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18. TEMPO DEL COMMESSO REATO.
Per stabilire la legge penale da applicare è fondamentale determinare il tempo in cui è stato commesso il delitto.
Per individuare il tempus commissi delicti, la dottrina ha previsto tre criteri:
1) la teoria della condotta, la quale considera il reato commesso nel momento in cui si è realizzata l’azione o l’omissione;
2) la teoria dell’evento, per cui il reato è commesso quando si verifica la lesione causalmente riconducibile alla condotta;
3) la teoria mista, che guarda sia all’azione che all’evento, nel senso che il reato si considera indifferentemente commesso quando si
verifichi l’uno o l’altro.
I criteri devono essere applicati a seconda dei casi; quindi non vengono valutati in generale.
Sulla base dell’art. 2 c.p. relativo alla successione delle norme penali, generalmente viene respinta la teoria dell’evento e quella mista.
La teoria dell’evento viene respinta perché, a parte che non tutti i reati contengono nella loro struttura un evento naturalistico,
porterebbe ad un’applicazione retroattiva della legge penale in tutti i casi in cui la condotta si sia svolta sotto il vigore di una precedente
legge e l’evento si sia verificato dopo l’introduzione di una nuovo norma incriminatrice eventualmente emanata.
La teoria mista viene respinta perché non è ragionevole considerare commesso un reato indifferentemente sotto la vigenza di due norme
incriminatrici diverse.
Il criterio della condotta è quello decisivo perché riguarda il momento in cui il soggetto compie il proposito criminoso e perché è il momento
in cui agisce la funzione di prevenzione generale connessa alla minaccia della sanzione punitiva.
Va fatta una differenza a seconda delle diverse tipologie delittuose. 25
I reati causalmente orientati a forma libera sono quelli in cui non c’è una tipizzazione legislativa di specifiche modalità di
realizzazione dell’evento lesivo; bisogna distinguere i reati dolosi in cui il tempus commissi delicti coincide con la realizzazione
dell’ultimo atto fatto con volontà colpevole; nei reati colposi, il tempus commissi delicti si verifica con la realizzazione di quell’atto che
per primo non rispetta le regole di diligenza, prudenza, ecc... .
Nei reati di durata si registrano diverse opinioni. Nel reato permanente , la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza fissa il
tempo del commesso reato nell’ultimo momento di mantenimento della condotta antigiuridica; tuttavia, tale orientamento comporta il
rischio che possa essere applicabile una legge penale più sfavorevole che, eventualmente emanata poco prima della cessazione della
permanenza, aggravi il trattamento penale del reato permanente. Per questo, sembra preferibile la tesi minoritaria secondo cui il tempo del
commesso reato va individuato nel primo atto della sequenza.
Lo stesso accade per il reato abituale, caratterizzato dalla ripetizione nel tempo di condotte della stessa specie.
Il reato continuato , invece, viene valutato sulla base di un concorso materiale di reati, ciascuno dei quali presenta un proprio tempus
commissi delicti.
Infine nei reati omissivi si fa riferimento al momento in cui scade il termine utile per realizzare la condotta doverosa.
19. IL DIVIETO DI ANALOGIA
Il principio del divieto di analogia nel diritto penale é strettamente collegato al principio di tassatività.
L'analogia é un processo di integrazione dell'ordinamento, che serve a risolvere il problema delle lacune; infatti essa permette che una
fattispecie non regolata espressamente da alcuna norma venga disciplinata da disposizioni che regolano casi simili. Tra le 2 fattispecie
deve, però, esserci la stessa ratio.
L'analogia però non é sempre ammissibile. L'art. 14 Disp. Prel. c.c. esclude il procedimento analogico in 2 casi: le leggi penali e le leggi
eccezionali.
Implicitamente, tale esclusione si evince anche dall'art. 1 c.p. per cui "nessuno può essere punito per un fatto che non sia
ESPRESSAMENTE previsto dalla legge come reato";
E dall'art. 199 c.p. Per cui "nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza fuori dei casi previsti dalla legge".
Il divieto di analogia deve ritenersi anche un principio costituzionale anche se implicito, perché il criterio ispiratore del divieto di analogia
in materia penale é lo stesso che impone il principio nullum crimen sine lege a garanzia della libertà del cittadino; infatti l'art. 13 cost.
stabilisce che la libertà personale può essere ristretta nei casi e modi previsti dalla legge.
Il divieto di analogia é inoltre presupposto nell'art. 24 sul diritto di difesa; poiché un soggetto può difendersi da un'accusa determinata,
ma non se viene estesa ad altre fattispecie. Infatti l'art. 521 c.p.p. Stabilisce che se il pm esercita l'azione penale rispetto ad un'accusa, la
forma di aggressione, la condotta e l'offesa non possono mutare nel corso del giudizio; ma per contestare un fatto diverso gli atti devono
ritornare al pm.
Il giudice penale, quindi, non può, sulla base di una stessa ratio incriminatrice, includere fatti simili che non rientrano esplicitamente
nella stessa norma penale.
É però complesso distinguere l'analogia dall'interpretazione estensiva.
L'interpretazione estensiva della fattispecie incriminatrice si verifica se la fattispecie rientra in ogni caso tra i possibili significati letterali
dei termini impiegati nel testo di legge.
Ad esempio il caso 11 riportato da Fiandaca, con cui ci si chiede se può essere ricompreso nel delitto di tentata truffa un soggetto che
inoltra al comune la domanda di assegnazione di un alloggio in locazione dichiarando falsamente di essere disoccupato e privo di
abitazione.
Il comportamento del falso disoccupato può rientrare nell'art.640, se il termine "danno", come estremo della truffa, essendo generico, non
viene limitato al piano strettamente patrimoniale come ritiene l'interpretazione tradizionale, ma viene esteso dall' interprete
ricomprendendo anche la vanificazione degli scopi dell'assistenza pubblica in materia di alloggi.
La dottrina, quindi, ammette la legittimità dell'interpretazione estensiva in materia penale.
Va però precisato che dato il carattere frammentario del diritto penale non si possono forzare i limiti di tipicità fissati dal legislatore; e
dato che l'interpretazione estensiva mette in relazione un comportamento con il significato di una norma che procede per somiglianze, é
sempre rischioso cadere in un giudizio analogico mascherato.
Infatti ci sono molti casi in cui la giurisprudenza ha fatto passare per interpretazioni estensive forme più o meno occulte di applicazione
analogica.
La Cassazione in una sua pronuncia ha definito teoricamente la differenza tra interpretazione estensiva o procedimento analogico,
stabilendo che la prima "mantiene valida la norma entro l'area dei possibili significati dei segni linguistici con i quali si esprime, mentre
l'analogia estende tale validità della norma a casi simili alla fattispecie considerata dalla norma". 26
Quindi l'interpretazione estensiva é sempre legata al testo della norma esistente, mentre il procedimento analogico è creativo di una norma
che prima non esisteva, per questo é incompatibile con il principio di legalità.
Il divieto di analogia é violato in tutti i casi nei quali il legislatore fa ricorso a tecniche di tipizzazione di tipo casistico accompagnate
dall'aggiunta di formule di chiusura come "in casi simili", "in casi analoghi", non riempibili interpretativamente mediante l'applicazione di
un criterio univoco legislativamente prefissato. Ad es. L'art. 121 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, ora depenalizzato,
vietava l'esercizio non autorizzato del mestiere di ambulante di venditore, di cantante,suonatore, facchino, ecc e mestieri analoghi.
La norma quindi non indicava in modo univoco il parametro per individuare i mestieri analoghi a quelli elencati; quindi in questo caso
l'attività di interpretazione del giudice avrebbe portato ad un procedimento analogico.
Va precisato come viene intesa l'ampiezza del divieto. Sulla base del principio di certezza, il divieto di analogia dovrebbe essere assoluto,
cioè dovrebbe riguardare sia le norme incriminatrici sia le norme di favore; questo perché la certezza del comando penale verrebbe meno
non solo se si estendesse analogicamente la disposizione incriminatrice, ma anche se fossero incerti i limiti della sua applicazione con il
procedimento analogico.
In realtà la concezione assoluta del divieto di analogia é in contrasto con l'art. 25, comma 2, cost. in quanto sancisce il primato non della
certezza del diritto, ma della libertà del cittadino. Quindi sulla base del presupposto per cui la libertà è la regola e la sua limitazione
l'eccezione, è conforme all'art. 25 Cost. un'interpretazione analogica che ha come obiettivo estendere la portata delle norme più favorevoli
al reo.
Quindi il divieto di analogia é RELATIVO, perché riguarda solo l'interpretazione delle norme penali sfavorevoli.
Va, quindi precisato in che limiti sia consentita un'interpretazione analogica. Il procedimento analogico trova un limite nell'art. 14 delle
disposizioni preliminari, per cui sono insuscettive di applicazione analogica: le leggi penali, non intendendo solo quelle presenti nel codice,
ma anche le norme incriminatrici, che cioè hanno una sanzione penale; e le leggi eccezionali, cioè le leggi che fanno eccezione a regole
generali.
Sono regolari le norme che disciplinano situazioni generali in cui può trovarsi chiunque;mentre le norme eccezionali sono quelle che
introducono una disciplina che deroga una disposizione generale, occupandosi di un caso particolare.
Non sono però eccezionali tutte le norme che prevedono cause di non punibilità. Ad esempio le cause di giustificazione e le cause di
esclusione della colpevolezza sono suscettive di interpretazione analogica.
Il ricorso al procedimento analogico non é ammesso rispetto a quelle cause di non punibilità che fanno riferimento a situazioni particolari
o che riflettono motivazioni politicocriminali specifiche.
Quindi l'analogia é inammissibile in caso di:
immunità, che derogano al principio della generale obbligatorietà della legge penale rispetto a tutti quelli che si trovano nel territorio
dello Stato;
le cause di estinzione del reato e della pena, che derogano alla normale disciplina dell'illecito penale e delle conseguenze sanzionatorie;
le cause speciali di non punibilità, che riguardano esclusivamente valutazioni politicocriminali legate alle specifiche caratteristiche della
situazione presa in consideraz