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La promozione della cittadinanza attiva richiede l’investimento di risorse nel campo

dell’istruzione e della formazione permanente per poter garantire l’accesso a strumenti

culturali ed operativi alla più ampia fetta possibile della popolazione.

La cittadinanza attiva comporta sia diritti, sanciti da apposite norme, che responsabilità. più

difficilmente codificabili.

Per valutare il livello di realizzazione della cittadinanza attiva all’interno di un Paese occorre

considerare l’intreccio di quattro dimensioni:

● protesta e cambiamento sociale;

● vita comunitaria;

● democrazia rappresentativa;

● valori democratici.

In Europa, gli Stati nei quali il livello di cittadinanza attiva è più alto sono quelli nordici, in

particolare la Svezia, seguiti dai Paesi dell’Europa centrale e da quelli anglosassoni.

In coda alla classifica troviamo, nell’ordine, i Paesi mediterranei e, all’ultimo posto, i Paesi

dell’Est.

Inclusione, formazione, educazione e nuove tecnologie

L’Unione europea considera indicativo della realizzazione di condizioni di formazione

permanente, il miglioramento delle condizioni di equità nei contesti educativi e formativi.

Un criterio significativo per valutare la qualità dei sistemi educativi e formativi consiste nel

considerare in quale misura le persone possono trarre vantaggio dall’educazione e dalla

formazione in termini di opportunità, accesso, trattamento e risultati.

Investire sulla formazione per migliorare l’inclusione sociale significa:

1) accompagnare i soggetti nel riconoscimento dei propri bisogni formativi e di

apprendimento;

2) aumentare e diversificare l’offerta di opportunità e risorse formative a livello dei vari

territori, tenendo conto delle caratteristiche di tutti i potenziali utenti (livello di istruzione, età,

condizioni socio-economiche, ecc.);

3) costruire e alimentare collegamenti tra formazione e lavoro, attraverso corsi di

apprendistato, stage e formazione-lavoro.

Lavorare sui contesti della formazione implica inevitabilmente lavorare per la riduzione del

digital divide (divario digitale = divario tra chi ha effettivo accesso alle tecnologie

dell’informazione - in particolare, personal computer e internet - e chi ne è escluso

parzialmente o totalmente).

Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione comportano due effetti opposti:

1) da un lato offrono soluzioni nuove a problemi ritenuti insuperabili;

2) dall’altro generano nuovi e seri problemi ai soggetti più fragili, in particolare agli

anziani e ai disabili.

L’Unione europea, consapevole di questi due aspetti, ha delineato come obiettivo quello di

rendere accessibili a tutti le tecnologie dell’informazione.

Cronologicamente ricordiamo la Carta di Riga approvata nel 2006 e riguardante la

promozione dell’accesso universale alle ICT (tecnologie dell’informazione e della

comunicazione).

Essa fissava obiettivi ambiziosi, tra cui il dimezzamento dei divari nell’uso di Internet e

l’accessibilità ai siti pubblici al 100% entro il 2010.

Considerando che nel 2008 l’accessibilità dei siti pubblici era del 5% e che la media europea

degli utilizzatori di Internet era del 47%, ci si rese conto che gli obiettivi di Riga non

sarebbero potuti essere raggiunti nei tempi indicati.

Le condizioni del contesto hanno evidenziato la necessità di intensificare gli sforzi per

realizzare, a livello europeo, iniziative volte a consentire a tutti di accedere alla società

dell’informazione, ma le recenti indagini svolte per la Commissione europea evidenziano che

l’accessibilità dei siti web e delle altre ICT rimane bassa soprattutto per le persone anziane,

quelle economicamente inattive e quelle che hanno un basso grado di istruzione.

Lifelong learning e inclusione sociale: prospettive e sviluppi

Il bisogno di inclusione è un vero e proprio bisogno sociale.

Di contro, il rischio di esclusione è legato alla mancanza di risorse e strumenti che si

possono acquisire attraverso adeguati percorsi formativi (formali, non formali e informali)

inquadrabili nella strategia dell’apprendimento permanente.

Si evidenzia quindi la necessità di coordinare le strategie dell’apprendimento permanente

(lifelong-lifewide learning) con quelle della protezione e inclusione sociale (social protection-

social inclusion).

Infatti se aumenta il numero di persone che restano (o rientrano) nei percorsi di formazione,

si verifica anche un aumento delle conoscenze e competenze trasversali immesse nei

circuiti professionali e sociali. Ciò, a sua volta, produce l’aumento della consapevolezza e

del grado di partecipazione alla vita civile e politica, anche nell’ambito delle categorie a

maggiore rischio di esclusione.

E’ però necessario che siano garantite a tutti le opportunità di identificarsi come soggetti in

formazione, anche attraverso azioni di facilitazione e sostegno.

Le strategie non devono essere esclusivamente quelle indirizzate a specifiche categorie

professionali o sociali, ma occorre che esse siano calibrate sui bisogni reali che emergono in

particolari contesti sociali e territoriali.

Risulta quindi evidente che favorire la formazione permanente significa promuovere

l’inclusione sociale e viceversa. Infatti si potranno contemporaneamente raggiungere diversi

obiettivi:

● aumentare i livelli di abilità e competenze. Conseguenza: miglioramento delle

condizioni lavorative;

● aumentare i livelli di partecipazione alla vita politica e sociale. Conseguenza:

partecipazione attiva e propositiva alle scelte politiche;

● aumentare i livelli di integrazione e inclusione delle categorie a più alto rischio di

esclusione sociale.

E’ infine importante notare che la riduzione del learning divide è sicuramente accompagnato

dalla riduzione del digital divide.

2. Integrazione e inclusione sociale: modelli a confronto (di Stefania Fiorentino)

Definire la disabilità oltre l’handicap

Nelle scienze umane e sociali, l’utilizzo di un termine riguardante una persona non deve

servire per attaccare su di essa un’ etichetta immodificabile e definitiva, ma piuttosto

dovrebbe configurarsi come strumento di approccio e comprensione.

Riflettere sui termini non è una questione formale, ma è fondamentale per comprendere

quale sguardo viene diretto verso la persona.

Nella pedagogia speciale, i termini “handicap” e “disabilità” sono ancor oggi oggetto di

dibattito e confronto tra gli studiosi.

Etimologicamente la parola “handicap” deriva dall’espressione “hand in cap” (“(mettere) la

mano nel cappello”) per estrarre delle monete, che in origine indicava un gioco d’azzardo. In

seguito il termine entrò nel linguaggio ippico per indicare il fardello sopportato alla partenza

dai fantini più valenti per rendere la gara più bilanciata.

Successivamente il termine handicap comparve in alcuni testi inglesi per indicare la malattia

che diminuisce le capacità relazionali.

Nel 1985 viene usata per la prima volta l’espressione “handicapped children” all’interno di un

filone di ricerche in cui l’handicap è legato alle persone con una menomazione.

Il significato originario del termine handicap ci permette di osservare che l’espressione

“portatore di handicap” è profondamente sbagliata e, almeno negli ambiti educativi,

andrebbe evitata.

Essa infatti significherebbe che l’individuo è portatore di uno svantaggio. Non è così: la

persona è portatrice di alcuni limiti, che purtroppo non possono essere rimossi, ma gli

handicap, cioè gli svantaggi, non è il singolo che li porta, ma piuttosto egli li incontra, perchè

si trovano nell’ambiente che lo circondano.

Sarebbe quindi più corretto parlare di fattori “handicappanti”, indicando così le barriere

architettoniche e le stigmatizzazioni sociali e culturali che incidono sulla formazione del

soggetto determinandone la condizione di disabilità.

Arriviamo quindi a riflettere sul termine “disabilità”. Etimologicamente, esso deriva dalla

parola “abilità” associata al prefisso privativo “dis”, quindi “disabilità” = “mancanza di abilità”.

Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la disabilità come qualsiasi

restrizione, prodotta da una menomazione, della capacità di svolgere un’attività nei modi

ritenuti normali per un essere umano.

La disabilità, quindi, esprime gli scostamenti, per eccesso o per difetto, nella realizzazione di

compiti e comportamenti rispetto a ciò che normalmente ci si attende.

Ma quali sono i comportamenti “normali”? Potremmo definirli come quelli che, nel contesto

sociale e culturale di riferimento, sono considerati comuni e ordinari e che riguardano

capacità come vedere, sentire, camminare e parlare.

Si tratta di un approccio derivante dall modello medico-organicista che considera la salute

come una condizione in cui il corpo umano mantiene uno stato di corretto funzionamento

degli organi e delle funzioni correlate, mentre la disabilità uno stato di rottura di questo

equilibrio.

In quest’ottica, il disabile è considerato come una persona deficitaria, che ha bisogno di

particolari supporti e che viene inserita nella categoria della vulnerabilità sociale.

La menomazione è un problema della persona e il contesto si limita a una generica

considerazione di ciò che sta attorno alla persona disabile.

Diverso è invece il modello sistemico-contestualista che pone al centro la relazione tra

soggetto e contesto.

La disabilità viene considerata un concetto multifattoriale e il contesto di vita del

soggetto diventa fattore determinante nel funzionamento della persona.

La Classificazione ICF (International Classification of Functioning Disability and Health)

prodotta dall’OMS nel 2002 fa riferimento a questo modello e considera la disabilità come

risultato dell’intreccio di molti fattori, biologici, ambientali, familiari, sociali e culturali. Il

funzionamento e la disabilità del soggetto derivano dall’interazione dinamica tra le

condizioni di salute e i fattori contestuali (familiari e ambientali).

La condizione di vita di un soggetto affetto da menomazione è fortemente condizionata dalle

caratteristiche dell’ambiente in cui egli vive.

Riflettendo più a fondo, è possibile provare a trovare risposta alla domanda: ha senso

distinguere tra normali ed anormali?

Partendo dall’osservazione che in natura sono presenti corpi non con-formi, irregolari,

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Publisher
A.A. 2015-2016
31 pagine
5 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher assuntarappi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica e pedagogia dell'inclusione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Palmieri Cristina.