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Secondo il pensiero junghiano, dunque, nella coscienza si possono distinguere 4 funzioni:
• Sensazione: che ha il fine di registrare i fattori sia interni che esterni che
tramite l’attività sensoriale arrivano alla coscienza.
• Pensiero: da un ordine logico alle cose;
• Sentimento: determina le gerarchie dei valori e ci permette di avere info utili
sul valore soggettivo delle esperienze vissute attraverso i toni affettivi.
• Intuizione: ci consente di individuare i valori contenuti in ciò che è presente
procedendo non attraverso la percezione, ma bensì l’inconscio.
Tali funzioni consentono all’io cosciente di avere un orientamento nel mondo
fenomenico, avendo una loro esistenza indipendente, spesso non sottoposte al
controllo della volontà.
Il simbolo
Il concetto di simbolo va distinto dal concetto di segno. Significato simbolico e significato
semeiotico sono cose completamente diverse.
Il simbolo indica un significato sconosciuto o che consentirà alla coscienza di costruire
significati parziali.
Il simbolo esercita una forza di attrazione sulla coscienza e questa energia che possiede,
gli deriva dal conflitto tra coscienza e inconscio, tensione che trova nel simbolo il suo
momento di espressione. Il simbolo rappresenta dunque la più alta espressione del potere
creativo dell’inconscio, cioè la capacità che questo ha nella sua attività di compensazione,
di produrre nuovi orizzonti di senso e nuove prospettive di sviluppo della personalità.
Il simbolo è l’accadere di qualcosa di nuovo nel soggetto è messaggero di un’imminente
trasformazione in cui una vecchia visione del mondo trascina nel suo crollo tutto un
sistema di concezioni per lasciare spazio ad una visione delle cose del tutto nuova e
impensata.
L’evento simbolico non si manifesta e non agisce se la coscienza non si dispone a
lasciarsi investire dal suo potere trasformatore. Il simbolo è vivo soltanto finché è pregno di
significato, ma quando ha dato alla luce il suo significato il simbolo muore.
La terapia junghiana invita il paziente a vivere i simboli, cioè ad attendere che con il
passare del tempo e lo svolgersi degli eventi, l’adeguata comprensione dei significati si
realizzi, ovvero comprendere emotivamente e intuitivamente (più che comprendere
razionalmente e logicamente). Tale comprendere si produce grazie ad un atteggiamento
simbolico della coscienza che si mantiene aperta al fluire delle immagini inconsce, senza
bloccarle, ma lasciandole essere, nell’attesa che il loro significato si riveli col passare del
tempo.
Il simbolo in qualche modo può essere definito un archetipo: per Jung infatti l’archetipo
deve essere inteso come la tendenza a formare rappresentazioni multiformi di uno stesso
motivo, ma, nella sua sostanza esso rimane qualcosa di sconosciuto, una forma
fondamentale di per sé irrappresentabile, che tuttavia produce effetti, cioè
rappresentazioni archetipe che assumono per il soggetto un valore numinoso e hanno
quindi un forte impatto emotivo disorientante. Il fatto che questo genere di
rappresentazione si verifichi soprattutto nei momenti di crisi, rende conto dell’affinità del
concetto di archetipo a quello di simbolo.
Il Sé e il processo d’individuazione.
Il Sé è l’archetipo per eccellenza, ma è quell’istanza che, in ogni soggetto orienta il
processo psichico verso la realizzazione più ampia e completa della sua specificità e
potenzialità individuale.
Rappresenta l’invisibile, l’inconscio e intimo centro della personalità, ma anche
l’estensione che comprende la coscienza e l’inconscio; è il punto centrale di questa totalità
psichica, come l’Io è il centro della coscienza.
Il concetto di Sé non può essere separato da quello del processo d’individuazione,
processo che conduce verso l’unificazione delle varie istanze della personalità.
Rappresenta per Jung la meta ideale e la causa finale di tale processo. Il Sé si rivela infatti
come una possibilità innata che si sviluppa in maniera relativamente completa, durante
l’intera esistenza e fino a che punto l’individuo possa svilupparsi psichicamente, dipende
da quanto l’Io sia disponibile a seguire gli orientamenti e le correzioni provenienti dal Sé. Il
processo di individuazione diventa effettivo quando l’individuo ne diviene consapevole;
senza il soggetto che riesce a renderlo reale il processo resta solo una possibilità.
L’unificazione dei due opposti, coscienza e inconscio, mediante l’instaurarsi della funzione
trascendente rappresenta il momento centrale in cui si realizza il Sé. L’archetipo del Sé si
presenta, dunque, come l’istanza di totalità di personalità, in quanto il processo
d’individuazione mira ad eliminare qualsiasi ostacolo al dialogo fra conscio e inconscio. Il
Sé è dunque inconscio ma può manifestarsi attraverso la comparsa di immagini
archetipiche, cioè simboliche, nei sogni o nelle fantasie.
L’archetipo del Sé deve essere inteso anche come massima espressione dell’unicità
individuale, ogni individuo secondo Jung si trova posto davanti ad un compito di
autorealizzazione che presenta caratteri di unicità.
L’identità che noi costruiamo per la vita collettiva è chiamata da Jung Persona, maschera,
alla quale finiamo per aderire identificandoci con i nostri ruoli sociali.
Dall’altro lato vi sono aspetti della personalità che vogliamo occultare agli altri e che
costituiscono quindi la nostra Ombra. L’immagine dell’’ombra appare connessa alla figura
del “doppio”, ovvero il riflesso demoniaco del soggetto, l’altra identità irriducibile e
contrapposta a quella che il soggetto vive come Persona, una presenza inquietante che lo
osserva dall’oscurità.
Questo aspetto infernale spiega il fatto che all’azione del Doppio e quindi all’immagine
dell’ombra venga spesso ricondotto il conflitto morale. Si parla di Ombra quando sono in
gioco inclinazioni e pulsioni che il soggetto non può riconoscere come proprie, perché
sono incompatibili con l’idea che ha di sé. D’altra parte la dimensione dell’Ombra sembra
spesso coincidere con quella dell’inconscio.
Il processo di individuazione è fatto di momenti essenziali in cui perdiamo la maschera per
tornare ad attingere alla nostra creatività personale, sono gli eventi simbolici che ci
smascherano.
Nella complessità appare comprensibile il compito dell’Io, che è soprattutto quello di
tenere in relazione le diverse soggettività che costituiscono la psiche individuale.
Sincronicità.
Tale principio si basa sulle coincidenze e Jung lo introduce in opposizione al concetto
occidentale di occasionalità. Per Jung è particolarmente importante la coincidenza degli
eventi nello spazio e nel tempo scorgendovi qualcosa di più che il solo caso e cioè una
peculiare interdipendenza degli eventi oggettivi tra loro.
Secondo Jung la sincronicità presuppone un senso a priori in rapporto con la coscienza
umana. La sincronicità va a formare con la causalità una coppia di opposti come lo spazio
col tempo. La casualità è solo un principio e la psicologica non può venire esaurita
soltanto con metodi casuali, perché lo spirito vive ugualmente di fini. Jung formulò il
concetto di sincronicità definendolo un processo inconscio che permette di percepire
eventi paralleli collegati ad archetipi dell’inconscio collettivo.
Erich Neumann – 1905(Berlino)/1960
Si può considerare come un neo-junghiano e partendo anche lui dal contatto con il
paziente approfondisce gli studi sull’inconscio collettivo.
La sua ricerca si sviluppa sulla coscienza ed il lavoro approfondimento che lui fa, arriva a
sostenere un’interpretazione genetica sulla coscienza di ciascun individuo.
Neumann vedi il femminile con due caratteri:
• Uno elementare che tende a mantenere a sé tutto ciò che crea;
• Uno evolutivo che ostacolando la conservazione va verso l’evoluzione, la
trasformazione.
Quindi l’essere umano deve far valere la propria creatività in un percorso rivolto al
cambiamento.
Neuman studia a fondo le mitologie, le fasi storiche mettendole in parallelo allo sviluppo
dell’individuo; secondo lui ognuno di noi porta in sé un’eredità complessa che si situa nella
psiche e che necessita l’integrazione del passato collettivo.
Arriva ad affermare che i valori collettivi e filogenetici sono fondamentali nello sviluppo
dell’individualità.
L’archetipo diviene visibile attraverso le sue manifestazioni nella psiche di ognuno di noi,
arrivando ad agire in modo energico nella stessa psiche; l’archetipo appare così come un
organo fisico che provvede a sostenere e presiedere alla maturazione della personalità
d’ogni essere umano.
Gli stadi dello sviluppo psicologico.
Sviluppo maschile.
• Primo stadio: STADIO UROBORICO. L’Io è contenuto nell’inconscio e risulta
totalmente indifferenziato; il simbolo è il cerchio, che sta a rappresentare l’uovo
cosmico dove tutto appare contenuto e niente ha la forza di nascere se non viene
in aiuto la luce o la coscienza.
È la dimensione inconscia che rappresenta l’aspetto materno e da tale condizione
emerge con grande sforzo un Io embrionale, fragile dipendente dalla Grande Madre
• Secondo stadio: GRANDE MADRE. La dea che decide della vita o della morta o
che determina uno sviluppo positivo o negativo; l’Io deve riuscire a formarsi una
forte coscienza di Sé per poter affrontare il confronto con l’archetipo della Grande
madre al fine di poter scindere lo stato originario di indifferenziazione e formando le
coppie di opposti.
• Terzo stadio: STADIO PATRIARCALE (o dell’eroe.) caratterizzato dalla lotta
estenuante col drago che impersonfica il potere negativo della Madre terribile,
corrisponde all’evento della pubertà dove l’Io va fortificandosi riuscendo a trasferire
la libido sul mondo esterno. Il giovane si riconosce nel figlio del padre che si
contrappone alla madre.
Storicamente tale periodo si lega alla nascita della società degli uomini e
all’avvento della fase patriarcale; si collega alle problematiche tipiche
dell’adolescenza, qui si assiste ad un contrasto il mondo familiare (rassicurante) e il
mondo esterno.
• Quarto stadio: STADIO DELLA TRASFORMAZIONE. Si caratterizza per la lotta
con il drago paterno e