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E’
3) instaurare il dialogo - la possibilità che si apre dopo che le precedenti modalità hanno
dato i loro frutti. Il dialogo tra le parti della relazione educativa è caratterizzato da reciprocità
e asimmetria.
L’asimmetria riguarda la consapevolezza e la responsabilità con cui l’educatore deve, in ogni
situazione, individuare la giusta distanza emotiva dall’educando.
4) conoscersi - La creazione del dialogo tra le parti della relazione educativa compora per
l’educatore la necessità di gestire la sua parte più personale, per realizzare una
comprensione empatica, evitando di sovraccaricarsi delle storie di vita di chi incontra nel
quotidiano.
5) liberare creatività e progettualità - Sono le possibilità offerte da una relazione educativa
ben strutturata, che permettono di intraprendere percorsi di accompagnamento alla
scoperta di sé e alla costruzione di un “noi”.
E’ una dimensione fondamentale che porta l’educatore a sentirsi parte di
6) condividere - e di un’équipe in cui si coopera e che può portare alla formazione di
un Noi educativo
Collettiva, intesa come
un’Identità matrice interindividuale. Il Noi educativo è un soggetto
complesso che riflette e lavora collettivamente, per percorrere vie partecipate.
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Per liberare il potenziale dei soggetti complessi che popolano i luoghi dell’azione educativa,
occorre che ogni educatore possa far sentire la sua voce nei luoghi delle decisioni politiche e
delle progettazioni più ampie e complesse.
Per costruire relazioni educative si deve lavorare per produrre cittadinanza attiva, per
realizzare spazi più democratici, per rendere i tempi più vivibili, per consolidare relazioni di
appartenenza e solidarietà.
Gli strumenti della relazione: perché e come continuare a scommettere sui processi
educativi
E’ impossibile elencare delle tecniche certe e pre-strutturate da usare nelle azioni educative,
me è possibile elencare alcuni elementi fondamentali da tenere presenti:
1) dialogo e motivazioni - Il dialogo serve per mettersi in contatto con ciò di cui ciascuno è
portatore: saperi, esperienze, interessi, limiti, ecc. Ricercando le motivazioni delle scelte
compiute e da compiere, l’educatore può cogliere i significati del suo agire.
2) spazi critici e potenziali - Si tratta di riconoscere le aree critiche e le potenzialità dei
soggetti per poter agire educativamente su di esse.
L’équipe educativa deve individuare le finalità degli itinerari progettuali,
3) obiettivi -
considerando i contributi di tutti i soggetti che partecipano alla relazione educativa.
4) strumenti cooperativi e partecipativi - La progettazione partecipata è indispensabile
per aprirsi in modo autentico all’altro.
5) esperienze condivise - Per realizzarle, occorre riflettere sulle modalità di creazione di
contesti educativi in cui ogni soggetto possa essere protagonista.
Mappa concettuale relativa al Capitolo nono - La relazione educativa: condizioni,
strategie, strumenti 41
Il sapere (educativo) delle “differenze” (di Rosa Gallelli)
Capitolo decimo -
Sistema formativo allargato e pluralità dei soggetti dell’educazione
Nel corso del Novecento, l’affermazione del principio della “formazione per tutti e per tutta la
vita” e, successivamente, l’imporsi della “società della conoscenza”, hanno comportato
l’accresciuta importanza di considerare anche nell’agire educativo le differenze
antropologiche che caratterizzano il numero crescente di possibili destinatari di tale azione.
Le principali teorie utili per approfondire le conseguenze delle differenze individuali sui
processi educativi e di apprendimento sono:
1) psicologia cognitiva - A partire dagli anni Settanta, si afferma un approccio che sposta
l’interesse dallo studio delle strutture generali dell’intelligenza a quello delle differenze
individuali nel funzionamento intellettivo.
I numerosi studi sull’argomento hanno permesso di superare l’idea tradizionale secondo la
quale il rendimento di un soggetto in formazione è diretta conseguenza del grado delle
abilità possedute, considerando invece tale rendimento dipendente dalle caratteristiche
individuali e dal personale modo di apprendere.
In questo senso, quindi, l’agire educativo deve essere in grado di valorizzare le qualità
individuali, progettando percorsi di apprendimento differenziati e individualizzati.
2) studi socio-antropologici - Gli studi del sociologo Basil Bernstein hanno evidenziato il
legame tra l’appartenenza a una certa classe sociale e il successo scolastico. Egli ha
evidenziato come la forma di comunicazione più diffusa nella scuola abbia le caratteristiche
42
di quella praticata abitualmente dagli appartenenti a classi sociali medio-alte, il che finisce
per penalizzare i soggetti provenienti da quelle medio-basse.
Negli anni ‘70 si sviluppò un ampio dibattito sui risultati di questi studi e sul ruolo svolto dalle
cultura delle classi dominanti e nell’espulsione
istituzioni educative nella riproduzione della
dei giovani appartenenti alle classi sociali più basse dalla produzione culturale.
3) studi classici sui media della comunicazione e studi sul ruolo delle nuove
tecnologie nella didattica - Il progresso tecnologico e scientifico ha agito sulla cultura
aumentando le sue sfaccettature e potenzialità.
Questa situazione ha enfatizzato alcuni divari:
● tra coloro che accedono abitualmente ai media digitali e coloro che invece non hanno
le stesse possibilità di accesso e che finiscono per diventare degli analfabeti
digitali;
● tra coloro che, pur avendo accesso ai media digitali, non hanno acquisito capacità di
uso critico e creativo e che, quindi, raggiungono un livello di lettura/produzione
culturale superficiale, e coloro che invece acquisiscono tali competenze.
4) riflessione sul tema della disabilità - Si tratta di una riflessione che ha attraversato un
periodo molto fecondo soprattutto negli ultimi decenni del secolo scorso.
Si tratta del periodo in cui, in Italia, sono entrate in vigore leggi importanti che testimoniano
un rinnovamento nella cultura della disabilità. Ricordiamo:
● Legge 118/71 che ha abolito le classi speciali;
● Legge 517/77 che ha istituito la figura dell’insegnante di sostegno per gli alunni con
disabilità;
● Legge 104/92 che sancisce il diritto della persona con disabilità di non essere limitata
da ostacoli e impedimenti eliminabili dallo Stato, che possono compromettere il pieno
sviluppo del suo potenziale umano. Essa stabilisce anche che venga attuato, per
ogni alunno disabile, un percorso formativo individualizzato.
Nel 2006, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dal
Parlamento italiano nel 2009) ha promosso il “modello sociale della disabilità”, introducendo i
principi di non discriminazione, pari opportunità, autonomia, e considerando che è il contesto
culturale e sociale a contribuire in modo determinante a definire l’esperienza che ciascun
disabile fa della propria condizione.
5) discriminazioni e violenze di genere - I risultati ottenuti dalle battaglie delle donne, degli
omosessuali, dei transessuali, ecc. lungo il Novecento nelle democrazie occidentali, si
devono integrare oggi con un contesto particolarmente critico, collegato alla globalizzazione
e ai massicci movimenti migratori.
Nel quadro sopra delineato si inserisce l’agire educativo che ha la responsabilità di
confrontarsi col tema delle differenze sotto un duplice aspetto:
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1) la differenza è il tratto che contraddistingue sia l’educando che l’educatore. Un sistema
formativo in grado di valorizzare le differenze deve costituire un contesto di insegnamento-
apprendimento in cui ciascuno possa acquisire conoscenze e competenze nei tempi e nei
modi a lui più congeniali; da porre al centro dell’attenzione conoscitiva
2) la differenza deve essere un concetto
dell’educatore. Occorre quindi che si tenga conto di questo fattore nella progettazione
formativa in modo che si concretizzi l’idea che la differenza è una risorsa.
Dualismi oppositivi e negazione delle differenze
Nel pensiero occidentale si è evidenziata nei secoli la tendenza alla ricerca di un criterio
ordinatore in grado di ricondurre il “molteplice” ad “unità”.
Dal dualismo oppositivo uno/molteplice discendono una serie di dualismi, tra cui quello
tra il concetto di “identità” e l’idea di “differenza”. L’identità soggettiva si fonda sulla
negazione delle differenze e viene concepita come unitaria, autoreferenziale e stabile.
Poiché l’esistenza di ciascun uomo è costantemente sottoposta all’attacco delle forze
ingovernabili della natura (disordine, deterioramento, morte), l’uomo occidentale ha ricercato
nella propria interiorità l’unità di un “io” al quale l’altro da sé appare minaccioso e le
differenze sono negate.
Identità relazionali e “scoperta” della differenza
Nel corso del Novecento, le rivendicazioni dei movimenti filosofici, artistici, delle donne, degli
omosessuali, degli studenti, dei lavoratori, ecc. hanno impresso importanti cambiamenti in
campo culturale e filosofico.
In particolare, è stato messo in discussione il modello consolidato di ragione, che, come
detto, era stato fino ad allora egemonico: antropocentrico, entnocentrico, fallocentrico,
adultocentrico, ecc.
E’ stato soprattutto il a mettere in discussione l’idea di
pensiero filosofico postrutturalista
una soggettività autocentrata e autoreferenziale.
Significativo è il testo “L’approccio nomade” di Deleuze (filosofo francese, 1925-1995) che
dell’idea tradizionale di “differenza” come rapporto tra polarità
propone il superamento
dicotomiche.
L’identità del soggetto non deve essere considerata come chiusa ed autoreferenziale, ma
deve essere definita come processo che comporta negoziazioni continue tra le molteplici
condizioni in cui egli incessantemente si muove.
L’identità del soggetto viene così definita attraverso il rapporto con le forze che determinano
gli spazi in cui egli si muove e incontra gli altri.
L’identità si definisce quindi come differenza, cioè come luogo di sintesi tra carnalità e
simbolico, tra sensazioni e rappresentazioni, ecc.
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La molteplicità dei contesti in cui il soggetto si muove e forma la propria identità, comporta
che la differenza cessa di essere vis