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I SISTEMI PERCETTIVI SEPARATI DELLA VISIONE E LA LORO GERARCHIA TEMPORALE:
il fatto che i diversi attributi della scena visiva siano elaborati separatamente non costituisce di per sé una
prova che siano anche percepiti separatamente. Fisiologi della visione e psicologi hanno supposto che nel
cervello abbia luogo un qualche tipo di integrazione, grazie alla quale i risultati delle operazioni eseguite dai
diversi sistemi di elaborazione visiva vengono riuniti insieme, per darci un’immagine unificata del mondo che
vediamo, in cui tutti gli attributi sono percepiti simultaneamente.
I fisiologi della visione cercano ora di comprendere in che modo i risultati dei diversi sistemi di elaborazione
concorrano a produrre quell’integrazione che aveva impedito loro di considerare la complessità del compito
assolto dal cervello per fornire prima di tutto l’immagine visiva.
Sono possibili varie soluzioni, per esempio:
a) i sistemi di elaborazione diversificata “comunicano” i risultati delle loro operazioni a una o più aree
sovrane e queste ci forniscono l’immagine visiva integrata, in cui tutti gli attributi si collocano al posto giusto
e vengono visti in una registrazione spaziotemporale precisa.
Tuttavia non c’è alcuna prova che esista un’area sovrana cui siano connesse tutte le singole aree
specializzate.
b) si ipotizza un meccanismo di interazione tra le diverse aree visive che svolgono ciascuna la propria
funzione specializzata e che in effetti sono fortemente connesse tra loro, ma nessuno sa in che modo queste
connessioni anatomiche portino all’integrazione.
Tutti gli attributi della scena visiva che vengono elaborati dalle differenti aree, sono convogliati in una
registrazione sincronizzata, come la maggior parte di noi ha creduto con facilità perfino eccessiva?
Se osserviamo i segnali in un intervallo temporale molto breve, troveremo l’integrazione di cui abbiamo
ipotizzato l’esistenza?
Esperimenti recenti che hanno misurati i tempi relativi occorrenti per percepire il colore, la forma e il
movimento mostrano che questi tre attributi non vengono percepiti insieme: in ordine vengono percepiti
prima il colore, poi la forma e poi il movimento e l’intervallo tra la percezione del colore e quella del
movimento è di circa 60 – 80 millisecondi.
Questo suggerisce che gli stessi sistemi percettivi sono caratterizzati da specializzazione funzionale e che
nella visione sussiste una gerarchia temporale, sovrapposta ai sistemi di elaborazione parallela distribuiti
nello spazio.
Ne deriva che quando due attributi di un medesimo oggetto cambiano in un periodo di tempo molto breve, il
cervello registra prima il cambiamento di uno e poi quello dell’altro.
In generale sembra quindi che il cervello non sia capace, entro intervalli temporali molto brevi, di collegare
ciò che accade in tempo reale; esso collega infatti i risultati dei suoi sistemi di elaborazione e questo
comporta appunto errori di collegamento in tempo reale.
Quindi differenti sistemi di elaborazione hanno tempi differenti per assolvere il loro compito. Questo
suggerisce che i sistemi di elaborazione siano anche sistemi percettivi, il che ci permette di pensare a una
serie di sistemi paralleli di percezione ed elaborazione.
Per definizione, la percezione è un evento conscio: noi percepiamo ciò di cui abbiamo coscienza mentre non
percepiamo ciò di cui siamo inconsapevoli. Dal momento che percepiamo due attributi, per esempio colore e
movimento, in istanti separati, ne consegue che non solo ci sono consapevolezze separate, ognuna relativa
all’attività di uno dei sistemi di elaborazione – percezione indipendenti, ma che queste distinte
consapevolezze non sono nemmeno sincronizzate tra loro.
Ne derivano due conclusioni importanti:
a) non sono le differenti attività dei diversi sistemi percettivo – elaborativi che devono essere unificate per
darci una percezione cosciente della scena, ma è piuttosto la microcoscienza generata dall’attività dei diversi
sistemi percettivo – elaborativi che deve essere collegata per darci una percezione unitaria.
b) i vari sistemi percettivo – elaborativi, pur interagendo tra di loro, sono caratterizzati da un considerevole
grado di autonomia.
Si conferma l’ipotesi di una relativa autonomia dei diversi sistemi percettivi e dell’assenza di un’area
sovrana destinata all’integrazione e ricomposizione dell’immagine.
CAPITOLO 8: VEDERE E CAPIRE:
I neurologi più moderni sono giunti a conclusioni riguardo l’organizzazione generale del cervello visivo, che
richiamano le speculazioni di Kant. Kant aveva avanzato l’idea che la conoscenza avesse la propria fonte in
due facoltà specifiche: - quella passiva della sensibilità, che recepisce i dati sensoriali grezzi;
- quella attiva dell’intelletto, che imprime un senso ai dati sensoriali grezzi.
I pittori non sanno nulla di teorie neurologiche, né se ne curano, ma c’è un aspetto in cui le idee di artisti e
critici sono in sintonia con quelle di un neurologo della vecchia guardia: la distinzione tra il “dipingere con gli
occhi” e il “dipingere con il cervello”.
Il “dipingere con gli occhi” rappresenterebbe un processo più o meno passivo, mentre il “dipingere con il
cervello” sarebbe un processo attivo, che coinvolge sia l’intelletto che la comprensione.
L’impressionismo è un esempio di pittura con gli occhi, perché nell’idea che ogni impressione visiva fosse
degna di essere conservata, esso cercò di fissare gli aspetti più effimeri del mondo esterno.
Il cubismo è invece un esempio di pittura con il cervello, perché non si accontentò della presenza
occasionale di un’unica impressione visiva ma rappresentò gli oggetti nella forma che essi assumono
quando si trasformano in sedimenti di memoria.
Ciascuna area visiva riceve e trasmette segnali, quindi non esiste nel cervello un’area sovrana, superiore.
Siamo quindi indotti ad attribuire una certa autonomia a queste aree visive sia quando vedono sia quando
comprendono un attributo o una qualità specifica del mondo visibile.
Una caratteristica molto importante della visione consiste nella capacità del cervello di confrontare più
elementi della scena visiva, in base alla dimensione oppure alla posizione, al colore, alla distanza, al
movimento.
È quasi certo che né l’area V1 né le aree ad essa adiacenti hanno questa capacità di confronto.
Tuttavia ciascun sistema di elaborazione specializzato presente nel cervello visivo consiste di più stazioni, e
in ognuna di queste i segnali vengono elaborati a un certo livello di complessità.
Una lesione a un certo livello di queste vie può lasciare intatti i livelli antecedenti, e i soggetti con lesioni di
questo tipo sono in grado di vedere e distinguere nella misura consentita loro dall’attività delle parti non
danneggiate.
Un paziente colpito da una lesione generalizzata di V1, che costituisce la “via regia” al cervello visivo, è
affetto di solito da cecità totale. La maggior parte di questi pazienti non sono in grado di vedere né di
comprendere alcunchè di ciò che vedono perché è V1 ad alimentare le aree visive con segnali specializzati.
Quando invece la lesione coinvolge un’area specifica della corteccia visiva esterna a V1 ne consegue una
mancanza di percezione selettiva: un’incapacità di vedere e comprendere un particolare attributo o aspetto
del mondo visivo.
Si avanza l’ipotesi che la visione consiste in molti eventi microcoscienti, ciascuno connesso all’attività di una
data stazione di un sistema di elaborazione.
Un’esperienza conscia non dipende da uno stadio finale, proprio perché non esiste uno stadio finale nella
corteccia.
Zeki avanza l’ipotesi che nel cervello visivo siano attivi diversi centri per il riconoscimento di varie categorie
di oggetti, oppure dello stesso oggetto in contesti differenti. Questa idea è confermata dal fatto che pazienti
anosognosici non sono in grado di riconoscere oggetti fermi ma possono riconoscerli quando questi sono in
movimento.
Le prove ricavate dalla patologia ci mostrano non solo che i pazienti con lesioni specifiche in aree corticali
esterne a V1 non perdono completamente la capacità di comprendere ciò che vedono, ma anche che il loro
deficit può essere descritto nel modo più adeguato come un’incapacità specifica di vedere o comprendere
alcuni attributi visivi ma non altri. Ciò che essi vedono e comprendono è in relazione diretta alle capacità
fisiologiche della parte rimasta integra del sistema specializzato per il trattamento di quella sottomodalità.
CAPITOLO 9: MODULARITÀ DELL’ESTETICA VISIVA:
La specializzazione funzionale della corteccia visiva è una strategia che il cervello mette in atto per estrarre
le caratteristiche costanti ed essenziali di oggetti e superfici.
Si avanza l’idea che il ruolo primario nell’arte lo svolgono proprio quegli attributi della visione: colore, forma,
movimento, volti, espressioni facciali, linguaggio del corpo, alla cui elaborazione il cervello ha preposto una
serie di sistemi specializzati.
LA PATOLOGIA DELL’ESPERIENZA ESTETICA NE RIVELA LA MODULARITÀ:
Consideriamo che una lesione in V4 determina nell’uomo una sindrome detta acromatopsia cerebrale, per
cui il paziente non è più in grado di vedere il mondo a colori ma lo descrive in termini di varie sfumature di
grigio scuro.
Un paziente affetto da acromatopsia non sarebbe quindi in grado di apprezzare la suprema espressività
cromatica di alcuni dipinti. Il colore è intimamente legato alla forma e, per un artista, “ogni alterazione della
forma è accompagnata da una variazione del colore, e ogni variazione del colore fa nascere una forma”.
Stupisce allora che l’analisi dei disegni di soggetti acromatopsici riveli una visione della forma che non
sembra disturbata.
Un esempio è dato dal paziente di Oliver Sacks che insieme alla percezione del colore aveva perso la
possibilità di fare esperienza dell’emergere di nuove forme a partire da lievi variazioni cromatiche.
I colori non esistono nel mondo esterno ma sono una costruzione del cervello. È probabile che la capacità e
predisposizione a stimolare una sensazione cromatica risieda nell’area V4.
Una lesione in V4 spesso impedisce non solo di percepire i colori, ma anche di immaginarne l’aspetto.
Con il suo disturbo specifico della percezione cromatica e la conseguente incapacità anche solo di
immaginare i colori, l’acromatopsia sembrerebbe suggerire che una tale rappresentazione non esiste,
La lesione che produce l&