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La quale coscienza, è sì definita dal rapporto concreto con quelle stesse cose, salvo produrre
immagini che nessuna percezione concreta esaurisce negli ambiti di una cosità fatta e finita che ne
determina il contenuto emotivo. Sicché, contro l'opinione convenzionale secondo cui la nostra
facoltà immaginativa non sarebbe che la registrazione, in pallida copia, degli oggetti che ci
circondano, in verità è sempre la nostra coscienza intenzionale a decifrare il senso di ogni realtà
particolare.
L'ideologia del senso comune
L'uomo-massa (affronta tutto lavoro come il tempo libero con lo stesso spirito) è una di quelle
categorie fatte apposta per far discutere all'infinito. Eppure essa ha il pregio di saper rappresentare
in modo adeguato la condizione psicologica sociale e culturale che investe ciascuno di noi quando
ci si lasci andare ai nostri giudizi istintivi. Giudizi attraverso i quali transita, invece, tutto il repertorio
delle nostre abitudini consolidate, fin a fare di tutti noi dei modellini di carta alle prese con lo stesso
risparmio energetico che caratterizza l'impulsività con cui frettolosamente afferriamo le chiavi di
casa mentre ci gettiamo di prima mattina me la corrente nella vita quotidiana. L'uomo prova "il
piacere di essere, nella sua debolezza, un esemplare della maggioranza". Quel che è vero, è che
quando ciascuno di noi pensa a ciò che si nomina come educazione, in quel presunto pensare che
possiamo definire come ideologia, intendendo proprio quella seconda pelle con cui l'uomo-massa
esibisce la communis opinio a sua volta riprodotta dall'industria culturale propria della classe
media, che in quanto avatar (immagine che rappresenta una persona) del tardomoderno, nel
trapasso d'epoca dilaga come figura sociale standardizzata del mondo globalizzato. Interrogarsi
sull'idea di educazione significa fare i conti ideologici con i sentimenti comuni che definiscono lo
sfondo dei nostri pregiudizi.
Interludio antropologico
È la scuola luogo privilegiato cui spetta il compito di corrispondere ad un'educazione così pensata,
überhaupt, come "istruzione", non v'è dubbio che sarà la famiglia a sentirsi in qualche modo
depositaria di un'educazione che all'incirca si lasci rappresentare come formazione morale. Ogni
modello di società fissa una volta il senso dell'educazione nei margini di una tradizione di saperi e
di norme che si trasmettono come cifre di verità cui il singolo aderisce per trovare il suo posto nel
mondo, alla stessa maniera lo spezzarsi di simile elemento di continuità che contrassegna in
maniera incalzante i passaggi d'epoca fino a fare di ciascuno di noi un inedito ed avventuroso
viaggiatore. Educazione e istruzione finiscono per assecondare ciò che Marx, Nietzsche e Freud
coglievano dal punto di vista delle loro analisi eversive: il primo con l'evocazione del retroscena
economico come chiave del dominio sociale; il secondo, con la denuncia indignata dei valori
correnti tramite i quali si mostra la volgarità della nostra vita morale; il terzo, con la rivelazione di
una figura oscura che tenta di governarci in segreto.
Un impegno all'orizzonte
Parlare di metodo fenomenologico significa evocare la visione teorica più rigorosa, ma anche la
più contraffatta che da Husserl in avanti ha segnato tutto il secolo scorso. Parlare di "prospettiva
esistenziale" significa introdurre un elemento vasto sotto il profilo dei suoi possibili riferimenti etico-
intellettuali, da esigere certamente accortezza e misura. Parlare di esistenzialismo pedagogico
significa fare i conti non solo con una specificità filosofica, quanto con quella radicale esigenza di
esistenzializzazione dei fenomeni di cultura che sembra rappresentare il nodo cruciale di tutta
l'eredità del Novecento europeo: delle sue passioni e delle sue tragedie, così come dei suoi limiti e
del suo valore. Basterà riferirsi alla categoria fondativa del pensiero fenomenologico cioè la
sospensione del giudizio o epoché. La nostra vita scopre la responsabilità esistenziale, etica e
politica, che ci viene dall'esercizio estremo della nostra libertà autentica. La vita, infatti, non è mai
solamente vita, per essere vita, essa deve diventare critica della vita, ove per critica della vita si
possa intendere lo spazio entro cui ciascuno decide di sé. È vero che la vita educa e anche che
l'educazione non è mai soltanto educazione. Non lo è perché, se lo fosse, noi non saremmo se
non quello che gli altri decidono per noi.
Tra Prometeo e Sisifo: la responsabilità di una scelta
Prometeo non è soltanto un personaggio mitologico, egli è soprattutto l'archètipo di un potere che
lo condanna alla nemesi di un'atroce sofferenza: incatenato sul Caucaso col fegato sbranato ogni
giorno da un avvoltoio e la sua colpa è aver dato agli uomini il fuoco e aver insegnato loro l'arte del
metallo. Sisifo è un seduttore astuto, Zeus gli impone una punizione tremenda: sospingere in
continuazione sul versante del monte un masso che, appena giunto alla cima, precipita in basso,
costringendo Sisifo ad un lavoro senza senso. Il lavoro qui infatti si fa condanna e sofferenza
inutile. Il destino di Prometeo è quello di restituirci in dote la raffinatezza borghese dell'uomo
liberato dal bisogno e quindi anche pronto a tutto donare per inseguire il proprio religioso riscatto,
quello di Sisifo resta l'obbligo di chi si sa libero solo quando sente l'assurdità del mondo.
Tra umanesimo critico e decostruzionismo formativo.
Problematicismo, fenomenologia, esistenzialismo
Oltre il concetto di essenza
Quando, nel 1780, Pestalozzi dà alle stampe "La veglia di un solitario" la coscienza pedagogica
europea è ancora alle prese con l'idea che l'uomo sia portatore di un'essenza, cioè, che l'umanità
dell'uomo si compia innanzitutto nel riconoscimento della struttura necessaria del suo essere.
Questo scritto è di fondamentale importanza per il pathos (educazione come indagine
sull'essenza dell'uomo) che lo attraversa e la valenza etica che lo innerva: riflessione pedagogica
centrata sul principio che l'educazione dell'uomo debba giocarsi nell'indagine dell'essenza che lo
costituisce. Tra Ottocento e Novecento, la coscienza pedagogica europea concentrerà la sua
attenzione sull'esigenza di educare gli uomini secondo i ritmi della natura a partire dal
riconoscimento di un'essenza, di una natura da assecondare, fondamentale sarà ritenuta quella di
formare il soggetto, promuovendo la sua integrazione nella società. L'idea di educazione nella
tarda modernità reca con sé il convincimento che l'uomo sia destinato a diventare ciò che deve
diventare. Sono parzialmente mutati, in seguito, i modelli formativi dominanti, ma ciò che resiste
nella coscienza pedagogica europea è l'idea per la quale l'uomo sarebbe portatore di un'essenza
necessaria, laddove l'educazione altro non sarebbe che la promozione di questa sua essenza.
Tutto questo mentre i paradigmi culturali della modernità stanno entrando in crisi: sta trasformando
l'idea di uomo come essere metafisicamente fondato, dato di una sua essenza necessaria che
resisterebbe agli urti della contingenza. É l'umanesimo moderno ad essere messo radicalmente in
discussione. Dopo Hegel ha inizio l'odissea della tarda modernità, dove "la frattura rivoluzionaria"
rappresentata dalla crisi dell'hegelismo segna un passaggio decisivo verso approdi inediti relativi
all'identità della soggettività individuale: un'identità che si fa via via più incerta, più problematica.
Sono soprattutto Marx, Nietzsche e Freud a denunciare le aporie (dubbio insolubile, ostacolo che
blocca il ragionamento) del sistema e mettere in luce le contraddizioni della cultura borghese che
sta entrando nella fase della sua lenta agonia. Per Marx l'uomo è innanzitutto il prodotto dei
rapporti socioeconomici che si instaurano nel sistema capitalistico. Nietzsche, con l'annuncio
eversivo "della morte di Dio", rappresenta la rottura con la tradizione etica accidentale in nome di
una trasvalutazione dei valori destinata a mutare radicalmente il senso stesso dell'esperienza
morale, mentre Freud, spalanca le porte a inedite conoscenze circa le ambivalenze della
personalità umana. Ad entrare in crisi, infatti è proprio l'idea di assenza intesa come
rappresentazione di una natura umana compatta. È soprattutto nel Novecento che questa
consapevolezza si diffonde nei molteplici ambiti della vita di cultura. L'idea di educazione è
destinata a entrare in collisione con quanto va emergendo in larghi settori della cultura
novecentesca, sempre più alle prese con l'idea che l'umanità dell'uomo sia un problema da
indagare con una spregiudicata apertura critica e non l'esito necessario di un processo metafisico.
È la categoria dell'esistenza ad entrare con forza nel dibattito della contemporaneità, contribuendo
a ridefinire l'idea stessa di formazione a partire dalla considerazione che l'uomo innanzitutto ex-
siste, vale a dire che prima di qualsiasi valutazione concerne il significato della sua essenza è
necessario muovere dal fatto che egli c'è, ossia che c'è sempre un uomo in carne ed ossa
vincolato perciò alla contingenza, la cui formazione non può più essere pensata nell'ordine della
necessità, ma nell'orizzonte aperto delle possibilità. Umanesimo critico e decostruzionismo
formativo rappresentano le coordinate reali entro le quali diventa possibile pensare l'educazione
come esperienza vissuta.
La ragione come criticità
La ratio costituisce, nella seconda metà del Settecento, il principio illuministico e se rappresenta,
nell'idealismo ottocentesco, la totalità infinita nella quale convergono, secondo Hegel, idealità
realtà, larga parte della successiva riflessione filosofica si concentra sulla necessità di ridefinirne il
significato, in riferimento a quella crisi dei fondamenti che investe l'apparato categoriale della
nostra tradizione di cultura. La relazione tra ragione e vita è sempre più intesa nella sua valenza
dialettica, dove una polarità richiama l'altra in un gioco di reciproci rimandi e di reciproche
influenze. La dialetticità viene così ad essere principio metodologico di ricerca, che legittima
l'ipotesi di una ragione intesa come medium capace di mettere in relazione due polarità opposte
tra loro. Questo principio va sott