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Queste due caratteristiche evidenziano il rischio di concentrare la consulenza solo su alcuni dei
molteplici aspetti della situazione educativa, compiendo di fatto una riduzione del problema per
risolvere il quale la consulenza è stata chiesta.
Considerando, ad esempio, la richiesta di consulenza formulata dalla scuola, In questo caso
si rischia di focalizzare l’attenzione su una sola dimensione (ad esempio, quella
psicologica, medica, sociale, didattica) della situazione complessa che si ha davanti. e che si
vuole affrontare.
Ciascun punto di vista particolare che contribuisce a migliorare la conoscenza della situazione,
deve essere inquadrato in una visione unitaria attraverso la visione pedagogica.
La consulenza pedagogica ha il compito di ricomporre in un insieme coerente le diverse
dimensioni della situazione esaminata.
E’ però indispensabile evitare di considerare il sapere pedagogico come somma di saperi
attinenti le discipline che rientrano nelle scienze della formazione, perché esso ha una propria
specificità e adotta una prospettiva privilegiata per inquadrare l’esperienza educativa in tutta la
sua interezza e complessità.
La consulenza pedagogica consiste nello studio, attraverso i saperi propri della pedagogia, e
nella comprensione di situazioni relative ai processi educativi.
Le competenze necessarie per svolgere la consulenza pedagogica sono:
1) la riflessività,
2) l’interrogazione critica delle situazioni,
3) la costruzione di un sapere condiviso.
Il dispositivo consulenziale
La consulenza pedagogica può essere intesa come dispositivo complesso le cui dimensioni e
componenti che definiscono i tratti costitutivi del setting e dell’azione consulenziale sono:
A. scopi e funzioni
Gli scopi principali consistono nella promozione delle capacità individuali di leggere e
comprendere la situazione, in modo da poter agire in modo finalistico per produrrre
consapevolmente i cambiamenti necessari.
Il fine è quello sostenere le persone nella gestione dei problemi e di valorizzare e rafforzare le
risorse in loro possesso per produrre i cambiamenti.
B. natura del processo
Nel processo di consulenza pedagogica riscontriamo:
1. azione di affiancamento, che riguarda l’aiuto dell’esperto al soggetto destinatario della
consulenza affinché egli si faccia carico del problema e lo gestisca autonomamente,
nonché il sostegno alla fatica del cambiamento;
2. azione di ricerca, che si realizza nella individuazione di un oggetto di studio, nello
svolgimento di pratiche di conoscenza e nella produzione di nuove conoscenze
sull’oggetto della consulenza;
3. azione di chiarimento, elaborazione e trasformazione delle rappresentazioni e dei
vissuti dei protagonisti della situazione oggetto di consulenza.
C. setting
Istituire il setting della consulenza significa creare e mantenere uno spazio e un tempo che
favoriscano il processo di consulenza.
Esso deve garantire la necessaria distanza dai processi educativi e formativi rispetto ai quali la
consulenza viene richiesta.
Occorre infatti uno spazio e un tempo in cui questi processi possano essere pensati, rielaborati
mentalmente, ridefiniti, ma non possano essere agiti o svolti concretamente.
L’istituzione del setting è fondamentale per creare le premesse all’instaurarsi di una relazione
consulenziale che favorisca un lavoro di ricerca e un corretto rapporto conoscenza/azione.
D. Oggetto e soggetti
Oggetto della consulenza pedagogica è l’esperienza educativa considerata come insieme di
azioni educative concrete. Nell’ambito della consulenza pedagogica si cerca di cogliere quali
siano i principi che ispirano tali azioni, quali siano i modelli di riferimento, le emozioni che
emergono, le dinamiche che si presentano nei rapporti, ecc.
La consulenza pedagogica non deve però limitarsi a spiegare in modo lineare le azioni
educative, considerandole come esito di un rapporto univoco tra causa ed effetto. Occorre
osservare gli oggetti della consulenza con uno sguardo doppio, capace di cogliere sia
l’evidenza e fattualità delle azioni educative, sia ciò che si può intuire stia al loro interno.
Occorre uno sguardo che consenta una comprensione modificatrice, capace cioè di far
sorgere nuove domande, ipotesi e scelte.
I soggetti della consulenza pedagogica sono tutti i protagonisti che animano i diversi scenari
educativi: la famiglia, la scuola, i luoghi di formazione extrascolastica, i servizi socioeducativi e,
in generale, tutti coloro che riconoscono nel loro lavoro una componente rientrante nel
complesso fenomeno educativo.
Gli autori del saggio, Rezzara e Cerioli, ritengono necessario distinguere tra:
1) consulenza pedagogica rivolta ai professionisti dell’educazione, che deve avere
come scopo quello di sviluppare in questi soggetti una consapevolezza critica di ciò che
succede nell’effettivo svolgersi dei processi educativi affiché essi migliorino la capacità di
gestire intenzionalmente tutte le dimensioni di tali processi.
2) consulenza pedagogica rivolta ai genitori e agli “educatori naturali” (soggetti che
non sono professionisti dell’educazione), che deve consentire a questi soggetti di
ripensare e condividere la propria esperienza, per poter ottenere sostegno e
comprensione nel proprio agire. Si tratta di offrire loro una significativa occasione di
confronto e ripensamento sui modi di essere educatore.
E. I saperi e le tecniche
La consulenza pedagogica si propone di sostenere gli individui nel riconoscimento critico di sé.
Il consulente deve possedere una gamma di competenze, rientranti nel sapere pedagogico, che
possono essere raggruppate in due nuclei:
1) competenze tecniche;
2) competenze relazionali e comunicative.
1) Il sapere tecnico riguarda la conoscenza approfondita, sia teorica che fondata
sull’esperienza personale, della formazione, cioè dei tratti caratteristici, dei processi, dei modelli,
delle relazioni e dei dispositivi dell’educazione.
Il consulente dovrà anche possedere dei saperi in ambito psicologico, antropologico,
organizzativo, sociologico, ecc.
La consulenza richiede quindi una competenza transdisciplinare.
2) Le competenze relazionali e comunicative si specificano in competenze di ascolto, di
attenzione, di comunicazione non direttiva, di rispecchiamento, di assunzione di una posizione
di accettazione e comprensione dell’altro.
Sono competenze che permettono al consulente di promuovere l’espressione libera e autentica
del richiedente la consulenza stessa.
Il modello di riferimento rispetto a queste competenze è quello delineato da Karl Rogers
(psicologo statunitense 1902 - 1987).
Sinteticamente, l’approccio rogersiano alla comunicazione considera un consulente che:
● costruisce una relazione empatica,
● realizza un colloquio non direttivo,
● facilita l’espressione,
● cura lo svolgersi di processi di interpretazione dell’esperienza,
● sollecita l’apprendimento,
● favorisce il delinearsi di nuove prospettive e visioni.
L’apprendimento nella consulenza
L’evoluzione nelle ricerche ha evidenziato che i processi di apprendimento si caratterizzano per:
● carattere costruttivo; e non solo trasmissivo;
● una relazione con i significati e non si esauriscono nell’acquisizione di nozioni;
● dinamiche di natura cognitivo-affettiva;
● una collocazione all’interno della relazione;
● il fine orientato all’azione;
● il carattere metacognitivo come indicatore di un apprendimento autentico.
L’apprendimento riguarda la consulenza pedagogica perché essa si concretizza in interventi che
promuovono processi di costruzione attiva di conoscenze.
Chi richiede consulenza è portatore di una particolare esperienza che deve essere raccontata,
interpretata, elaborata criticamente e che genera percorsi di apprendimento.
Nella consulenza le principali tappe dell’apprendimento sono:
1) l’autoconsapevolezza critica indispensabile per cambiare;
2) lo sguardo “altro” verso l’esperienza propria, che consente di individuare percorsi
alternativi ed altri significati possibili;
3) una funzione metacognitiva legata al fatto che il percorso di consulenza può contribuire
ad accrescere la capacità di autoformazione promuovendo la riflessione critica sulla
propria esperienza.
Il ruolo del consulente
Per delineare il ruolo del consulente è interessante partire dalla focalizzazione di ciò che il
consulente non deve fare:
● risolvere direttamente (quindi dall’esterno) i problemi di colui che chiede la consulenza;
● fornire risposte dirette alle domande che emergono;
● dare certezze.
Il consulente deve:
● proporre al richiedente un percorso condiviso di ricerca e acquisizione di nuove
consapevolezze;
● aiutare il soggetto ad esplicitare ciò che è implicito;
● essere disponibile a mettere in gioco la propria esperienza affinché possa diventare
oggetto di discorso e di pensiero.
Nello svolgimento della sua attività il consulente corre i seguenti rischi:
● di deludere le attese di chi si aspetta da lui “ricette” per risolvere i propri problemi;
● di deludere le aspettative di chi vorrebbe delegare a lui, almeno parzialmente, i propri
problemi.
Questi rischi possono rendere il lavoro di consulenza particolarmente pesante, perché non è
facile disattendere le attese ed evitare di assumere il ruolo di colui che eroga un sapere sicuro
su una certa situazione.
Il ruolo del consulente è quindi espressione di un sapere “debole”, relativo, aperto che si
contrappone a modelli fondati sulla produttività, sull’efficienza, sulla direttività e sulla “diagnosi-
terapia”.
L’approccio clinico alla consulenza
Lo svolgimento concreto della consulenza pedagogica prevede l’applicazione del modello
clinico in campo formativo.
L’aggettivo “clinico” etimologicamente deriva dal greco e riguarda l’immagine del medico che si
china sul letto del malato per intessere con lui una relazione personale e intima.
Il metodo clinico nasce in campo medico e le sue caratteristiche sono:
● centralità della relazione interpersonale;
● coinvolgimento attivo di entrambe le parti della relazione;
● lavoro centrato sul caso individuale e concreto;
● sospensione temporanea dell’azione per dare spazio alla “lettura” della situazione;
● attenzione al contesto: la situazione reale viene osservata e collocata in un processo e
nella cornice della storia del soggetto.
Lo sguardo clinico è attento a ciascun individuo e a ciascun evento che vengono esplorati in
profondità. E’ uno sguardo che non riduce, non classifica, ma ricerca la verità