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I CONTRIBUTI PARZIALI

Il primo tema divenuto oggetto di dibattito teorico risale agli anni ’10 e tratta

dell’opportunità stessa della presenza musicale nel cinema. L’argomentazione più diffusa è

quella riguardante la necessità di coprire il rumore del proiettore, mentre a più profondi motivi

si appelleranno scrittori come Musil che nel 1930 scriverà che la musica è movimento

interno, che eccita la fantasia motrice. Alle voci dei letterati è necessario aggiungere quella di

un filosofo Bloch che nel 1913 attribuisce alla musica il compito di compensare l’assenza

delle percezioni sensoriali comunemente associate al movimento agendo in loro vece. E

ancora lo psicologo Münsterberg il quale nel 1916 attribuisce alla musica una funzione

ridotta, di mero rafforzamento del contesto emotivo, che agisce “alleviando l’emozione e

rafforzando la tensione”; “non racconta la trama, né sostituisce le immagini”. Deve dunque

essere un sottofondo, che lo spettatore percepisce inconsciamente; e tuttavia la musica deve

accordarsi alle immagini. Allevia la tensione e mantiene viva l’attenzione.

Dalla fine degli anni ’20 il dibattito si vivacizza alimentato anche dall’avvento del sonoro la

cui tappa fondamentale risulta essere il Manifesto dell’asincronismo pubblicato nel 1928 da

Ejzenstejn, Pudovkin e Aleksandrov. Qui vi si riconosce nel sonoro un’arma a doppio taglio,

perché se da un lato il sonoro più ampliare le possibilità artistiche del cinema combinandosi

creativamente con le immagini, dall’altro il rischio (spesso verificatosi) è quello di impoverire

il cinema muto, servendosi in modo banale e realistico del sonoro. I tre russi dichiarano le

prime esperienze del sonoro devono essere indirizzate verso la non coincidenza tra suono e

immagine perché solo questo metodo di montaggio potrà produrre l’effetto voluto e col tempo

porterà alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale tra le immagini visive e quelle

sonore.

Nell’opera si insiste sul concetto di contrappunto (metafora musicale alla quale si era fatto

ricorso spesso in quel periodo e in circostanze diverse) che può essere ritmico, temporale,

contenutistico.

Nel 1933 Pudovkin specifica concretamente cosa si intende per uso contrappuntistico,

riferendosi ad un suo film, Il disertore, dello stesso anno. C’è una scena in cui gli operai in

rivolta vengono massacrati dalle forze dell’ordine. Se si fosse usata come accompagnamento

(la norma a Hollywood in quel periodo e non solo) la musica avrebbe dovuto seguire

didascalicamente le immagini, con una marcia allegra durante l’avanzare della dimostrazione

seguita da un tema di allarme e pericolo all’arrivo della polizia e così via. Pudovkin invece

privilegia il commento musicale, e sceglie un brano di marcia continua, progressivamente

crescente fino all’ultima inquadratura che mostra una bandiera rossa sventolare all’orizzonte.

In questo modo la musica riesce a esprimere simbolicamente l’esito di un processo storico

ineluttabile: la rivoluzione.

Arnheim (1930- 1940) notoriamente ostile nei confronti del sonoro al cinema ritiene che

l’artisticità del cinema risiede nel suo scarto rispetto al realismo fotografico, scarto che il

cinema mantiene soprattutto con l’assenza della parola, senza la quale la figura umana non ha

maggior potere espressivo delle cose inanimate, e anzi rimane sul loro stesso livello, 40

trasfigurando così la realtà. Sostiene inoltre che due linguaggi – sonoro e immagine – che

devono esprimere in duplice modo un medesimo soggetto simultaneamente, rischiano di

accavallarsi e disturbarsi a vicenda. Tuttavia, Arnheim ostile soprattutto ai dialoghi, riconosce

che la musica applicata al cinema muto può arricchire l’immagine poiché riesce a trasmettere

gli stati d’animo e il ritmo dei movimenti in modo diretto, cosa che l’immagine non può fare.

Per Balasz nel 1931 produce uno scritto sulla sua perplessità verso il film sonoro, mentre nel

1949 ritorna sull’argomento risultando molto più incline a considerare con attenzione il

fattore musica. Riflette soprattutto sugli esiti deludenti del filmopera e del suo potenziale in

cui l’autore sembra comunque credere. La musica si addice più al film che al teatro; è anzi

parte dell’inquadratura come lo sono luce e ombra: “Il film muto privo di accompagnamento

musicale produce un penoso effetto”. Senza musica, per Balasz, le immagini paiono

addirittura “un gioco di pallide ombre”; questo perché nella vita reale siamo abituati a

percepire tramite più sensi, non solo attraverso la vista, come accade al cinema (cfr. più sopra

Bloch). La musica agisce dunque come una terza dimensione sulle immagini bidimensionali,

ridà loro vita e spessore. “l’uomo non percepisce mai la realtà con un solo organo di senso. Le

cose, che soltanto vediamo, che soltanto udiamo ecc non hanno per noi carattere

tridimensionale”.  la musica nel film non svolge solo una funzione artistica, ma dà anche alle

immagini cinematografiche un’espressione naturale e viva: rende più significative ed efficaci

le immagini stesse e crea in un certo senso la terza dimensione

Oggi vi sono due argomenti nel pensiero di Balasz sui quali non è facile concordare: 1) “nel

film muto la musica di accompagnamento non infondeva all’atmosfera una particolare

intensità” falso. Uno stesso episodio filmico può essere interpretato e vissuto in modi molto

diversi a seconda della musica che vi si accosta 2) “gran parte del pubblico al cinema non si

rende conto di udire la musica” vero per quanto riguarda l’incidenza musicale al cinema negli

anni ’30-’40, ma con l’avvento della stereofonia le componenti della colonna sonora hanno

raggiunto un’importanza tale da renderle co protagoniste e impossibili da ignorare.

Balazs attribuisce alla musica la capacità di conferire alla bidimensionalità dell’immagine

filmica una profondità, ovvero una terza dimensione  propone un’intuizione di grande rilievo

e tutt’ora attuale

Kracauer (1960, per cui in un contesto successivo rispetto ai precedenti) fa ricorso ai termini

di accompagnamento e commento , ma non si tratta della coesistenza nettamente distintiva di

entrambi, quanto piuttosto di un’operazione correttiva della prima definizione a favore della

seconda. Distingue il commento musicale parallelo (che riafferma con un linguaggio proprio

certi stati d’animo, tendenze o significati delle immagini che accompagna) dalle melodie che

invece comunicano lo stato d’animo dell’intero racconto anziché di una singola sequenza. Un

principio basilare in Kracauer consiste nel prendere le distanze da quelle che definisce le

funzioni strutturali della musica, impropriamente privilegiate a suo avviso come collante per

porre rimedio alla connaturata frammentazione visiva del cinema.

(1911-1968)

ITALIA E FRANCIA

Una prima attenzione nei confronti della musica si deve a Canudo cultore e teorico del

cinema con il Manifesto delle Sette Arti (1911) (scritto in tono simbolista e lirico, spesso

distante dalla concretezza produttiva della musica per film) in cui il binomio cinema-musica è

intuito come organizzazione dei ritmi che reggono tutta la natura. Riflette poi su un terreno

reale ma in negativo, descrivendo il costume perpetuato nelle sale cinematografiche con la

giustapposizione dei brani musicali più disparati (es. Chopin viene interrotto da un valzer e 41

così via). Tuttavia per Canudo il futuro del cinema è con la musica; occorre però una musica

nuova, pensata appositamente per unirsi alle immagini dello schermo secondo regole nuove.

Per De Baroncelli (Francia, 1915) la musica può soccorrere l’assenza di parola del cinema

muto poiché essa “disegna e segue il gesto, lo chiarisce e definisce, mentre i ritmi

dell’immagine costruiranno assieme alla musica momenti unici, ideali

Luciani (pugliese, studioso di musica, 1942). Primo tentativo in Italia di riflessione estetica

da parte di uno studioso di formazione musicale. Critica Mascagni e Mancinelli

(rispettivamente per Rapsodia Satanica e Frate Sole) affermando che il principio che hanno

seguito i musicisti è profondamente errato: essi hanno composto le loro musiche cercando di

commentare l’azione scena per scena.  è necessario invece che il musicista non componga la

musica cercando di seguire l’azione già realizzata, ma ispirandosi alla trama generale del

soggetto. Idea di una musica guida alla quale il cinema deve sottomettersi- (a suggerire che la

musica debba essere addirittura composta prima delle immagini, e che siano le immagini

stesse a doversi adeguare alla struttura musicale). Anche Luciani distingue una funzione

ritmica (accompagnamento) e una funzione espressiva (commento) della musica per film

(cfr. più sopra Pudovkin). Sostiene inoltre che la musica per film debba essere lineare

piuttosto che polifonica, aggiungendo che i timbri puri al cinema sono più efficaci degli

impasti orchestrali.

Andrè Souris (compositore belga, 1948) applica la gestalt (è il tutto che determina le parti)

allo studio della musica, e in particolare distingue forme forti e forme deboli (pag. 526),

considerando la musica una forma forte in sé poiché organica e coesa al suo interno, che

tuttavia diverrebbe forma debole quando a contatto con altri linguaggi, ad esempio nel teatro

musicale, poiché finisce per condividere uno spazio comune d’espressione con i linguaggi

eterogenei della scena (l’attore, la drammaturgia ecc.), non amalgamandosi perfettamente ad

essi. Nel film, al contrario, si unisce totalmente agli altri elementi, alle immagini, e forma

un’unità che a buon diritto può considerarsi “forma forte” (l’opera teatrale invece è forma

debole perché i singoli linguaggi resistono all’assimilazione e restano indipendenti).

Souris auspica un rinnovamento della musica nel film, poiché se essa a contatto con il teatro si

è progressivamente caricata di significati psicologici, di mimetismi e analogie realistiche,

ossia si è drammatizzata perdendo così la sua purezza, può nel cinema ritrovare quella

purezza se saprà “fondarsi sulle leggi interne del fenomeno cinematografico”.

A Taddei (1949) si deve una classificazione complessa e articolata che riprendo nei punti

essenziali Distingue:

• Musica semplice elemento narrativo la quale avrebbe la stessa funzione del parlato e

dei rumori. Entra cioè quando è richiesto dall’azione (musica diegetica o di livello

interno)

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
86 pagine
9 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher barbaravivino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Paesaggi Sonori dei Media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Vittorini Fabio.