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L’INTELLIGENZA NON È UN’ABILITÀ COGNITIVA INNATA:
La terza concezione di senso comune vede l’intelligenza determinata, sostanzialmente, dal patrimonio
genetico.
La visione alternativa era alimentata dalla ricerca educativa che documentava come le abilità mentali
potessero essere insegnate.
L’INTELLIGENZA NON È UN’ABILITÀ COGNITIVA STATICA:
La quarta concezione dell’intelligenza di senso comune porta a considerarla un’abilità statica, misurabile
attraverso le risposte che gli individui danno ai problemi: un prodotto quindi.
Da più di due decenni tuttavia, la ricerca educativa ha indicato che si può rilevare più realisticamente l’abilità
intellettiva di un individuo mediante un accertamento dinamico.
Un forte riconoscimento dell’importanza della valutazione del potenziale di apprendimento è venuto dalla
concettualizzazione del rapporto tra apprendimento e intelligenza di Campione e Brown che si rifà a una
visione dell’intelligenza come capacità di apprendimento.
Gli studiosi, che hanno svolto un’ampia ricerca coinvolgendo soggetti con ritardo mentale educabile per
individuare in che cosa differissero, in termini di processi cognitivi, dai coetanei dallo sviluppo tipico e come
potessero essere aiutati, hanno sostenuto che una teoria dell’intelligenza non deve rendere conto solo delle
abilità richieste per fornire una buona prestazione ai test, ma anche specificare le modalità con cui gli
individui si differenziano tra loro.
In particolare hanno distinto due aree in cui situare le differenze individuali:
1) il funzionamento dell’hardware, ovvero l’architettura di sistema con i magazzini di memoria, caratterizzata
da capacità, definibile come quantità di spazio utilizzabile per l’archiviazione delle informazioni; durata, data
dal tempo di permanenza delle informazioni nelle varie strutture del sistema; efficienza manifestata nella
velocità di codifica delle informazioni
2) la base di conoscenza (software) che si acquisisce, mutevole nel tempo sia in termini quantitativi (numero
di informazioni),sia in termini qualitativi (tipo di informazioni). A questo riguardo è stata fatta la classica
distinzione tra base di conoscenza (le strutture di rappresentazione dei dati) e processi di controllo messi in
atto per svolgere le attività cognitive (comprensione, memorizzazione ecc.).
La prestazione in un compito complesso è pertanto determinata dalle caratteristiche del sistema di
architettura, dalla quantità e qualità della conoscenza e dei processi di controllo, così come dall’interazione
di questi aspetti.
Ciò che manca ai bambini con ritardo mentale non è tanto la disponibilità dei componenti di una determinata
attività cognitiva, quanto l’abilità di individuare quali componenti mettere in atto e in che ordine.
La procedura utilizzata per valutare il potenziale di bambini con lieve ritardo o disabilità è stata la seguente:
- Venivano prima misurate le loro abilità in un settore specifico
- Erano poi messi in una situazione di apprendimento in cui interagivano con un adulto(ma anche con un
computer) fino al punto in cui si dimostravano in grado di svolgere un determinato compito in modo
autonomo. In caso di difficoltà venivano dati aiuti e suggerimenti sempre più specifici finchè le risposte
coincidevano con quella corretta.
In questo modo poteva essere stimata la quantità minima di aiuto necessaria al soggetto prima di
raggiungere il criterio stabilito. L’interesse degli studiosi riguardava non tanto l’entità del miglioramento che si
raggiungeva tramite l’intervento dell’adulto, ma la quantità di aiuto necessario a ottenere un dato livello di
apprendimento.
IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA SULL’INTELLIGENZA ALLA RICERCA SUI PROCESSI DI
INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO:
Se la ricerca sull’apprendimento in contesti educativi ha portato a rivedere via via il concetto di intelligenza,
gli studi sull’abilità mentale, a loro volta, hanno portato a comprendere che le differenze individuali di tipo
intellettivo pongono delle esigenze ai processi di istruzione.
È stato il settore di studi Aptidute x Treatment Interaction (ATI) a evidenziare l’importanza di una reciprocità
tra individuo e situazione di apprendimento, tanto che un determinato metodo di insegnamento può far
apprendere di più gli studenti che possiedono alta abilità intellettiva in un dominio e un diverso metodo
invece, può far apprendere di più quelli con bassa abilità.
Il termine “attitudine” ha un significato di adattamento e implica modificabilità.
Molti studiosi di scienze sociali iniziarono a concepire l’attitudine in termini di determinazione biologica,
facendola diventare sinonimo di intelligenza e abilità mentale.
La concezione innatista dell’attitudine e dell’intelligenza verrà poi superata in favore di una visione che vede
l’abilità intellettiva incrementabile, almeno in qualche misura, attraverso l’istruzione.
A scuola l’interazione tra attitudine e trattamento può manifestarsi in forme diverse, riconducibili
essenzialmente a tre:
1) Individualizzazione dell’insegnamento (o organizzazione di gruppi per livelli di abilità): l’interpretazione più
immediata dell’ATI porta a ritenere che diversi metodi di istruzione debbano essere utilizzati per diversi tipi di
studenti. Un rischio in questo tipo di interpretazione è quello di credere che il trattamento da riservare ai
meno abili debba essere inferiore, per qualità, a quello rivolto ai più abili.
2) Adozione di più metodi per tutti gli studenti in modo tale che ognuno possa apprendere trovandosi in
sintonia con quello a lui più adatto. Una limitazione evidente di questo approccio consiste nella perdita di
tempo educativo in quanto in ogni momento l’insegnante usa un metodo non adatto ad un certo gruppo di
studenti
3) Realizzazione di training particolari per gli allievi con basse abilità intellettive, i quali devono essere portati
allo stessi livello degli altri per poter poi beneficiare del medesimo metodo di insegnamento.
MODELLI RECENTI DELL’INTELLIGENZA:
I modelli più recenti dell’intelligenza sono assai diversi tra loro.
IL MODELLO DELL’EFFICIENZA NEURALE:
Molti teorici contemporanei sostengono che il “cuore” dell’intelligenza sia il cervello; quindi sono le basi
neurofisiologiche dell’abilità mentale che vanno individuate per comprendere e misurare in maniera
appropriata il comportamento intelligente. La premessa alla base del modello dell’efficienza neurale è che gli
individui molto intelligenti possiedano cervelli che operano molto più velocemente e accuratamente di quelli
degli individui meno intelligenti.
Due studiosi (Hendrickson) ipotizzarono che gli individui con basso quoziente intellettivo avrebbero
manifestato una variabilità considerevole dell’attività elettrica cerebrale a causa di errori nella trasmissione
delle informazioni attraverso la corteccia del loro cervello; al contrario, in assenza di errori di questo tipo, gli
individui con alto quoziente intellettivo avrebbero manifestato scarsa variabilità nella loro attività elettrica
corticale.
Tale ipotesi di efficienza cerebrale, portò a rilevare un’alta correlazione tra l’attività elettrica del cervello e il
quoziente intellettivo dei soggetti. È stato anche evidenziato che i cervelli intelligenti ed efficienti sono
flessibili nelle risposte agli stimoli: attivano più neuroni per elaborare quelli nuovi e inaspettati, ma meno
neuroni per elaborare stimoli familiari o attesi.
Ulteriore sostegno al modello di efficienza neurale proviene dagli studi che misurano il tasso di metabolismo
del glucosio cerebrale tramite la PET (tomografia ad emissione di positroni) mentre i soggetti svolgono una
serie di compiti. La metabolizzazione del glucosio compensa il consumo di energia durante l’attività mentale.
È stato rilevato che gli individui che ottengono alti livelli di Q.I hanno cervelli che spendono meno energia e
di conseguenza consumano meno glucosio, rispetto ai cervelli di coloro che hanno bassi Q.I.
MODELLI GERARCHICI:
L’assunzione di base sottostante ai modelli psicometrici attuali inclusi quelli gerarchici, è che la struttura
dell’intelligenza possa essere scoperta analizzando le intercorrelazioni dei punteggi in vari test mentali.
Nello specifico i modelli gerarchici possono essere compresi alla luce delle teorie di Spearman e Thurstone.
Il primo aveva individuato un unico fattore (g) legato alla prestazione in tutti i tipi di test mentali, mentre il
secondo aveva identificato sette fattori indipendenti, o abilità mentali primarie.
I modelli psicometrici attuali propongono una struttura gerarchica dell’intelligenza: uno o due fattori generali
rappresentano la sommità della gerarchia, mentre altri fattori più specifici si trovano ai livelli inferiori.
Più precisamente quando due fattori di prim’ordine sono correlati tra loro, un fattore di second’ordine viene
costruito per spiegare le loro intercorrelazioni; allo stesso modo fattori di terz’ordine vengono evidenziati
quando si deve rendere conto delle intercorrelazioni tra fattori di second’ordine e così via.
Il modello gerarchico a due strati dell’intelligenza fluida (gf) e cristallizzata (gc) appare particolarmente utile a
spiegare lo sviluppo dall’infanzia all’età adulta. I fattori gf e gc rappresentano il livello più alto di
funzionamento cognitivo.
- Il fattore gf: riguarda le abilità di percepire relazioni tra pattern di stimoli, comprenderne le implicazioni;
dipende dal funzionamento efficiente del sistema nervoso centrale più che dall’esperienza precedente e dal
contesto culturale.
I test standardizzati misurano questo tipo di intelligenza mediante analogie, il completamento di serie e altri
compiti che implicano il ragionamento.
- Il fattore gc, invece, che dipende soprattutto dall’esperienza e dall’istruzione avuta in un determinato
contesto culturale, riguarda l’insieme di abilità e conoscenze che gli individui acquisiscono nel corso di tutta
la loro vita. Comprende l’abilità di comprensione verbale.
I test misurano il fattore gc attraverso il vocabolario, la conoscenza generale e le domande di comprensione
verbale.
Il livello successivo di elaborazione delle informazioni, quello dell’organizzazione percettiva, comprende la
velocità di elaborazione, di visualizzazione delle informazioni e di elaborazione delle informazioni uditive. Il
terzo livello, quello dell’el