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2) ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI SUI CONFLITTI
Alle origini di ogni mediazione vi è un conflitto, una contesa, una contrapposizione. In
qualsiasi sistema biologico il conflitto è normale e non è ne un bene ne un male: può avere
effetti di crescita vitale (favorisce l’emergere di soluzioni nuove, diverse e più soddisfacenti
ai problemi quotidiani); può invece risultare distruttivo quando, ad esempio, la violenza del
contrasto riguardo a un problema di comune interesse induce a pensare che i desideri e le
tendenze di ciascuno escludano la possibilità di successo dei desideri e delle tendenze
altrui. La contrapposizione di interessi può rivelarsi tanto radicale da convincerci spesso
che al termine di un conflitto devono per forza esserci un vincitore e un vinto dopo una
dura battaglia. Il termine conflitto deriva dal latino “confligere” cioè urtare, battere insieme;
per parlare di conflitto devono esserci almeno due o più entità di qualsiasi tipo
(organizzazioni, gruppi, umani e non). Queste entità fanno parte di un sistema. I sistemi
viventi sono in primo luogo aperti, sono cioè in grado di scambiare informazioni con
l’ambiente; essi sono anche dinamici in quanto cambiano nel tempo; un’altra caratteristica
riguarda poi la gerarchizzazione: ogni sistema vivente si presenta composto da sotto-
sistemi in esso integrati. Un membro di un sistema può inoltre far parte di diversi altri
sistemi allo stesso tempo (gli esseri umano possono ad esempio appartenere a diversi
gruppi di amici e al tempo stesso a vari gruppi di lavoro). Il mediatore deve tenere conto di
tutto ciò.
Casi non-umani
Clutton-Brock e Parker forniscono alcuni esempi di conflitti a proposito di casi non umani: i
macachi, ad esempio, se trovano il cibo e non annunciano la loro scoperta attraverso grida
saranno oggetto di aggressione da parte degli altri macachi. La crescita della memoria e
dell’intelligenza rischia di introdurre in talune società animali (compresa la società umana)
meccanismi attraverso i quali un medesimo conflitto tende ad essere amplificato e a dare
luogo a conflitti nuovi anche a notevole distanza di tempo. Da qui nasce la necessità di
introdurre meccanismi in grado di bloccare o comunque attenuare l’escalation della lite. Un
altro esempio viene riportato da De Waal che descrive il caso della mediazione fatta da
uno scimpanzé femmina, Mama, tra i due maschi dominanti Nikkie e Yeroen (li fece
abbracciare in modo che andassero d’accordo per contrapporsi insieme a un terzo
scimpanzé maschio, Luit, che cercava di emergere).
Una delle tesi di fondo è che quanto maggiori sono i gradi di libertà di cui gode ogni
singolo componente di un sistema, tanto maggiore sarà la probabilità di apparizione di
conflitti che, se non opportunamente gestiti, possono condurre alla disgregazione del
sistema stesso.
Casi umani
Nel caso degli esseri umani si possono avere conflitti sui luoghi di lavoro, nelle aule dei
tribunali, fra partiti politici, fra aziende, si ha conflitto anche quando un bambino piange.
Per trasformare il conflitto in qualcosa di utile è necessario gestirlo in maniera opportuna
senza “volerlo curare”: bisogna cogliere il conflitto come un segnale di diversificazione,
come un’occasione offerta per ridefinire la situazione e cercare stimoli di crescita in
direzioni nuove. Bisogna a tal proposito ricordare che la mediazione non è terapia o
almeno non ha espliciti obiettivi terapeutici; molto spesso è proprio l’abbandono
dell’impostazione terapeutica che consente di sbloccare situazioni troppo confuse per non
risultare nocive ai protagonisti. Il terapeuta lavora sulle emozioni e attraverso esse; il
mediatore invece, pur non ignorandole, dovrà cercare di depotenziarle, di tenerle fuori
dalla mediazione in modo da condurre le attività in un clima quanto più possibile calmo e
ragionevole. Il mediatore deve inoltre considerare che la sua opera è un’esperienza breve
se confrontata coi tempi di buona parte delle psicoterapie e, rispetto ad esse, risulta
maggiormente centrata sul presente e sul futuro piuttosto che sul passato.
Che cosa la mediazione non è:
-Non è “soluzione” di conflitti
La mediazione non è un mezzo per risolvere i conflitti; il punto non è quello di stabilire chi
ha ragione e chi ha torto (tutte le parti sono in grado di portare validi argomenti a sostegno
della propria tesi). La mediazione mira a mettere le parti in condizione di uscire da
situazioni di stallo riducendo gli effetti di un conflitto distruttivo. L’eliminazione del problema
non ne rappresenta la soluzione; così facendo si perderebbe un’importante occasione di
crescita e progresso.
-Non ha a che fare con i sistemi giudiziari
La mediazione richiede di non decidere per gli altri: gli antagonisti devono trovare essi
stessi la soluzione dei propri conflitti. Contrariamente alla posizione del giudice che deve
decidere in nome della legge, il mediatore non decide al posto di altri. Mediatore e parti in
conflitto devono sentirsi liberi di impegnarsi nel lavoro di mediazione e al tempo stesso
liberi di porre termine a questo impegno nel momento in cui la motivazione al lavoro
decade.
-Non è divagazione sulla teoria dei giochi
La teoria dei giochi analizza i conflitti come se si trattassero di giochi in cui i contendenti, di
solito considerati come giocatori con interessi contrapposti, hanno a disposizione una
certa varietà di mosse. È possibile distinguere 3 casi all’interno di tale teoria:
Io vinco, tu perdi: al guadagno dell’uno corrispondeva sempre e comunque una
1) perdita da parte dell’altro;
Io vinco, tu vinci: a tal proposito ne è un esempio il “dilemma del prigioniero” (2
2) accusati di omicidio devono scegliere: se nessuno confessa entrambi saranno
condannati a 2 anni perché il delitto rimarrà irrisolto, se 1 confessa viene accusato
e condannato a 20 anni scagionando l’altro, se confessano tutti e 2 in mancanza di
elementi certi verrebbero condannati a pochi mesi. I prigionieri non potevano
comunicare tra loro e non potevano accordarsi in quanto in celle separate quindi
avrebbero scelto sicuramente entrambi di non confessare, rassegnandosi ai 2 anni
di carcere).
Io perdo, tu perdi: solo chi pensa di non avere più nulla da perdere o è accecato dal
3) dolore riesce a perseguire strategie di questo genere.
-Non è un puro e semplice negoziato
Un buon negoziato quasi sempre produce vantaggi per tutte le parti in causa; esso è un
processo in cui due o più parti, nessuna delle quali è in grado di prevalere sull’altra,
tentano di raggiungere un accordo che costituisca una soluzione soddisfacente per tutti.
La negoziazione viene definita diretta quando le parti si riuniscono volontariamente
informandosi sui propri bisogni e interessi con l’intento di risolvere uno o più punti di lite.
Quando le parti non intendono intraprendere un’interazione faccia a faccia (fondamentale
nella negoziazione diretta) storicamente si è fatto ricorso a un terzo che agisce al servizio
di entrambe le parti: si parla in questo caso di negoziazione attraverso un messaggero
(ACB). Quando entrambe le parti diffidano della neutralità del messaggero, esse
nominano un proprio rappresentante (un avvocato per parte) e si realizza una
negoziazione attraverso rappresentanti (A avvocato Aavvocato BB) (così facendo
tuttavia le parti non parleranno mai direttamente tra loro e continueranno a dipendere dai
rispettivi portavoce).
-Non è un arbitrato
L’arbitraggio è un processo volontario nel quale le parti in conflitto domandano a una terza
persona che si suppone neutra e imparziale, di prendere una decisione al loro posto. Essi
cessano di essere attori con diritti e responsabilità per diventare obbedienti esecutori di
decisioni prese da altri. Non sono più soggetti ma oggetti. Bisogna considerare inoltre che
ogni arbitro invitato a decidere su una situazione potrà conoscerla solo in maniera
superficiale e indiretta: non avrà quindi tutti gli elementi essenziali per giungere ad un
giudizio corretto.
-Non è consulenza legale, finanziaria, psicopedagogica o comunque “tecnica”
Il mediatore non è un consulente ma un facilitatore della comunicazione tra le parti. Egli
darà il suo contributo affinché venga acquisito uno stile di comunicazione efficace,
costruttivo e duraturo nel tempo.
Verso una gestione pacifica del conflitto
Il mediatore tende a far si che le parti riprendano a comunicare fra loro in modo da trovare
un accordo. La mediazione rappresenta uno sforzo per muoversi nel tentativo di
trasformare i desideri aggressivi e conflittuali in momenti di crescita costruttiva. Uno dei
motivi per cui le pratiche di mediazione funzionano è che danno tempo per pensare e
riflettere, e il tempo che danno è un tempo giusto: non i tempi dilatati a dismisura dei
tribunali. L’attività di mediazione dovrebbe essere intesa quindi come un avanzamento
verso un fine condiviso, reso possibile da una riattivazione della comunicazione e solo
inizialmente regolato dal mediatore. Alcune mediazioni riescono bene, altre no, talvolta
indipendentemente dalla buona volontà dei partecipanti, a causa magari di qualche
variabile esterna fuori controllo.
3)LA COMUNICAZIONE NELLA MEDIAZIONE
Una storia di immigrati
Risulta quindi evidente come un miglioramento della comunicazione fra parti in disaccordo sia un
passo essenziale al superamento delle situazioni di crisi. Lela Porter Love ci fornisce un buon
esempio di come il miglioramento della comunicazione fra 2 gruppi contrapposti possa portare
benefici ad un’intera comunità. Il caso in cui la Love fu coinvolta come mediatrice riguardava le
tensioni che erano andate crescendo tra la pubblica amministrazione di Glen Cove (cittadina vicino
NY) e gli immigrati centroamericani che si radunavano vicino un negozio di alimentari in attesa di
offerte di lavoro. La cosa non piaceva ai negozianti e agli abitanti della zona: gli immigrati erano
disordinati, rumorosi, sporcavano e importunavano le ragazze. I salvadoregni dal canto loro
avevano un interesse vitale per quella che era la loro unica speranza di sopravvivenza. In casi
come questi la fase di evitamento del conflitto non dura a lungo. L’amministrazione chiese l’arresto
degli immigrati illegali visto che violavano la legge, quindi iniziò a diffondersi la percezione che vi
fosse ostilità nei confronti degli immigrati. La giunta municipale, successivamente, fece approvare
un’ordinanza che proibiva a chi stava in strada di chiedere un lavoro a chi passava sopra mezzi a
motore (l’ordinanza era mirata a colpire una de