante, per

cui forse non è un caso che i primi elettrodomestici, i primi telefoni, le prime automobili

siano stati prodotti nella gamma nero-bruno-grigio-bianco. Per esempio Henry Ford (1863-

1947) si rifiutò sempre, per ragioni morali, di vendere vetture che non fossero nere.

I TINTORI MEDIEVALI

STORIA SOCIALE DI UN MESTIERE RIPROVATO

ARTIGIANI DIVISI E LITIGIOSI

L’industria tessile era l’unica sola grande industria dell’Occidente medievale ed era caratterizzata

da rigidi regolamenti professionali. Nonostante le normative, i tintori erano spesso in conflitto con

altri artigiani:

TINTORI VS TESSITORI: i regolamenti riservavano ai soli tintori il diritto di tingere,

 escludendo così i tessitori. Da qui i continui litigi tra tintori e tessitori, documentati da diversi

atti e processi. Talvolta i tessitori ottenevano dalle autorità municipali il diritto di tingere la

lana di un colore poco alla moda o con una materia colorante poco utilizzata dai tintori.

TINTORI VS CONCIATORI: sia i tintori che i conciatori avevano bisogno di utilizzare

 l’acqua del fiume per esercitare il proprio mestiere. Il problema è questo: se i tintori

sporcano l’acqua con le loro materie coloranti, i conciatori non possono servirsene per

lasciar macerare le pelli; all’inverso quando i conciatori ributtano nel fiume acqua sporca di

concia, i tintori non possono utilizzarla. Da qui diverse liti.

TINTORI VS TINTORI: poiché nella maggior parte della città le diverse tintorie si

 spartiscono i vari colori o gruppi di colori, si scatenano liti per l’uso dell’acqua del fiume: se

un tintore di blu sporca le acque del fiume, il tintore di rosso deve aspettare ad utilizzarle

per un certo tempo.

IL TABU’ DELLE MESCOLANZE

Nel Medioevo mescolare era un tabù, in quanto era giudicata un’operazione infernale che

infrangeva l’ordine e la natura delle cose volute dal Creatore. Per questo motivo gli stessi tintori

non si azzardavano a mescolare due colori per ottenerne un terzo: giustapponevano,

sovrapponevano, ma non mescolavano mai. Nessun trattato prima del 15° secolo spiega che per

ottenere il verde occorre mescolare il blu e il giallo (anche perché i medievali non distinguevano tra

colori primari e secondari).

Le pratiche di tintoria erano sottoposte ai vincoli di mordenzatura, ovvero all’uso dei mordenti. I

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Publisher
A.A. 2015-2016
52 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/01 Storia dell'arte medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bismark di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Scirea Fabio.