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NARRARE
: GNARUS
Con questo termine si intendono i processi che si animano attorno alle conoscenze, la
loro assunzione come immagini interiori e il clima attorno a questo processo.
La narrazione si pone come rappresentazione di una parte della realtà e mai come
verità assoluta e rimanda all’idea ermeneutica del sapere, è conscia della personale
interpretazione di chi narra e non ricerca una logica deduttiva verità.
Il racconto tiene conto dei collegamenti e della personalità di chi sta ascoltando e
analizza e crea supposizioni e avvenimenti probabili.
Raccontare significa inventare e svelare il concetto di tempo appartenente al gruppo
culturale che si serve di quel racconto. Il racconto genera figure che divengono
paradigmi ed esempi.
Differenza di interpretazione a seconda dei vari studiosi della distinzione tra:
Fabula: insieme degli avvenimenti che compongono una narrazione, considerati
nei loro rapporti interni
Plot: trama di un romanzo, film o opera teatrale
Nel caso degli insegnanti i libri di testo sono in grado di fornire la Fabula ma sta a loro
inserirvi il plot narrativo. La narratività deve essere inserita all’interno del setting
educativo. La narrazione è punto di vista sulla cosa stessa. L’intersoggettività è sempre
praticata all’interno della narrazione, che vive in un sistema ermeneutico, quando il
pensiero pretende di esulare da queste caratteristiche finisce per cadere nel malinteso
del principio di realtà; ma noi sappiamo che essa non è regolata solamente dalle leggi
della fisica ma si alimenta anche della cultura che saltuariamente vengono scambiate
per verità. La narrazione contiene sempre la possibilità di redenzione; questo, assieme
al concetto di realtà manipolabile, rende il racconto un apparato cognitivo eversivo.
La forma narrativa è, forse, il più potente congegno di determinazione di orrizonti di
senso.
La dimensione narrativa si configura anche come dimensione etica, poiché la capacità di
inscrivere il proprio sapere e la propria coscienza autobiografica all’interno di un
orrizonte narrativo sottrae memoria e conoscenza a una concezione strumentale e le
inquadra in una cosmogonia identitaria in cui ciascuno diviene responsabile demiurgo di
sè.
Le storie che abbiamo ricevuto in dono nel nostro percorso di crescita, orientano il nostro
sguardo, costruiscono senso d’insieme, trasformano una somma di parti in un mondo.
Il vero sapere fenomenologico si presenta come antidogmatico, intersoggettivo, anti-
individualista e anti idealista; antimaterialista e antirazionalista perché simbolico; anti
tassonomico e anti cognitivista, perché estetico; recupera il dialogo mettendo in campo
ermeneutica e maieutica socratici. In questo modo l’incontro tra pedagogia ed estetica
si configura come slow Learning intendendo un aumento della qualità anziché
l’ottimizzazione degli apprendimenti. 1
[Esempio dell’adorazione dei magi di Gentile da Fabriano]. Collegandoci alla Gestalt
comprendiamo come il tutto prevalga sulla singola parte e come la percezione dipenda
dal contesto; la differenza tra figura e sfondo è puramente metodologica ed è fittizia.
Ma che fine fa l’apprensione e l’appercezione? Che senso hanno le varie parti
indistinte? Serve una storia. Poi esistono le contro storie e il pensiero divergente, ma la
differenza tra il pensiero divergente e un sociopatico spossato sta nella possibilità di
creare storie e contro storie sul proprio contesto. Affondo alla cultura tecnocentrica che
mette in secondo piano il racconto.
Memorie e Identità
Memoria è innanzitutto ricordo o facoltà del pensiero; e i materiali della memoria sono
quelli a cui attinge il pensiero creativo. Essa può diventare anche materia astratta, come
categoria o in quanto tale. Ogni inizio ha a che fare con una memoria utile o
ingombrante che sia, che non ci consente mai di partire ma sempre di ripartire; è il caso
delle testimonianze del passato che ci ha preceduto.
Uno degli aspetti più problematici della nostra epoca è la continuità o discontinuità con
la storia; si è fatta largo l’ipotesi storiografica secondo la quale gli elementi utilizzati
dagli storici per le tassonomie non sono attendibili ne utili.
Elena Pulcini (1950, filosofa), sostenitrice della continuità, smonta l’ideale liberale
dell’uomo caldo, eroico e dell’uomo tiepido incapace di individuare la propria
dimensione nel nulla. L’homo oeconomicus ha orientato le sue pulsioni verso l’acquisto
mentre l’homo democraticus non segna la fine di un soggetto narcisista che si pone al
centro del contesto storico.
1 Corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell’esperienza come un tutto unico, come
una struttura definita avente una sua forma individuale.
L’io postmoderno non è strutturalmente e semanticamente diverso da quello moderno,
se non per alcuni aspetti, assistiamo dunque ad un indebolimento dell’idea di
soggettività. L’immagine più visibile ed esibita dell’individuo postmoderno è quella di un
debole egolatrico che si fa convincere dalla propria stessa alienazione a rinunciare alla
possibile insicurezza della libertà pur di sottomettersi a una autorità che lo tuteli e che
rappresenti il Genitore, il Modello.
L’uomo postmoderno ha bisogno di educarsi a diventare soggetto libero e carico di una
responsabilità che non deriva da dogmi o gerarchie, ma dalla presa di coscienza di
vivere all’interno di una società di soggetti.
La forza nel soggetto postmoderno, per la Pulcini, sta nella consapevolezza della propria
debolezza, questo permette di utilizzare questa consapevolezza come proprio vantaggio
per trovare un equilibrio tra i soggetti interiori. Accettare la convivenza con un’alterità
interiore, imparare a dialogare con le figure dell’ombra che abitano in noi senza viverle
con l’angoscioso tratto del perturbante freudiano.
Le malattie dell’anima sono in aumento ma non solo perché un tempo non erano
conosciute, ma perché la mancanza di figure autorevoli in genere, non solo incarnate in
una persona ma anche in un’istituzione, ha fatto perdere il soggetto della nevrosi
stessa. Queste nevrosi perdono la possibilità di incarnarsi e diventano fini a se stesse e
non possono essere tradotte in un simbolo, questo provoca la solitudini e mancanze. Si
manifestano comportamenti borderline con fragilità impressionanti dell’individualità,
per gli adolescenti il domani come l’anima è vuoto. La risposta a questo potrebbe stare
nella narratività. La ferita citata prima può divenire punto di partenza per ritrovare una
nuova direzione della propria persona che sappia aspettare ascoltare e raccontare. La
storia è stata spacciata per assoluta e assodata quando, in realtà, questo compito
dovrebbe essere assolto dalla memoria che diventa vissuta ma fa perdere anche se
stessa come materia.
La memoria è un elemento fondamentale per stabilire l’identità personale. Una cultura
che non cambia necessita solo di tradizioni mentre una società in perenne reinvenzione
necessita delle immagini e della memoria del passato per essere consci del presente e
ripensare il proprio futuro [mito di Simonide che fa vincere la memoria sulla morte
salvando dall’oblio]. Il grande valore attribuito dalla nostra società alla scrittura ci fa
anche capire quanto essa sia importante; questo per quanto riguarda la memoria,
mentre il ricordo è soggettivo risulta essere l’unica chiave di accesso all’inconscio che
non è solo soggettivo ma si collega all’inconscio collettivo di Jung. Una delle possibilità è
che la società si ricordi e si fondi su elementi di memoria he esulano dalla storiografia
tradizionale.
Pedagogia, estetica ed ermeneutica della memoria.
Rimane il problema nel rapporto tra memoria e vissuto: che ruolo ha la memoria nel
momento in cui non risulta utile alla mia vita?
Piero Bertolini si interroga a proposito del nesso memoria-pedagogia, cioè come la
categoria della memoria interferisca con la nascita e la crescita di un bambino, almeno a
due livelli:
in primo luogo l’incontro del soggetto bambino con la memoria della specie
(biologica) e la memoria culturale antropologica;
il secondo aspetto riguarda l’esperienza soggettiva del nuovo nato. Esperienza
che per essere per lui significativa deve essere messa in memoria
Harald Weinrich (1927, linguista) sottolinea come i due termini memoria e oblio,
appaiono inscindibili, e forse proprio facendo dialogare l’arte di dimenticare con
l’esigenza del ricordo possiamo scoprire una via utile per la costruzione di un’autentica
memoria identitaria.
La memoria, per Bertolini, è in divenire, mai fissa e mai stabile perché si forma sulle
esperienze, un’interpretazione soggettiva delle esperienze passate.
Secondo Paul Ricoeur (1913-2005, filosofo) la genesi del rapporto fra storia e memoria è
riconducibile alla concezione platonica dell’impronta lasciata dal passato che riaffiora in
forma di esperienza emozionale di affezione.
L’organizzazione della memoria secondo i dettami dell’Aisthesis, permette di andare
oltre al problema della continuità e discontinuità ridando anima alla materia fredda. La
storia deve diventare letteratura. I materiali della memoria collettiva che si trasformano
in testo storico devono diventare ermeneuticamente significativi ed essere
comprensibili. La storia diviene così opera aperta [Umberto Eco] bisogna però prestare
attenzione e capire dove finisce il racconto e dove inizia la storia. La soluzione è
pedagogica, cioè mettere in relazione interpretativa il racconto. L’ammissione della
presenza di elementi aggiuntivi nel racconto è quello che per alcuni è visto come
negazione della verità storica per altri come garanzia contro un’errata interpretazione
astorica. Il racconto ci da la possibilità di calare il nostro io nel passato e invertire il
rapporto canonico tra storia e memoria. Il testo storico compreso diventa testo
identitaria e differenziale.
Racconti della memoria e dell’oblio
“La letteratura non è mai cosa di un soggetto singolo. Gli attori sono per lo meno tre: la
mano che scrive, la voce che parla, il dio che sorveglia e impone”.
Roberto Calasso (1941, scrittore) commenta così l’immagine dipinta sopra una coppa
attica dell’epoca della guerra del Peloponneso. Per lui, essa racchiude la scena
primordiale della letteratura, composta dai suoi elementi irriducibili.
La letteratura di cui par