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L’indirizzo metodologico seguito da Merriam e soci prendeva le mosse dalla convinzione che la
democrazia non tenesse sufficientemente conto dei comportamenti irrazionali. Gli scienziati politici
di Chicago fondarono i proprî lavori su una ridefinizione della democrazia non tanto come governo
«del popolo» quanto «per il popolo» da parte di élites illuminate. In questo quadro rientrava anche
il fondamentale obiettivo del comportamentismo: la «costruzione della cittadinanza» attraverso
l’educazione, i simboli ed i miti politici. Compito delle scienze sociali era dunque di studiare e con-
tribuire a plasmare i comportamenti dei gruppi sociali complessi nella direzione della coesione e
dell’efficienza sociale.
Prima della rivoluzione comportamentista, un grande apporto alle scienze sociali fu dato da
Small, il quale aveva studiato a Lipsia e Berlino. Egli aveva visto nell’esperienza europea un riferi-
mento culturale imprescindibile, dato che condivideva con la corrente intellettuale dei «cameralisti»
(studiosi tedeschi del XVII e XVIII secolo) l’idea della propensione dello studioso all’impegno nella
sfera sociale e politica.
A Chicago, assieme al filosofo George E. Vincent, Small pubblicò il primo libro di testo americano
di sociologia, An Introduction to the Study of Society (1894), in cui s’esaltava la funzione della sociologia
non solo come disciplina teorica d’insegnamento, ma anche come strumento per promuovere il pro-
gresso sociale.
Small prendeva le mosse da uno slittamento d’accento nella cultura politica americana dall’indi-
viduo al socius ed all’ambiente nel quale i diversi gruppi interagivano. Fondamentale riferimento fu
il filosofo George Herbert Mead. Partendo dai presupposti del pragmatismo, Mead contribuì a porre
le fondamenta per una psicologia sociale e comportamentista. Egli vedeva nell’individuo un pro-
dotto dell’interazione sociale ed intendeva «analizzare sperimentalmente quegli aspetti dell’indivi-
dualità che erano pertinenti alla sfera sociale».
Nella loro Introduction, Small e Vincent collegavano la possibilità di uno studio oggettivo della
società allo sviluppo del metodo oggettivo nelle altre scienze. Per loro, padre della sociologia era
Auguste Comte, che aveva messo in luce l’indispensabilità di essa per evitare il caos e costruire l’or-
dine sociale. Tramite gli influssi di Charles Fourier, Robert Owen ed il «socialismo sistematico» cul-
minato in Marx, il punto d’arrivo dello sviluppo del pensiero sociologico erano le tesi di Ward, an-
cora più di Spencer. Mentre per quest’ultimo la sociologia era soltanto descrittiva, per Ward era an-
che teleologica; ma anche perché l’evoluzione sociale era stata meramente ricondotta dal britannico
all’evoluzione in generale, mentre per l’americano essa era anche un «prodotto psichico», dipen-
dente cioè dall’intelligenza umana.
Gli autori presentavano due principali obiettivi delle scienze sociali: la sintesi di quanto si poteva
apprendere della società e la sua modificazione attraverso l’esercizio della volontà umana. Dopo
aver comparato la sociologia all’ingegneria, intendendo procedere ad un esame sistematico delle
strutture sociali, si soffermarono soprattutto sulla centralità dei «sistemi di regolazione»: come
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nell’azienda di era il manager coi suoi assistenti, così ogni organo o gruppo permanente aveva biso-
gno di un analogo sistema regolativo. Risultava ancora una volta evidente l’enfasi posta, sulla que-
stione del controllo sociale, declinata in chiave elitistica.
A questo punto l’opera arrivava ad un punto cruciale per il metodo poi adottato dalla scuola di
Chicago: la «psicologia sociale», ovvero lo studio di fenomeni risultanti da cognizioni, emozioni e
volizioni d’individui associati. Per la vita sociale era indispensabile la combinazioni delle volizioni
dei singoli individui, il cui prodotto sociale era diverso dalla volizione di ognuno di loro presa sin-
golarmente. Per questo era necessaria una «super-psicologia» che si occupasse della formazione
della conoscenza, dei sentimenti, delle volontà sociali e dei loro effetti sugli individui. Ma ciò non
era sufficiente, se non si prendevano in considerazione i fattori «inconsci»: la «ragione collettiva»
non poteva evitarli in presenza di condizioni sociali complesse che altrimenti avrebbero prodotto
anarchia. Stava pertanto muovendo i suoi primi passi una «ultra-psicologia», indispensabile per
ampî aspetti dell’attività sociale.
L’esito dello studio della società era di rendere consapevoli le possibilità del «controllo umano»
nella realizzazione e nella conservazione del benessere sociale.
In General Sociology (1905), Small s’impegnò a mostrare come fosse più adatta al contesto sociale
americano la nozione di «gruppi d’interesse», tratta dalla tesi del filosofo austriaco Gustav Ratzen-
hofer. Su quelle basi sarebbe stato concepito The Process of Government (1908) dell’allievo di Small
Arthur F. Bentley. L’idea di fondo era che la interest group theory potesse rappresentare la migliore
alternativa ad un’analisi di classe di tipo marxista: il motore della storia risiedeva nel conflitto tra i
gruppi d’interesse.
Compiti degli scienziati sociali, secondo Small, era di risolvere gli aspetti conflittuali nei rapporti
tra i gruppi sociali organizzati e di realizzare un’armonizzazione dei diversi interessi. In tale contesto
egli evidenziava la distinzione tra la prospettiva europea ed americana dello Stato: sul Vecchio con-
tinente era stato concepito in modo «mistico»; negli Stati Uniti invece esso aveva le potenzialità per
rivelarsi l’insieme delle procedure di governo messe in atto dai suoi funzionari nel rapporto diretto
con i cittadini.
Cruciale era inoltre il concetto di «funzione». Small sembrava riprendere la parabola di Saint-
Simon sui membri veramente indispensabili alla società: l’America avrebbe cessato d’essere se stessa
se le persone maggiormente «specializzate» avessero «smesso all’improvviso di fare la propria
parte». La società statunitense avrebbe così perso la propria armonia, finendo in balia della confu-
sione.
La società doveva essere considerata come un tutto composto di parti che operavano assieme per
raggiungere dei risultati. Small riprendeva le tesi del sociologo tedesco Albert Schäffle, che aveva
posto al centro della propria concezione della società l’idea di essa come «organizzazione per il la-
voro». Un passaggio ulteriore era stato quello compiuto da Ratzenhofer, che consisteva nel focaliz-
zare l’attenzione sull’associazione umana nelle sue diverse forme e con i loro differenti propositi.
Si trattava in altre parole di un’evoluzione da uno stadio di «lotta» ad uno di «cooperazione». Il
tipo di vita che la civilizzazione aveva sviluppato richiedeva persone dotate della più intensa capa-
cità di cooperazione.
Differenziazione e interdipendenza nell’organizzazione sociale facevano sì che ogni elemento
della popolazione svolgesse al meglio «il proprio compito all’interno del sistema complessivo»,
schema che ricopriva quello illustrato da Platone nella Repubblica. Nella visione di Small il funziona-
mento corretto di tale cooperazione necessitava di una funzione coordinativa al di sopra di esso.
Nella General Sociology, Small tornava poi alla centralità riconosciuta della psicologia. La sociolo-
gia aveva due casi generali da prendere in considerazione da un punto di vista psicologico: quello
delle valutazioni di massa adottate dagli individui e quello delle valutazioni individuali comunicate
alle masse. La sociologia realizzava una stretta connessione con il fine che dava senso alle attività
sociali.
Le scienze sociali avevano il compito di far emergere «il significato dell’esperienza umana». Con
queste basi, Small concepì due importanti lavori storici, dedicati rispettivamente ad Adam Smith ed
ai cameralisti. Nel primo, Adam Smith and Modern Sociology (1907), Small riconosceva nell’opera di
Smith The Wealth of Nations non solo un lavoro incentrato sull’economia politica, ma anche un’inda-
gine di carattere sociologico, in quanto le attività economiche erano state valorizzate per le loro rica-
dute sul piano dei consumi e del benessere.
Convergeva con questa «riabilitazione sociologica» di Smith lo studio dei cameralisti tedeschi,
cui Small dedicò The Cameralists. The Pioneers of German Social Polity (1909). Il problema scientifico
centrale per i cameralisti era costituito dalle «esigenze fiscali del principe» e dal benessere dello Stato.
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A differenza di Smith, essi non avevano avuto ambizioni filosofiche, bensì era stati «amministratori
teorici e pratici». I loro lavori contenevano in embrione tutto ciò che costituiva i fondamenti del si-
stema statale tedesco. Il cameralismo dimostrava le potenzialità del «management dell’intera società»
attraverso un sistema statale organizzato e correlato, un modello certamente da riprendere.
Questo carattere «costruttivo» era un tratto essenziale della scienza sociale. Nel volume The Mea-
ning of Social Science (1910) Small spiegava infine come alla «valutazione», a cui giungeva la scienza
sociale dopo esser passata attraverso la fase «descrittiva» e quella «analitica», fosse strettamente con-
nessa la «costruzione». In altre parole, un «processo scientifico» non era realmente completo se non
giungeva alla «prova dell’esperimento». Per questo motivo alla sociologia non bisognava solo attri-
buire uno scopo meramente pedagogico.
2. Merriam: democrazia, pianificazione e civic training
Charles Merriam prestò grande attenzione alla storia del pensiero politico e delle dottrine politi-
che. Agli inizî della sua carriera accademica, egli pubblicò History of the Theory of Sovereignity since
Rousseau (1900). Punto di partenza era la Politica di Aristotele, per arrivare, attraverso Bodin, Al-
thusius, Grozio, Hobbes e Kant, alle teorie ottocentesche della sovranità popolare e statale. Il contesto
tedesco successivo alla Rivoluzione francese si era rivelato decisivo, in quanto in Germani, di fronte
agli eccessi rivoluzionarî, la teoria del potere popolare era risultata inaccettabile, anche se sul ver-
sante opposto l’idea del governo personale era apparsa ormai del tutto insostenibile. La realtà degli
Stati tedeschi aveva reso necessaria una soluzione costituz