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Questa sua intenzionalità rappresenta il legame che unisce la coscienza al dato dell’alterità. La relazione tra soggetto
oggetto è un aspetto costitutivo: l'essere dell'uomo è sempre essere nel mondo, così come la sua esistenza è sempre
esistenza con altri. Se la conoscenza è sempre intenzionale i fenomeni con i quali si intrattiene non possono essere
percepiti come qualcosa che semplicemente appare, ma qualcosa di completamente vissuto da parte del soggetto
storicamente situato, che filtra e attribuisce alle cose un significato e un senso. Il significato delle cose non può
sussistere in se stesso ma necessita di un soggetto che lo elabori. La questione del conoscere è sempre stata risolta o
nei termini della dipendenza dei dati dal soggetto (razionalismo) o dal soggetto dai dati (empirismo). La fenomenologia
rappresenta il tentativo di andare al di là dei limiti che entrambe le posizioni esibiscono. Una teoria della conoscenza
che salvaguardi l'attività intenzionale senza sacrificare l'oggettività del conoscere si rende possibile rinunciando
all'atteggiamento oggettivistico che ci spinge ritenere che le cose del mondo abbiano un significato indipendente
dall'intenzionalità della coscienza. È necessario che il soggetto eserciti la sospensione del giudizio, Husserl scriveva
“esercito l’epoché fenomenologica: non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, non
attuo alcune esperienze del reale in senso ingenuo”. Ciò che resta dopo la sospensione del giudizio, il residuo
fenomenologico, è la coscienza nella sua pura attività intenzionale. Ciò che ho davanti mi si manifesta come un insieme
di percezioni che vengono prima di qualsiasi idea del concetto, la percezione è un flusso costante e non lineare, Il
soggetto percepisce la cosa all'interno di un sistema di molteplici apparizioni. La cosa rimane immutata ma la
percezione che io ne ho mutua continuamente. L'attribuzione di senso di cui noi investiamo le cose ne va del modo
stesso con cui noi le conosciamo, non vi è mai un percepire neutrale. L'essere del fenomeno è esso stesso parere e la
fenomenologia si occupa delle modalità tramite le quali la conoscenza si realizza a partire dal come il fenomeno mi si
presenta. Il corpo è mezzo di qualsiasi percezione (Sartre), partecipa necessariamente alla percezione. L’oggetto di
conoscenza si rivela come ciò che non è mai semplicemente là fuori ma stabilisce una relazione con il soggetto che lo
vede. Accantonati i pregiudizi il soggetto ha la possibilità di risalire al vero e autentico significato delle cose.
L'oggettività è un impegno inesauribile che richiede la partecipazione attiva del soggetto. E’ la soggettività individuale
che invalida il sapere, che gli attribuisce un significato che lo connotano senso, nella trama del proprio vissuto. I criteri
di validità di questa conoscenza sono anche universali: ciò è garantito dalla funzione svolta dalla coscienza
trascendentale, che fa da tramite tra soggetto oggetto e presiede tutte le operazioni di sintesi per le quali il mio
conoscere diventa universalmente condiviso. Siamo di fronte all’intersoggettività: l'altro da me, presentandosi come
oggetto della mia esperienza, è anche soggetto all'interno dello stesso mondo reale. Bertolini cerca di definire le
coordinate del sapere pedagogico nei termini di una scienza fenomenologicamente fondata: empirica (storicamente
situata), eidetica (va alla ricerca del senso originario), pratica (aperta al futuro). Il singolo individuo per essere veramente
se stesso deve avere il coraggio di mettersi in discussione con tutto il proprio bagaglio di convinzioni: di rifiutarsi per
ciò che egli sembra già di essere.
- Sulle tracce dell’esistenza
Difficile stabilire con nettezza i confini tra fenomenologia ed esistenzialismo; esse presentano la medesima metodologia
di indagini: lo smascheramento tramite l'analisi fenomenologica. L'esistenzialismo novecentesco ha avuto in Heidegger
il suo fondatore. Vi è una rottura con la tradizione fenomenologica. Heidegger parte da un’analisi delle strutture
dell’esserci (Dasein). Heidegger si chiede che cos'è l’essere; la sua risposta è il Dasein. Colui che pone la domanda
sull'essere è proprio l’ente chiamato esserci, caratterizzato dal fatto di ex-sistere, c'è di dover sempre uscire da se stesso
per vedere realizzata la propria essenza. Il passo per tentare di rispondere all'interrogativo è rappresentato dalla ricerca
delle manifestazioni tramite le quali l'esserci si dà (analitica esistenziale). Il suo carattere fondamentale è quello di essere
nel mondo, dove mondo sta per l'unità del progetto in base al quale l'esserci si comprende nel rapporto con gli altri
enti, mondo inteso quindi non come una cosa ma come ambiente in cui l'esserci si progetta a partire dalle sue
possibilità. L’esserci e il mondo si appartengono senza che sia possibile pensarli come due enti distinti.
L'esserci tende a immedesimarsi totalmente col mondo fino a perdersi nella banalità del quotidiano. Per evitarlo egli è
chiamato a uscire da se stesso, oltrepassare la realtà data, in virtù di quel “ci” che sta a indicare il carattere di apertura
del suo essere. “Ci” significa apertura essenziale. Ma se l'esserci è sempre un poter essere questo vuol dire che il suo
modo d'essere più proprio è quello della possibilità. Così l'essenza dell'uomo altro non è che la sua stessa esistenza, le
cose sono solo l'esserci c’è. Due sono le dimensioni con le quali l'esserci si realizza: la situazione emotiva e la
comprensione. L'esserci non solo comprende sempre le cose dentro una totalità di significati ma lo fa sempre a partire
da una certa tonalità emotiva. La situazione emotiva rende evidente la sua finitezza originaria e lo mette di fronte al
fatto di essere consegnato come essere gettato. La situazione emotiva costituisce una precomprensione che fonda la
stessa comprensione. Situazione emotiva e comprensione risultano così fortemente correlate. La prima apre l'esserci sul
versante del già stato, la seconda costituisce un'apertura verso la dimensione del futuro, la possibilità. Possibilità non
intesa come “tutto è possibile”, ma come ventaglio di determinate possibilità, stabilite dal fatto che l'esserci è
emotivamente situato. Le cose si rivelano come possibilità soltanto nell'ambito di un progetto deciso, soltanto dentro la
dimensione di autenticità. Nella dimensione dell'accettazione passiva le cose non sono mai incontrate in vista di un
progetto ma soltanto nello sfondo della banalità quotidiana, dove ognuno è gli altri e nessuno è se stesso. Affinché le
cose si diano come possibilità e necessario che siano scelte autenticamente da qualcuno. Sarà Sartre a dare una
curvatura etica all'analitica esistenziale. La sua attenzione sarà diretta la coscienza in quanto dimensione fondamentale
dell'esistenza. In l'essere il nulla egli parte dalla considerazione che l'essere in quanto tale è semplicemente ciò che è,
autosufficiente ed irrelato. L’essere-in-sé è isolato in se stesso e non conosce l’alterità, egli non è né possibile né
impossibile, è. Questo essere non può manifestarsi senza che avvenga una rottura al suo interno, rottura attuabile solo
dalla coscienza, che non può che essere rivolta a qualcosa di diverso da sé stessa. Ciò che si manifesta la coscienza non
è mai l’essere-in-sé ma sempre un altro tipo di essere, l'essere-per-sé: un tipo di essere che non può che non porsi
come non essere, come il nulla. La coscienza si fa quindi rivelatrici del nulla in quanto il nulla è il suo stesso essere. Sei è
il soggetto stesso a generale il nulla, egli non può che percepirsi come indeterminato, affrontando la dolorosa e
angosciante scoperta che il nulla è presente per mezzo della sua libertà. “La mia libertà è l'unico fondamento dei
valori”. Condannato d'essere libero, l'uomo cade in preda desiderio di fuggire da se stesso (malafede), mentendo cerca
la propria situazione esistenziale. Il soggetto si mette al riparo costruendosi un'identità certa, fuggendo dalle proprie
responsabilità. L'assurdità e la libertà della coscienza si spiegano perchè quest’ultima è “gettata” nella necessità dell’in-
sé e può riscattarne la pesantezza solo al prezzo della nullificazione. Ma proprio in virtù di tale nullificazione l’essere può
uscire dal limbo dell’in-sé per proiettarsi sul piano del per-sé, come apertura al non essere e quindi al possibile. La
coscienza diviene pertanto, nella sua infondatezza, il fondamento di una libertà di cui l'essere dispone. La libertà E il
nulla che è stato nell'intimo dell'uomo che costringe la realtà umana a farsi invece che ad essere. E’ dunque l'atto della
scelta, passaggio decisivo, che dà la possibilità all'uomo di diventare se stesso. L'uomo si percepisce come nella
perenne ricerca di un altrove in cui ritrovare le ragioni più intime del suo essere, ricerca vana perché richiederebbe
all'uomo di essere altrimenti da ciò che è, ma allo stesso tempo ineludibile, perché proprio in virtù di questa mancanza
egli agisce,conosce e sceglie, muovendosi nella direzione del possibile come verso ciò che gli è più proprio.
In questo contesto l'idea della formazione si fa più critica perché non rinuncia a misurarsi con il dato costitutivo della
problematicità dell’esistenza, anzi, proprio a partire dal dato della problematicità, si rende maggiormente prossima il
clima di crisi che permea tutta la nostra cultura.
4. Per una pedagogia fenomenologico-esistenziale
- La situazione educativa
Educazione è esperienza soggettiva del limite, essa è nell'esperienza e aldilà di essa, in ciò che accade e nel suo
superamento. L'esperienza vissuta del soggetto si fa vera e propria chiave di senso dell’esistenza. Ciò che accade si
situa in un luogo ampio e ambiguo al tempo stesso, ciò che accade a me sempre nel mondo. Vi è un'incidenza del
mondo sul soggetto totalmente indipendente e separata dalla propria volontà soggettiva. La vita è sempre situazione e,
come tale, esposta alla precarietà del conti