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CAP.VIII
Il fu Mattia Pascal comparve nella Nuova Antologia tra il 16 aprile e il 16 giugno 1904. In una
lettera dello stesso anno, Pirandello lamentava “tristissime angustie” da cui avrebbe tratto
motivi di ispirazione un “sincero umorista”. Egli ipotizzava di ripubblicare il romanzo con
l’epigrafe “Il fu Mattia Pascal. Romanzo del Fu Luigi Pirandello”. Nonostante vi sia un
autobiografismo (com’è stato sottolineato da Borsellino) il protagonista non si conforma
meccanicamente all’autore ma è l’autore che si proietta nel mondo del protagonista (è
un’identificazione postuma che appare espressa nel’immagine dello scrittore apparsa a mò di
prefazione della Bemporad. Pur ammettendo che il romanzo sia autobiografico, va detto che i
dati della vita dell’autore si consumano e annullano nella finzione letteraria. Considerando
autobiografico il romanzo si tratta di un’autobiografia definita da Thibaudet, un’
<<autobiographie du possible>>, per dirla con parole proustiane si tratta dell’autobiografia
dell’io nascosto (l’autre moi). La vita narrata quindi non è la vita vissuta davvero ma quella che
consapevolmente o meno si sarebbe desiderato vivere o si vive nell’immaginario, una sorta di
“vita possibile”. Il Pascal racconta una storia inverosimile, paradossale, la storia di un
bibliotecario che per incomprensioni e disagi abbandona la famiglia; vince alla roulette e poiché
viene identificato per errore in uno sconosciuto morto suicida, s’impone il nome nuovo di
Adriano Meis per vivere un’altra vita, libero da ogni vincolo. Va a Roma dove si innamora di
Adriana ma si rende via via conto dell’’impossibilità di vivere senza uno stato civile. Fingendo
quindi il suicidio del doppio, sceglie di rientrare a casa dove però apprende delle nuove nozze
della moglie coronate dalla nascita di una bambina. Rinuncia a revocare la sua condizione
anagrafica di defunto e vive <<fuori della vita>> scrivendo le sue memorie.
Le proiezioni autobiografiche sono più o meno intime e non si possono escludere altri modelli
né altre suggestioni letterarie (fonti vaghe ecc) anzi si può considerare il romanzo una sorta di
enciclopedia letteraria. Le interpretazioni che fomenta non solo ne attestano l’ambiguità, la
polisemia, la complessità non sempre decifrabile appieno. Si sono individuate somiglianze con
vari archetipi, come alcune novelle di Zola (tra cui la mort de Oliver Becaille dove vi è un
errato riconoscimento di un cadavere). Le divagazioni mentali di Adriano Meis con la sua
ombra ricordano il romanzo di Chamisso in cui il primo attore, inetto, cede la sua ombra al
diavolo. Tale analogia è però parziale giacchè Meis la sua ombra non l’ha ceduta ma ne è
perseguitato (è la sua ombra, cioè quella di Pascal). Appropriato sembra il riferimento al
Tristam Shandy (di Laurence Sterne), noto all’autore soprattutto attraverso due parodie di Jean
Paul: qui troviamo la stessa istanza metanarrativa o comunque digressiva. Con una delle parodie
( lo Siebenkas) si sono colti alcuni motivi in comune: fin nel titolo c’è una sorta di sintesi del
racconto (il titolo della parodia è Fiori,frutti e spine, ovvero Vita nuziale, morte e matrimonio
dell’avvocato dei poveri F.St.Siebenkas nella borgata di Kuhschnappel, e infatti le spine si
riferiscono al matrimonio con Lenette, vi è lo scambio di identità tra il protagonista e il suo
sosia, la morte simulata di Siebenkas, le seconde nozze di Lenette e dell’incontro con Natalie. A
differenza del Pascal però, qui il protagonista viene a conoscenza della morte della moglie e
quindi si unisce in matrimonio con Natalie. Ancora, altri riferimenti, sono il morto che parla (di
De Marchi) dove un chimico, oppresso da problemi coniugali e finanziari, si finge morto per poi
ritornare dopo essere stato nel nuovo mondo.
Si può quindi affermare la natura meta letteraria del Pascal la quale non dissimula la sua
costruzione composita. Essa traspare diversamente, seppur è forte la tentazione di individuare
modelli di narrazione, soprattutto il genere autobiografico. Pur essendo presenta la forma di
racconto in prosa relativo ad una vita o porzione di essa individuale, nonostante l’identità tra chi
narra in prima persona e il protagonista delle vicende, manca l’identità tra il narratore e l’autore
reale. Il narratore è un personaggio immaginario e quindi la sua è un’autobiografia fittizia. La
scelta del suddetto schema narrativo è usato perché il racconto sia auto diegetico e che quindi gli
eventi vengano ordinati nell’ambito di un’istanza soggettiva. Molti hanno visto nel romanzo
pirandelliano echi del Bildungsroman (un genere letterario tedesco riguardante l'evoluzione del
protagonista verso la maturazione e l'età adulta) seppur con le dovute limitazioni: è vero che il
romanzo abbia un titolo allusivo alla Maturazione ma si tratta di un intertitolo ironico
(ironia=dissimulazione). Il narratore certamente si interroga d’essere cambiato una volta
ottenuto l’impiego in biblioteca ma finisce poi col convalidare la condizione di “inetto a tutto”
che non si fa scrupolo di confessare. Insinua anche nel lettore, parlando di com’era avvenuta la
maturazione la sua anima ancora acerba, che fosse stata simile a quella dei frutti stagionati dai
venditori “a furia di ammaccature” (cioè un’evoluzione avvenuta solo in apparenza). Il narratore
chiedendosi il perché del porsi tanti interrogativi, si risponde di lasciar stare i libri di filosofia.
Se con la storia di Adriano Meis Mattia inizia la costruzione del suo nuovo io, il suo traguardo è
un’identità fragile e per nulla integrata, è destinato ad essere un “forestiere della vita”. Infatti
Meis, non avendo un’identità legale, non può far nulla, né denunciare un furto, né sposarsi…alla
fine di tante vicissitudini il protagonista non raggiunge un’armonia come si fa con il romanzo di
formazione ma giunge ad un fallimento. Egli si ritira dal mondo, abdica all’identità, sia quella
fittizia che quella originale.
Altro riferimento è stato visto in Voltaire, e di fatto, Mattia Pascal filosofeggia con i vari
personaggi che incontra non solo nella sua prima esistenza ma anche nella sua reincarnazione
(inoltre quando parla del disastro delle Antille evoca, mediante la Ginestra, il terremoto di
Lisbona, oltre che la distruzione di Pompei). Nella seconda parte della narrazione, Meis afferma
di essere per forza un filosofo e non rinnega la “sindrome” del raisonneur. Egli si appella alla
logica che l’Umorismo sanzionerà come “macchinetta infernale”; tuttavia se il conte
philosophique ha una finalità didattica, nel Pascal tutto è precario. Il narratore presume che il
suo caso sia tale da poter servire da insegnamento a qualche <<curioso lettore>>, quindi evoca
lo schema del racconto esemplare; alla fine egli si arroga di <<vedere che frutto se ne possa
cavare>> e sarà il reverendo amico don Eligio Pellegrinotto a esporre in forma didascalica tale
“frutto” traendone una regola di comportamento. Un individuo letterario, seppur rubricabile in
un genere dato, non ne esegue il canone senza variazioni. Così avviene nel Pascal dove i genere
coesistono e si intersecano, sembrano assunti in equilibrio instabile. Si è ipotizzato che il fine
dell’autore fosse quello di assoggettarli a critica e scomporli (in accordo con l’arte umoristica).
Per quanto riguarda le vicinanze al genere verista, il narratore all’inizio evoca il fait divers
avvertendo il lettore della singolarità del suo caso; la vicenda muove da Miragno, paese ligure
immaginario vicino a Montecarlo(dove per il protagonista inizia la nuova vita con la vincita) ma
Miragno è Girgenti, come dirà Sciascia nel suo Pirandello. Infatti il paesaggio, i personaggi, gli
ambienti rusticani, gli intrighi, le ipocrisie, i meschini interessi, gli amori inquinati, le
inclinazioni pettegole, il conformismo, presentano connotazioni siciliane. Basti pensare a
Pinzone, che ricorda il personaggio pirandelliano della novella autobiografica La scelta. La
biblioteca Boccamazza in cui lavora il protagonista non sarebbe poi che la Lucchesi Palli di
Girgenti, di cui se ne parla in I vecchi e i giovani. Entrambe le biblioteche sono prive di
frequentatori e polverose; ancora va sottolineata la bipolarità tra Miragno e Roma come velo di
quella tra Girgenti e Roma (le due città di Pirandello). Il motivo per cui Pirandello però abbia
optato per il nome del paesino ligure può essere spiegato sia considerando che esso era più
vicino al casinò sia per non cadere nei topoi veristici. Eppure i riferimenti tangibili ci sono,
come le Due Riviere, podere dei Pascal che altro non è se non la località reale non lontana da
Girgenti; inoltre la tenuta dello Sperone evoca una postazione girgentina reale (se ne parla ne I
vecchi e i giovani). Ancora si pensi a San Rocchino, e in paese la casa di abitazione, e un
isolato acconciato ad arsenale, terre e case…è la “religione della roba”, tutti beni che il padre di
Mattina pare abbia vinto a carte e così si delinea il motivo veristico della ereditarietà ma qui
basata sul caso, sulla fortuna ridotta a “grottesca superstizione”, come notò Debenedetti nel
Romanzo del Novecento e non come “stigmate biologica che determina carattere e
temperamento dei discendenti”. Alla maniera veristica appartiene anche, in supplenza del padre
(presente nel ricordo) l’egoista Batta Malagna, l’amministratore disonesto che insidiava il
patrimonio ereditato e se ne appropriava gradualmente mettendo in risalto l’inettitudine
dell’erede; ancora si pensi all’attenta cura ritrattistica se pur a volte incline al bozzetto (Pomino,
Oliva, Romilda…) e lo scrupolo documentario con cui è descritta la “bisca” di Montecarlo o
sono menzionate le opere della biblioteca Boccamazza maneggiate dal signor Romitelli –pezzi
di antiquariato non immaginari. Infine vi si trova il motivo della famiglia, in rovina (quella
paterna) e destituita quella coniugale. La vedova Pascal era incapace di amministrare l’eredità e
i suoi figli “due scioperati”che non si preoccupavano di nulla; sintomatica è l’intertitolo “La
casa e la talpa” dove il santuario della famiglia, la “casa”, appare compromesso alla base e sotto
di essa, “la talpa” (ovvero Batta) scava i cunicoli per mirarne la stabilità. Mattia Pascal è
costretto a sposare Romilda perché