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Può accadere che, durante lo svolgimento del gioco, qualche partecipante si lamenti per
l’applicazione scorretta di una regola, ma non per la regola stessa. Ad esempio, i giocatori di
una squadra di calcio possono protestare per l’assegnazione di un rigore a favore
dell’avversario. Non viene contestata la norma che prevede la sanzione del rigore per il fallo
commesso in area, ma piuttosto la sua applicazione.
3) Le regole e la condotta di gioco vengono elevate a modello. Infatti spesso chi gioca
considera la condotta di gara dei campioni come qualcosa da imitare. Si può affermare che le
regole del gioco sono avvallate dalla tradizione che dimostra come il loro rispetto renda il gioco
interessante.
Le precedenti osservazioni dovrebbero chiarire che il controllo sociale operato nei confronti
dell’individuo, può non far sorgere la sensazione di alcuna violazione della libertà
personale.
Il controllo sociale è presente anche in attività non competitive, ma collaborative.
Considerando ad esempio la vita familiare, il controllo sociale non è una manifestazione della
volontà di un solo individuo, ma piuttosto espressione dell’autorità esercitata da qualcuno (i
genitori) nell’interesse di tutti.
Naturalmente capita che coloro che esercitano l’autorità debbano esercitare il controllo
direttamente, ma di norma tali occasioni sono limitate, perchè la normalità è invece
rappresentata dalle situazioni a cui tutti partecipano.
In una scuola ordinata, anche l’insegnante è chiamato solo in poche occasioni ad esercitare
direttamente la propria autorità personale. Si tratta di occasioni in cui l’insegnante agisce e parla
con fermezza non per dimostrare il proprio potere personale, ma per salvaguardare l’interesse
del gruppo.
I ragazzi sono normalmente in grado di riconoscere con sicurezza le azioni in cui prevale il
desiderio di imporre il proprio potere personale da quelle in cui riconoscono la giustizia di
un’azione ferma, rispondente all’interesse di tutti.
Nella scuola tradizionale, dove la classe non era un gruppo caratterizzato dalla partecipazione
attiva ad attività comuni, l’insegnante era costretto dalla situazione stessa a mantenere l’ordine
attraverso comandi ed azioni percepiti dalla maggior parte degli alunni come ingiusti.
Nelle cosiddette scuole nuove invece, la principale fonte di controllo sociale è insita nel lavoro
considerato come impresa comune nei confronti della quale ogni individuo si sente
personalmente responsabile.
Naturalmente anche la vita comunitaria non riesce ad organizzarsi spontaneamente e in modo
durevole.
Spetta all’educatore conoscere i suoi allievi e la materia di studio, in modo da poter organizzare
l’attività in modo tale da far sì che ogni partecipante possa configurarsi come mezzo di controllo.
Inoltre non tutti gli alunni risponderanno prontamente e allo stesso modo. Ci saranno ragazzi
che portano i segni di condizioni esterne sfavorevoli, che li hanno trasformati in soggetti passivi,
incapaci di collaborare con gli altri oppure che li hanno fatti diventare presuntuosi e ribelli.
Spetta all’educatore scegliere come comportarsi, tenendo conto che ogni caso è diverso dagli
altri. Potrà capitare che egli scelga l’esclusione dell’allievo se la ritiene l’unica misura adeguata.
Occorre però tenere ben presente che questa misura non risolve il problema alla radice, anzi
può addirittura aggravarlo se rafforza le radici del comportamento asociale dell’alunno.
Nelle scuole progressive casi come quelli sopra descritti sono abbastanza numerosi e ciò non è
dovuto alla disciplina insufficiente, ma piuttosto alla carente progettazione ed organizzazione di
attività che tendano a generare automaticamente un controllo su ciò che un alunno fa.
L’attività di pianificazione da parte degli insegnanti è fondamentale. Sulla base di un
attento esame delle capacità e dei bisogni degli allievi, occorre predisporre le condizioni
adeguate per l’apprendimento di ciascuna materia e per poter vivere esperienze positive.
Il piano deve essere:
● flessibile per permettere all’individualità di esprimersi;
● fermo per consentire un continuo esercizio del controllo.
Poiché l’esperienza richiede un rapporto, possiamo affermare che l’educazione è un processo
sociale.
In questo senso è indispensabile che anche l’insegnante sia considerato un membro del gruppo
investito del compito di dirigere le interazioni e la comunicazione tra i suoi membri.
Nella scuola tradizionale, in cui la classe non era un gruppo sociale, l’insegnante si collocava
all’esterno del gruppo e da quella posizione agiva nei confronti dei suoi alunni come fosse un
padrone.
Tutto cambia radicalmente se l’educazione si basa sull’esperienza, a sua volta concepita come
processo sociale.
Precedentemente abbiamo notato come nel gioco sia presente un fattore convenzionale fatto di
comportamenti consolidati dalla tradizione ed elevati a modello. Nella scuola l’elemento
convenzionale è rappresentato dalle buone maniere, cioè dai comportamenti dettati dalla
cortesia. Si tratta di convenzioni che accompagnano ogni relazione sociale e che hanno il
compito di ridurre gli attriti interpersonali.
Tali convenzioni non sono fisse, ma variano a seconda dei luoghi e dei tempi.
Sebbene alcune convenzioni possano configurarsi come vuote formalità e possono essere
superate, è anche vero che adattarsi e seguire alcuni elementi formali significa imparare
modalità adatte a facilitare l’accordo e l’adattamento reciproco.
Capitolo 5 - La natura della libertà
Sebbene la forma di libertà che ha maggiore importanza sia quella di osservare e giudicare,
spesso si commette l’errore di considerare preminente la libertà di movimento, enfatizzando
l’aspetto fisico dell’attività.
E’ chiaro che i due aspetti non possono essere del tutto separati.
Ne deriva che le limitazioni agli spostamenti e al movimento tipica della scuola tradizionale (si
pensi alla rigida disposizione dei banche nell’aula scolastica), soprattutto per i bambini più
piccoli, finiva per porre limiti e restrizioni anche alla libertà intellettuale e morale.
Naturalmente una maggiore libertà di movimento esterno si traduce in un miglioramento del
processo educativo solo se essa è un mezzo e non un fine.
I principali benefici derivanti dall’aumento della libertà esterna sono:
1) la calma e l’obbedienza imposte dall’esterno impediscono agli alllievi di manifestare la loro
natura e quindi limitano le possibilità dell’insegnante di conoscere i suoi alunni. L’apparire
sacrifica l’essere e i desideri e i pensieri più veri degli alunni continuano a manifestarsi, ma
dietro l’apparenza., in forme irregolari, spesso proibite.
2) L’aumento della libertà esteriore ha dei riflessi sul processo di apprendimento e l’immobilità
accentua in modo evidente l’atteggiamento passivo e recettivo degli alunni.
La libertà di azione esterna è un mezzo importante per esprimere la propria libertà di giudizio e
seguire gli scopi prescelti.
Non bisogna però dimenticare che la crescita intellettuale comporta inevitabilmente la
rimodulazione degli impulsi e dei desideri naturali che possono trovare immediato
soddisfacimento nella libertà esterna.
Tale rimodulazione implica un’inibizione della manifestazione dell’impulso nella sua forma
immediata. Occorre un’attività di pensiero che permetta di manifestare l’impulso quando esso è
stato collocato in un più ampio e comprensivo piano di attività.
Ne deriva che lo sviluppo dell’autocontrollo è una delle mete dell’educazione e la semplice
rimozione di ogni freno al controllo esterno non basta per raggiungerla.
Gli impulsi che non sono controllati dall’intelligenza finiscono per essere sotto il dominio di
circostanze contingenti e abbandonarsi alla stravaganza e al capriccio non è necessariamente
un guadagno.
Capitolo 6 - Il significato del proposito
Istintivamente siamo portati a definire la libertà come la possibilità di concepire propositi e
portarli a compimento.
Questa definizione si identifica con quella di autocontrollo in quanto la formazione di propositi e
il loro conseguimento richiedono l’impiego dell’intelligenza.
Platone in modo significativo definiva schiavo colui che realizza i propositi di altri, quindi è
schiavo colui che è dominato dai propri ciechi desideri.
Occorre però approfondire il significato del termine “proposito” osservando che:
● ogni proposito trae origine da un impulso. Il nesso può essere così descritto: ogni
impulso non immediatamente appagato origina un desiderio. Il proposito è legato alla
individuazione di un obiettivo, cioè è legato alla previsione delle conseguenze che
derivano dallo sfogo dell’impulso.
● La formazione dei propositi è un processo intellettuale complesso che comporta:
1) l’attenta osservazione delle condizioni attuali;
2) la conoscenza di ciò che è avvenuto in passato in condizioni analoghe (conoscenza acquisita
attraverso il ricordo di esperienze passate o attraverso le informazioni e gli avvertimenti di chi
ha maturato una maggiore esperienza);
3) la formulazione di un giudizio circa ciò che ci si può attendere nella situazione presente,
attraverso la ricerca del significato di ciò che si è raccolto nelle due fasi precedenti.
In educazione è cruciale far sì che l’azione non segua immediatamente l’impulso, ma sia
preceduta dall’osservazione e dal giudizio.
Nelle scuole tradizionali veniva dimenticata l’importanza dell’impulso come spinta iniziale
all’azione.
Nelle scuole progressive invece si corre il rischio di enfatizzare eccessivamente l’attività in sé,
identificandola come libertà di soddisfare immediatamente i propri desideri.
Occorre invece che l’educatore che coglie nei soggetti un desiderio o un impulso, consideri la
situazione come importante occasione per stimolare l’attività intellettuale che porta alla
formazione di un proposito. L’insegnante deve dare un indirizzo all’esercizio dell’intelligenza
dell’alunno e il suo intervento è un atto che sviluppa, non limita, la libertà del ragazzo stesso.
E’ necessario che l’educatore fornisca gli opportuni suggerimenti affinché il lavoro degli
educandi abbia inizio. Tali suggerimenti, se non formulati dall’educatore, deriveran