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L’identità personale dipende essezialmente da due aspetti:

1) aspetto diacronico (= relativo alla dimensione temporale di un fenomeno e alla sua

evoluzione cronologica) che considera ciò che dell’identità dipende dalla sedimentazione di

esperienze e rapporti vissuti nel passato. L’identità diacronica è la parte del sé che ciascuno

già conosce.

2) aspetto sincronico che considera il modo attraverso il quale gli aspetti dell’identità

diacronica vengono impiegati in funzione nuovi rapporti e nuove prospettive. Si tratta dello

sfondo in continuo cambiamento, dentro il quale il soggetto agisce, pensa e porge se stesso

al mondo.

Queste considerazioni circa la duttilità dell’identità personale permettono di delineare uno

spazio pedagogico in cui inscrivere un intervento rieducativo volto a modificare la percezione

che il ragazzo difficile ha di sé.

L’educatore ha di fronte dei ragazzi che possiedono una serie di acquisizioni di sé già

consolidate con le quali si scontrerà qualsiasi proposta relativa all’esperienza dell’altro.

Possiamo schematicamente distinguere due tipi di esperienza dell’altro:

1) l’incontro del ragazzo con un gruppo di pari;

2) l’incontro del ragazzo con l’educatore.

In ogni percorso rieducativo queste due esperienze si fondono e confondono e la loro

trattazione separata risponde solo ad esigenze di chiarezza espositiva.

La vita di gruppo

La proposta di esperienze dell’altro attraverso la vita di gruppo consente di far acquisire al

ragazzo un senso di “appartenenza a”.

I gruppi spontanei non sempre assumono le caratteristiche di ambito formativo rispetto a

questa finalità.

I ragazzi tendono infatti a mettere in atto schemi consolidati di vita societaria che possono

favorire o rimarcare visioni disfunzionali di sé e dell’altro.

L’educatore deve guidare la formazione del gruppo senza però far percepire il proprio

intervento come una prescrizione esterna. Ciò si ottiene attraverso attività, ad esempio i

giochi di squadra, che costituiscano uno sfondo significativo per i ragazzi coinvolti.

Ciò che importa non è tanto il tipo di attività che viene proposta, ma piuttosto che attraverso

di essa si riesca ad attivare il dispositivo della “vita di gruppo” caratterizzato dalla

costruzione di un piccolo universo condiviso dai partecipanti.

Se l’esperienza dell’altro viene proposta attraverso l’azione di gruppo, occorre che esso

diventi palestra per esercitare il “principio di realtà” dove per realtà si intende il punto di vista

dell’altro e i limiti che esso impone all’azione personale.

L’esperienza dell’altro come azione di gruppo permette di sperimentare l’interrelazione tra

autonomia e dipendenza: fare assieme all’altro comporta la continua calibrazione tra azione

individuale e scenario sociale.

Nel gruppo si attivano meccanismi di autoregolazione: è il gruppo stesso a fissare delle

regole e a stabilire i limiti che non possono essere superati.

Sperimentare il valore di rispettare le norme e di sanzionare le trasgressioni che non

permettono di raggiungere gli scopi del gruppo è particolarmente utile per rivedere il modo

consueto di rapportarsi agli altri.

Se l’educatore è in grado di “contenere” adeguatamente il gruppo e le sue dinamiche

facendo in modo che esso si mantenga un valido punto di riferimento per il ragazzo, allora

ogni suo comportamento deviante diventa uno stimolo a rivedere il proprio modo di stare nel

mondo attraverso una revisione personale, evitando forme di allontanamento o di rifiuto.

Dimensione dei gruppi e obiettivi formativi

Decidere la dimensione del gruppo spetta all’educatore. E’ una decisione importante

considerando che tale caratteristica condiziona la tipologia di dinamiche interpersonali

all’interno del gruppo stesso.

Compiere errori in questa fase può annullare gli effetti positivi che la vita di gruppo può

avere per produrre i cambiamenti auspicati nella visione di sé e dell’altro.

I piccoli gruppi sono costituiti al massimo da 5 - 6 persone. In essi sono facilitati i rapporti

basati sulla confidenza e sull’intimità che possono assumere la caratteristica di rapporti uno-

a-uno.

Sebbene un rapporto di questo tipo possa suscitare sentimenti di solidarietà e pratiche di

aiuto reciproco positive in vista di una revisione della propria visione del mondo, è anche

vero che le relazioni basate sull’esclusività difficilmente portano alla costruzione di un “noi”

che favorisca una rivisitazione del proprio modo di pensare l’altro generalizzato e di

rapportarsi con esso.

I grandi gruppi sono costituiti da più di 10 partecipanti. In essi si generano quasi

automaticamente delle gerarchie interne fondate sulla distribuzione di ruoli e potere, che

tendono ad annullare la comunicazione e la conoscenza reciproca tra i partecipanti.

Questa organizzazione gerarchica tenderà a far sì che i ragazzi mantengano inalterati i

propri stili di rapporto interpersonale: i ragazzi più propensi a dominare la realtà si

proporranno come leader indifferenti all’opinione altrui, quelli più propensi a subire le

costrizioni della realtà riusciranno a mimetizzarsi facilmente e queste dinamiche sono

difficilmente controllabili dall’educatore.

Educare con l’avventura

Abbiamo cercato di delineare un percorso rieducativo considerando come valida indicazione

operativa e metodologica quella volta a moltiplicare, sia in numerosità sia in qualità, gli

incontri di ciascun ragazzo col mondo e con gli altri.

Possiamo globalmente parlare di un’educazione con l’avventura (avventura = ricerca del

nuovo, di ciò che non è ancora dato, di ciò che è straordinario (= fuori dall’ordinario)).

Educare con l’avventura significa quindi proporre delle esperienze che abbiano la

caratteristica dell’eccezionalità, cioè che provochino inizialmente un brusco cambiamento

di contesto e un disorientamento nel ragazzo per favorire la formazione della

consapevolezza circa nuovi possibili sguardi sul mondo, su sé nel mondo e sugli altri.

Spesso peraltro le esperienze legate all’avventura rispondono al bisogno di “mettersi alla

prova” di molti adolescenti.

In tutti i casi però spetta all’educatore individuare, quando esiste, la motivazione

all’avventura, oppure provocarla quando è assente, perché diventi spinta a partecipare alle

esperienze gestite dall’educatore come contesti formativi.

Proporre un’educazione con l’avventura non vuol dire non riconoscere il valore formativo

della quotidianità. Infatti l’esperienza eccezionale ha valore pedagogico solo se si inserisce

sullo sfondo del quotidiano. Solo così si evita che il quotidiano si trasformi in un ripetersi

stereotipato di azioni e reazioni e allo straordinario di non esaurirsi in pura evasione.

La funzione dell’avventura deve essere quella di provocare una momentanea rottura

degli schemi abituali di pensiero e di azione per permettere un successivo ritorno ad

essi in possesso di una prospettiva rinnovata.

In altri termini, rompere con la consuetudine non significa perdere il quotidiano, ma costruire

nuovi paradigmi per confrontarsi con esso.

La figura e il ruolo dell’educatore professionale

Essere “esperienza dell’altro”

L’educatore non è mai puro esecutore di un processo educativo e la sua presenza sul

campo diventa per il ragazzo un caso particolare di “esperienza dell’altro”.

Riconoscendo che la sua relazione col ragazzo è un luogo di formazione, diventa

indispensabile per l’educatore compiere un continuo monitoraggio sul proprio modo di porsi

di fronte al ragazzo stesso.

Le strategie pedagogiche di tipo relazionale

1) la disponibilità

Spesso i ragazzi difficili inquadrano l’adulto (qualsiasi adulto non solo l’educatore) in alcune

categorie semplificate, come quella di “imbroglione”, “debole”, ecc., che impediscono fin

dall’inizio che si aprano possibilità concrete di relazioni significative.

Si tratta di categorie che derivano dal fatto che spesso questi ragazzi non hanno avuto modo

di incontrare adulti da poter interpretare diversamente.

L’incontro con l’educatore deve trasformarsi per il ragazzo in un’occasione per sperimentare

concretamente la possibilità che l’adulto sia diverso.

L’educatore deve per prima cosa far comprendere al ragazzo l’inutilità e l’infondatezza della

sua diffidenza.

Per giungere a ciò, occorre puntare sull’attivazione di una forma di identificazione

proiettiva: l’educatore dovrà mostrare l’accettazione incondizionata del ragazzo,

comunicandogli così la sua fiducia nella possibilità di cambiamento e la sua attribuzione di

valore; il ragazzo può rispondere a questo riconoscimento positivo attraverso l’impegno a

ricostruirsi in modo conforme a questa proiezione positiva.

In questa fase iniziale, basata sull’invio di enunciati valorizzanti, si colloca il problema dei

reati e dei comportamenti antisociali commessi dal ragazzo.

Parlare di questi aspetti prima che il rapporto educatore-ragazzo si sia consolidato rischia di

provocare nel ragazzo stesso reazioni di difesa e di evitamento del rapporto.

Evitare di considerare questi aspetti può significare invece stabilire un tacito accordo

necessario perché si costituisca preliminarmente lo sfondo adeguato per affrontare

successivamente questi problemi.

Al fine di costruire un rapporto significativo, l’educatore deve proporsi come punto di

riferimento costante nella vita quotidiana del ragazzo e essere in grado di affrontare e

risolvere col ragazzo tutti i problemi e le difficoltà che si presenteranno.

A questo scopo è indispensabile che l’educatore sospenda il suo sistema di rilevanza e che

si metta dal punto di vista del ragazzo, condividendo i suoi criteri di attribuzione di

importanza alle diverse circostanze della vita.

L’educatore dovrà essere in grado di soddisfare le richieste del ragazzo.

Alcune richieste hanno un valore simbolico (ad esempio, le pretese di mangiare più del

necessario, la ricerca di modalità per apparire diversi dagli altri, ecc.) perché in modo

silenzioso veicolano richieste di attenzione e di ascolto. Altre richieste sono più dirette.

Tutte però richiedono disponibilità da parte dell’educatore che deve evitare atteggiamenti

severamente valutativi o forme di indifferenza che potrebbero essere int

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
51 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher assuntarappi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Didattica e pedagogia dell'inclusione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Palmieri Cristina.