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PARTE 2°: FENOMENOLOGIA DEL DISAGIO

CAP.1: DISAGIO ED ESISTENZA

Vivere

Vivere significa attraversare uno spazio limitato e comunque breve di esistenza in un tempo

precario. Desideriamo che la vita non scorra invano e che tutto abbia un senso.

Nella contemporaneità, l’imperativo che domina la vita è “godere” e tutti tendiamo ad avere gli

stessi sogni e gli stessi desideri: avere soldi, salute, amici, ecc.

Il benessere diventa l’ideale dell’imperativo “godere”.

Eppure è generalizzato il malessere profondo del “non essere mai contenti”.

Vivere sembra semplice, quando, nella quotidianità, ti senti padrone delle cose e delle situazioni,

ma capita che circostanze improvvise o impreviste (esempio una malattia grave, un lutto, la perdita

del lavoro, ecc.)turbino questo flusso rassicurante. Allora subentra il disagio.

Nella nostra vita può esserci una sorpresa, consentita dalle pratiche educative: essa può essere

messa in pausa, può presentare momenti in cui si può rallentare il flusso degli eventi, distaccarsi da

essi, per poi tornare, possibilmente cambiati in meglio, alla quotidianità.

Esistenza ed angoscia

Heiddeger afferma che, per l’uomo, “vivere” corrisponde all’”esistere”.

Per l’uomo, il mondo non è un semplice “contenitore” delle cose, ma lo scenario della propria

cura (mi occupo e mi preoccupo delle cose e degli altri) ed è questo l’affanno della vita.

Quando viviamo nella quotidianità ci sentiamo a nostro agio, ci sentiamo collocati in ciò che ci è

noto e non ci preoccupiamo della nostra esistenza. Torniamo ad accorgecene solo quando

l’angoscia ci assale.

L’angoscia è un sentimento di spaesamento e di allontanamento dall’ovvietà. Sorge

quando tutto ciò che avevamo e di cui eravamo certi svanisce e subentra l’esperienza

dell’abisso.

L’obiettivo di una persona è riuscire, partendo dall’angoscia/disagio che prova, a riconquistare l’agio

e il benessere che si può trovare nella quotidianità per giungere ad un “sè” personale che si mette

in gioco ed è aperto alle possibilità.

Benessere, salute e felicità sono davvero diritti?

Comunemente, il disagio, cosi come la pena, il dolore e il tormento, sono avvertiti come qualcosa

d’inopportuno, che deve passare immediatamente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (agenzia dell’ONU) parla di “diritto alla salute” che

definisce come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non una

semplice assenza di malattia”. Di conseguenza, gli Stati devono predisporre non solo sistemi

sanitari adeguati, ma anche servizi che portino la persona ad un benessere completo.

Si può curare il disagio?

Secondo la psicoanalisi freudiana, il disagio è generato dalla difficoltà a mantenere un corretto

equilibrio tra il principio normativo di realtà (che impone di adeguarsi a ciò che è considerato

moralmente accettabile in ambito sociale) e il principio edonistico del piacere (che impone il

soddisfacimento dei propri desideri, anche quando essi non sono considerati socialmente

accettabili).

La rimozione è il meccanismo che allontana dalla coscienza (ma non annulla) ciò che non può

essere mostrato e soddisfatto. 4

Il disagio, per Freud, deriverebbe allora dal desiderio rimosso che resta vivo e

insoddisfatto nell’inconscio.

La psicoanalisi classica affronta il disagio agendo sulla rimozione del desiderio, affinché esso possa

essere rimesso in circolo in forme socialmente accettate.

Questa interpretazione psicoanalitica di disagio è oggi in crisi.

Massimo Recalcati, ad esempio, osserva che i nostri desideri non sono più delimitati da alcuna

norma.

Il godimento, libero da ogni forma di limitazione pubblica, diventa privo anche di ogni soddisfazione

privata. Attualmente si rischia di perdere il desiderio che ci muove e dà senso alla vita,

sostituito da desideri massificati, spesso facilmente realizzabili attraverso i soldi.

L’assenza di una discrepanza tra inconscio e civiltà provoca angoscia per il venir meno della spinta a

vivere.

Si parla di “nuova clinica del vuoto” che cerca di arginare l’angoscia generata dalla perdita

dei desideri.

Il disagio attuale non dipende più dalle regole troppo severe che provengono dalla famiglia, dalla

scuola, dalla società, che comportavano il sacrificio dell’interiorità più profonda. Adesso si soffre

per l’induzione di desideri massificati, anonimi e standard e l’unico obbligo sociale è “godi”.

L’uomo contemporaneo è spregiudicato e, sembra, che possa fare tutto. L’assenza di riferimenti

stabili e forti provoca nell’uomo un senso di vertigine, perché egli sente di non avere nulla a cui

aggrapparsi.

Il nichilismo

Nietzche, alla fine del 1800, osservava che “Dio è morto” intendendo che i grandi valori che

avevano guidato il mondo fino ad allora, sono scomparsi e l’uomo si ritrova in un infinito di nulla.

Secondo questa definizione, il nichilismo è anche il nostro presente.

Ivan Turgenev, nel romanzo “Padri e figli”, definisce nichilista colui che non si inchina dinnanzi a

nessuna autorità e che non presta fede a nessun principio. E’ un uomo che distrugge l’ordine

costituito. Questa definizione pone il nichilismo in relazione con lo scontro generazionale: i figli

sono nichilisti nei confronti dei padri, in quanto rifiutano le tradizioni e l’autorità.

Possiamo osservare allora che il nichilismo non è collocabile in un momento preciso della storia,

ma che l’uomo è nichilista da sempre e quindi, anche in campo educativo, occorre il coraggio di

guardare in faccia la situazione per affrontarla.

CAP.2: DISAGIO E PATTO INTERGENERAZIONALE

Spesso si parla di disagio giovanile, perchè i giovani e gli adolescenti, attualmente, sono

particolarmente vulnerabili socialmente.

Per indagare sul disagio giovanile, cominciamo ad esaminare la rappresentazioni che riguardano i

giovani e riconoscibili in diversi ambiti (ambito scientifico, letterario, psicologico, filosofico, ecc.)

I giovani di oggi, secondo Galimberti, sono confusi. I giovani non hanno fiducia nel futuro, ma

vivono con un’inquietudine costante in cui è presente la paura d’esclusione. Non sperimentano la

partecipazione sociale e l’unico possibile obiettivo è il successo personale.

Galimberti parla di generazione degli “abbastanza”: tutto li coinvolge “abbastanza”, ma non troppo,

perchè i giovani preferiscono mantenersi in una specie di via di mezzo, di normalità imperante.

Considerando alcune etichette che sono state usate per denominare gruppi di giovani,

distinguiamo:

1. gli esclusi: giovani assenti dalla vita e dai luoghi in cui si fa qualcosa. Dopo aver cercato un lavoro

oppure di partecipare a qualche progetto formativo senza successo, preferiscono stare a casa dei

genitori, senza fare niente.

2. gli squatters: i cosiddetti “cani randagi”, che esercitano un’opposizione silente. A differenza della

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generazione giovanile degli anni ’70, gli squatters si limitano a dire “no” alla società dal luogo in cui

abitano. Se negli anni ’70, i giovani potevano essere contro delle ideologie chiaramente delineate,

oggi l’essere contro sembra svuotarsi di senso, non è chiaro a cosa e a chi opporsi. E’ una

opposizione che di fatto esprime la rassegnazione di chi dispera che qualcosa possa cambiare.

3. i black block: i cosiddetti “ragazzi da stadio” che manifestano il loro dissenso con la violenza. Non

si tratta di una rabbia contro un sistema, ma di rabbia ripetitiva, che esplode in assenza di adeguati

dispositivi di contenimento e prevenzione.

4. gli indignados: che esprimono il proprio dissenso in maniera pacifica, chiedendo una rivoluzione

etica e maggior democrazia.

Per riflettere sulle modalità con cui le nuove generazioni hanno imparato a costruire un proprio

modo di essere nel mondo e di dar significato alla propria presenza e quella altrui, cosi da essere

meno “a disagio”, ci riferiamo ad un fatto di cronaca analizzato da Galimberti nel saggio

“L’ospite inquietante”

Nel 1996, un gruppo di ragazzi uccise una donna, lanciando sassi dal cavalcavia di un’autostrada. Uno

dei responsabili, Paolo, si descrive usando molte volte l’aggettivo “normale”: si definisce una

persona “normale”, con una famiglia “normale”, che conduce una vita “normale”. Perché allora ha

compiuto un gesto omicida? La sensazione è che il gesto di Paolo sia e resti insensato,

incomprensibile. E ciò, di per sé, incute disagio.

Umberto Galimberti, ritiene che Paolo appartenga alla cosiddetta “generazione Q” (la Q indica un

basso quoziente emotivo e intellettivo). Sono giovani che hanno imparato che la vita è indifferente

e che qualunque cosa si faccia va comunque bene e si può sempre tornare indietro (come in un

videogioco!).

Il ragazzo è apatico, privo di emozioni. Non lo scuote nulla e sembra non provare senso di colpa per

quello che ha commesso.

Il senso di colpa è un sentimento che si prova quando si capisce di aver danneggiato qualcuno o

qualcosa da cui dipendiamo. E’ un sentimento che si produce quando si è consapevoli di essere al

tempo stesso incompleti e separati dagli altri e, perciò, necessariamente legati da un rapporto di

dipendenza reciproca.

L’impressione è che Paolo non abbia avuto occasione di confrontarsi con i propri limiti, con la

propria dipendenza dal mondo e dagli altri, con la necessità di contribuire al benessere altrui per

garantire il proprio.

Paolo vive mediamente bene e quando qualcosa nella routine normalizzante entra in contatto con

qualche limite, non prevale la logica del senso di colpa, ma la logica della vergogna. La vergogna è

un sentimento rivolto a se stessi, che deriva dal non essere all’altezza, dal non essere in grado di

stare sempre bene.

Per contrastare la vergogna, è giustificato anche il gesto del lanciare sassi, che, nel presente, fa

sentire vivi. La persona non considera le conseguenze del suo gesto, perchè pensa che è legittimo

ottenere soddisfazioni personali, indipendentemente dall’ambiente in cui si vive.

Nell’epoca contemporanea, l’assenza di limiti elimina anche la possibilità di riflettere per

comprendere il senso delle proprie azioni e delle loro conseguenze.

Con ragazzi di questo tipo non ha effetto la punizione della legge, ma piuttosto la logica della

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
15 pagine
28 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher assuntarappi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica e pedagogia dell'inclusione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Palmieri Cristina.