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I bisogni formativi dei “nuovi adulti”
Coloro che hanno collaborato all’ultimo numero della rivista “Adultità” sono concordi nel
ritenere che agli adulti occorra una formazione centrata sulla cura della vita interiore.
Questo ambito della formazione ha origine antiche ed è tornato in primo piano durante gli
anni Novanta, quando viene pubblicato il saggio “Manuale di educazione degli adulti” di
Duccio Demetrio in cui egli riconosce nell’educazione in età adulta una declinazione
pragmatica e autoreferenziale, centrata sui percorsi esistenziali dei singoli individui.
In questo periodo l’educazione degli adulti è divenuta oggetto di studi e iniziative riguardanti
la corporeità, la narrazione, la scrittura di sé, la cura sanitaria, ecc.; in una parola: la cura di
sé.
Che, nella società contemporanea, per diventare e mantenersi adulti sia necessaria la cura
della propria interiorità e il lavoro su se stessi, è evidenziato anche dai principali tratti che
caratterizzano l’età adulta:
1) la capacità di assumere responsabilità nei confronti degli altri;
2) la capacità di assumere la responsabilità verso se stessi. La dimensione
autoreferenziale dell’educazione degli adulti considera questa capacità come premessa per
acquisire la prima;
3) la serietà che si declina nella capacità di valutare, anche preventivamente, le
conseguenze delle proprie azioni e di riconoscere l’impossibilità di ottenere cose tra loro
contrastanti;
4) la solitudine legata alla consapevolezza che nessuno diverso da noi può portare il peso
della nostra vita;
5) la distanza dalle cose legata alla consapevolezza che il lavoro, la carriera, il benessere
economico, ecc. sono certamente importanti, ma non sufficienti a garantire la piena
realizzazione della vita umana.
Verso quale direzione?
Il disagio educativo adulto è caratterizzato da:
● l’incoerenza dello stile comunicativo degli adulti, che li fa oscillare tra
autoritarismo (degenerazione dell’autorità) e permissivismo (spesso considerato
sinonimo di democrazia).
● l’instaurarsi di relazioni educative scorrette, perché caratterizzate da
simmetria (ad esempio, il genitore “amico”, l’insegnante “complice”). La relazione
educativa è per sua natura asimmetrica, perché chi educa, per poter essere punto di
riferimento, deve far valere nel rapporto con l’educando la sua più vasta esperienza
esistenziale e culturale. L’asimmetria del rapporto ostacola la relazione educativa
solo quando sconfina nell’autoritarismo.
● la scarsa autorevolezza e l’assenza di direttività che rende difficile indicare
una direzione di senso, accompagnare e sostenere realmente l’altro nel corso della
sua vita. Paradigmatico è il caso dell’insegnante che, se da un lato ha perso l’autorità
che intimidisce, dall’altro difficilmente incarna una autorità capace di incoraggiare e
orientare. In questa situazione, egli ha perso ogni autorità, elemento fondamentale
per l’efficacia della relazione educativa.
● la crisi della esemplarità che comporta il venir meno di modelli educativi adulti
per le nuove generazioni. Spesso gli adulti propongono ai giovani i modelli
comportamentali che vengono diffusi dai mass media o quelli rispondenti alla cultura
dominante, accettati e trasmessi acriticamente.
Gli adulti devono recuperare la consapevolezza della propria responsabilità educativa e
dell’importanza dell’esempio da loro offerto attraverso le scelte e i comportamenti concreti.
Da dove partire?
Per aver cura di sé e della propria vita non esistono regole sempre valide, ma occorrono
percorsi diversi per ciascuno.
Una riflessione utile è quella che riguarda il nostro rapporto col tempo.
Joseph Goldstein, maestro buddista, osserva che,spesso inconsapevolmente, le idee di
passato e di futuro condizionano ciò che siamo nel presente.
Per il buddhismo, le idee su passato e futuro, certamente utili, diventano dannose quando
dimentichiamo che esse sono il frutto del nostro pensiero e non la realtà e finiamo per
cadere nella schiavitù del tempo, caratterizzata dalle preoccupazioni per un futuro che
ancora deve venire e dai rimpianti per ciò che è già passato.
Per contrastare questa situazione, Goldstein ritiene si debba sviluppare la pura attenzione,
cioè la capacità di osservare la realtà, evitando di sovrapporre ad essa le nostre aspettative
e proiezioni. Ciò è possibile attraverso:
1) la concentrazione, cioè la capacità di mantenere la coscienza stabilmente fissa su un
oggetto;
2) la presenza mentale, cioè la capacità di notare ciò che accade qui e ora.
La pura attenzione permette di sconfiggere gli automatismi dell’agire meccanico, ma
esercitarla non significa che si debba vivere senza fare progetti per il futuro, perché il nostro
vivere il presente è senz’altro legato alla direzione che abbiamo scelto di dare alla nostra
vita.
Riflettere sul nostro rapporto col tempo e rinnovarlo, è un importante gesto di cura di sé e un
aspetto rilevante dell’itinerario di autoformazione permanente che dovrebbe caratterizzare la
vita adulta.
5 - La sfida dell’androgino, Educarsi ed educare nel e per il cambiamento (di
Barbara Mapelli)
Il termine “differenza/e” ricorre spesso nei discorsi che si possono ascoltare nella
contemporaneità.
Osserviamo che nelle culture dei Paesi occidentali si è affermato nei secoli il modello di un
soggetto unico: maschio, bianco, eterosessuale, in buona salute sia fisica che psichica e che
si trova in una buona situazione economica.
Negli ultimi anni si è pian piano evidenziata la necessità di considerare con maggiore
attenzione soggetti che non ricalcano completamente le caratteristiche di questo modello.
Questa novità ha investito anche le scelte politiche, perché ha influenzato i concetti di
cittadinanza e democrazia.
In particolare, ha influenzato l’idea di partecipazione sociale e civile che ha smesso di
identificarsi semplicemente con il processo di assimilazione e omologazione ai modelli
dominanti.
Un’uguaglianza sostanziale nella società contemporanea è realizzabile solo attraverso il
rispetto di ogni differenza, sia collettiva che individuale. L’uguaglianza nella differenza è un
principio non ancora praticato del tutto, ma che si sta affermando nella sensibilità collettiva.
Differenze di genere, copione incompleto
Premettiamo una precisazione terminologica:
● differenza sessuale evidenzia l’originarietà della differenza tra i due sessi;
● genere e differenza di genere focalizza l’attenzione sulle implicazioni
culturali della differenza sessuale.
Negli ultimi decenni, si è gradualmente consolidato un patrimonio di conoscenza che ha
permesso il passaggio dalla visione del mondo basata sul solo pensiero maschile, ad una
lettura della realtà basata su una prospettiva duale (maschile e femminile) o anche sulla
molteplicità.
E’ soprattutto merito della riflessione delle donne l’aver sessuato la pluralità dei possibili
sguardi, sottolineando come la differenza di genere giustifichi attenzioni e interpretazioni
diverse della realtà e delle relazioni interpersonali.
Rispetto al mondo maschile, è operativa dal 2007 l’associazione “Maschile Plurale” che
ha elaborato e promosso un pensiero critico rispetto alle costruzioni culturali che hanno
rinchiuso gli uomini dentro ruoli precostituiti e stabilmente definiti.
Tra i fondatori dell’associazione, vi è lo storico Sandro Bellassai che ha messo in evidenza
come originariamente sia stato il pensiero maschile ad elaborare le prime teorie della
differenza, con scopi molto diversi da quelle femminili.
Il riferimento è al principio del virilismo, che si è sviluppato alla fine dell’Ottocento come
reazione alla paura dei maschi di essere “detronizzati” dalla loro posizione millenaria di
potere, a causa dell’ascesa del movimento di emancipazione delle donne.
Il virilismo ha aggregato il consenso maschile quando si sviluppava la società di massa e ha
prodotto dei vantaggi a coloro che miravano a conquistare il potere politico, grazie all’idea
che fosse la stessa natura ad aver destinato il genere maschile al comando.
Secondo Bellassai, sebbene il virilismo sia oggi ormai superato, esso non è però
completamente scomparso.
Il virilismo è paradossale, perché, nel momento in cui delinea la differenza maschile, esso
diventa uno strumento per negare ogni differenza, in quanto assume come universale il
punto di vista di un sesso e considera disuguali e inferiori coloro che se ne discostano.
Negli ultimi anni, è sempre più evidente che uomini e donne condividono maggiori spazi e
tempi, nel lavoro, nella sfera pubblica e nei rapporti affettivi e, soprattutto nelle giovani
generazioni, si riscontrano forti identificazioni e condivisioni tra ragazzi e ragazze, negli stili
di vita, nel linguaggio, nell’abbigliamento, ecc.
Il modello interpretativo delle differenze di genere che si è consolidato nel tempo e che resta
comunque dominante, permette l’inserimento di una nuova riflessione sull’androginia.
Gli spazi che si aprono in relazione alla realtà osservata che, come detto, vede le vite delle
donne e degli uomini avvicinarsi sempre di più, sebbene permanga nelle menti e nei corpi di
ciascuno il richiamo verso i concetti di femminile e maschile definiti nel corso della storia e
funzionali alla sopravvivenza della società attuale.
Contemporaneamente, si evidenziano sempre più frequentemente soggetti che rifiutano una
collocazione definitiva nelle categorie del maschile e del femminile e rivendicano il diritto alla
fluttuazione dall’una all’altra, mostrandosi restii all’accettazione di una logica binaria di
distinzione netta tra maschio e femmina.
L’androgino viene (è) tra noi
Consultando il vocabolario, alla voce androgino troviamo:
1. In biologia, sinon. di ermafrodito, individuo con caratteristiche di entrambi i sessi. 2. fig.
Che ha aspetto fisico e comportamento con caratteristiche proprie di entrambi i sessi.
L’androgino è uno degli archetipi che sta alla base della nostra cultura, che ciclicamente si è
ripresentato nella storia dell’uomo e che ha la caratteristica di trasformarsi, adattandosi per
rispondere a bisogni e domande diversi.
Presso gli antichi greci, venivano considerati mostri tutti coloro che presentavano l’anatomia
dei due sessi, ci