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5. LA CULTURA COME COSTRUZIONE SOCIALE

Il costruzionismo socio culturale prende le sue mosse dal COSTRUTTIVISMO che intende la

cultura come prodotto dell’attività dell’azione umana che media tra sé e l’ambiente in cui è inserito.

La nozione di “oggetto naturale” andrebbe sostituita con “oggetto culturalmente mediato e

costruito” e si sentono gli influssi della teoria del relativismo culturale di Boas. Sucessivamente

questo filone di ricerca ha finito col radicalizzarsi in posizioni che negavano addirittura che nonv i

fosse scambio tra l’interno e l’esterno, tutto è frutto della costruzione mentale dell’individuo (come

la teoria di Maturana dell’autopoiesi dove si sostiene che gli umani siano esseri cognitivamente

chiusi, in grado di auto crearsi e rigenerarsi, pertanto la realtà è un mero costrutto).

Il COSTRUZIONISMO SOCIO CULTURALE invece pone in evidenza il tema delle relazioni

sociali e conversazionali come fonte di conoscenza. Per questo molti lo fanno coincidere con la

psicologia moderna. Ritengono comunque che l’individuo sia altamente creativo (e nella

conoscenza crea, più che scoprire). Anche per questo filone pertanto non esistono Objekt veri ma

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solo Gegenstanden (costrutti artificiali). Anche il soggetto si fonde con i suoi mezzi culturali e si

annienta in essi. Il costruzionismo socio-culturale da molta importanza al linguaggio e alla

conversazione per riuscire a comprendere “COME” il mondo viene costruito. Si ritiene che siano le

pratiche discorsive a tracciare quello che è nel desiderio di chi parla, evidenziano ciò che per il

parlante è reale.

Questo filone di ricerca ha molti gap tra cui il pan culturalismo in esso implicito (anche gli aspetti

biologici sarebbero vincolati alla cultura e questo non può essere) che rischia di cadere in un

determinismo culturale: la cultura non può essere la spiegazione ultima del comportamento umano,

sebbene abbia un ruolo vitale. Inoltre, a causa dell’assolutezza di ogni punto di vista culturale si

rischia di finire in una relativismo radicale e solipsistico che non aiuta la ricerca.

IL SITUAZIONISMO DINAMICO

E’ l’approccio che evidenzia che la influenze della cultura sono circoscritte al contesto di

applicazione. La cultura non è una struttura statica che il soggetto ha, ma una rete di modelli e

schemi cognitivi, emotivi e sociali che per essendo connessi sono “DOMINO SPECIFICI” quindi

strettamente connessi anche col contesto.

La cultura non è una struttura astratta a sé stante ma al suo stesso interno vi sono molte differenze e

questo è dovuto al fatto che anche essa viene influenzata dal contesto o dal soggetto o da una

situazione eccezionale. Secondo il situazionismo dinamico la cultura non è un filtro costante ma un

prisma di opportunità e di percorsi alternativi e quello che prevale tra tutti è a seconda del contesto

in cui viene scelto. Proprio per questo motivo anche a mente viene defintia come

MULTICULTURALE poiché in grado di adattarsi a contesti diversi utilizzando norme e processi

culturali diversi a seconda delle occasioni. Pertanto la cultura è una realtà dinamica, a rete e

mutevole.

6. LA CULTURA COME PARTECIPAZIONE

La cultura è partecipazione per definizione poiché essa implica la condivisione dei processi di

significazione, di comunicazione etc…ed è grazie a tutte le relazioni che abbiamo che ci rendiamo

conto della DIVERSITA’ (= scarto culturale che si avverte tra due o più persone e che pertanto non

può mai essere oggettivo). Anche le differenze sono pertanto relative. Non si è doversi di per sé, ma

lo si è solo di fronte ad un altro. La diversità è la norma (vi sono degli scambi proprio perché si è

diversi) e lal cultura viene considerata quindi come l’organizzazione di queste differenze.

E’ molto interessante a riguardo la teoria del dialogismo proposta da Bachtin che sottolinea come i

processi culturali siano un divenire non formalizzato di voci diverse che danno luogo ai costrutti

culturali stessi ma ciascuno di noi, ogni qualvolta che parla, viene recepito da una pluralità di

soggetti e quindi i suoi significati possono essere declinati più volte secondo prospettive diverse.

Il sé di ogni soggetto (come io appaio a me stesso)è quindi collegato con l’esteriorizzazione (come

io appaio agli altri). Nell’apparire del soggetto c’è quindi sempre un “surplus di visione” dato dal

contributo dell’altro partecipante. Pertanto non vi sono confini nella cultura ma essa stessa è un

confine, è un insieme di confini e la partecipazione che essa implica rendono possibile

l’INCONTRO (si tratta di due processi attivi che creano nuovi percorsi di senso) dove avviene la

partecipazione di senso. La cultura ordina il tempo e lo spazio in cui questi significati prendono

senso e li rende comprensibili e intellegibili. Questa consapevolezza culturale è una premessa

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necessaria per poter comprendere anche le altre culture ma è indispensabile anche all’interno della

propria per comportarsi in maniera adeguata al contesto. Partecipare significa influenzare in un

qualche modo ciò a cui si partecipa per cui è molto pertinente la

TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI DI FOGEL: quando un soggetto partecipa ad una attività

culturale la influenza nel momento stesso in cui viene influenzato da essa attraverso un processo

reciproco senza fine.

7. LA DINAMICA CULTURALE

Il darwinismo socio-culturale e la dinamica culturale

La partecipazione è la premessa per il cambiamento: la cultura infatti non è un paccheto fisso di

norme e significati ma grazie al meccanismo del feedback si generano nuovi significati

continuamente. Il feedback è infatti per sua natura, generatore di cambiamento. La cultura si

configura pertanto come un processo continuo inarrestabile. In pasato si era ritenuto che questo

processo fosse stabile e costante secondo una visione meccanicistica che prende il nome di

darwinismo socio-culturale. Si passerebbe quindi da selvaggi a primitivi, da arcaici sino ad arrivare

all’uomo moderno e postmoderno. Quest’ottica, tipica dell’antropologia occidentale di fine 800,

venne diffusa anche grazie ai lavori di Tylor che considerava la cultura occidentale come il culmine

ultimo di questo processo evolutivo.

LA DINAMICA CULTURALE DI KASHIMA invece mette in evidenza che i percorsi delle

diverse culture proseguono da un lato indipendentemente e dall’altro non sono immuni ad influenze

provenienti da culture diverse. Questa teoria deve vedersela con l’aspetto di stabilità che ogni

cultura presenta, aspetto che è indiscutibile, pertanto in questa concezione è insito un paradosso. Per

cercare di superarlo Bourdieu propone la nozione di

HABITUS:

Le forme culturali sono degli habitus che oscillano tra i processi di riproduzione e di produzione:

grazie alla riproduzione queste possono essere ripetute nel tempo e rimanere stabili, grazie alla

produzione invece le diverse forme culturali possono andare incontro a delle variazioni pertanto ne

possono nascere di nuove. Lo scarto che esiste tra produzione e riproduzione è alla base del

processo di cambiamento ed esso lascia spazio alla libertà degli individui e alle differenze.

7.2.Il cambiamento culturale

Regolarità e variazione sono i due poli all’interno dei quali oscillano le forme culturali e dove viene

creato uno spazio che rende possibile la trasformazione dei modelli culturali, trasformazione che di

norma avviene con ritmi alternati, tra fasi di stasi (caratterizzate da dispositivi ripetitivi e da una

certa rigidità stereotipata) e frasi di accelerazione.

La staticità può condurre a vuoti morali e a una condizione che Durkheim definisce

ANOMIA: la premessa per il successivo cambiamento culturale dove dominano i fenomeni di

novità e di variazione e quando appaiono all’improvviso si può parlare di “rivoluzione”. La

situazione di anomia è caratterizzata psicologicamente da stati di ambiguità, contraddittorietà e di

timore. Inoltre bisogna considerare che vi sono sempre delle minoranze attive dove le innovazioni

non si consolidano.

Quando la cultura si trasforma a seguito di influenze che provengono dal suo esterno si parla di 8

PROCESSO DI CREOLIZZAZIONE: forme di contaminazione, sincretismo e ibridazione di forme

culturali diverse che provengono da altre popolazioni.

CAP. 2 TRA NATURA E CULTURA

1. IL PUNTO DI VISTA FILOSOFICO SUL DILEMMA “NATURA-CULTURA”

La dicotomia tra natura e cultura viene di solito vista a vantaggio della natura che risulta essere

meno controllabile e più dominante. La riflessione su questo tema di Rousseau (1797) la natura

genera un uomo buono che la società-cultura rende poi cattivo. Anche Galton e Gesell concordano

sul dare alla natura carattere di predominanza rispetto alla cultura e quindi sull’affermare l’esistenza

di universali predefiniti in natura e nel genoma che possono essere scarsamente influenzati dalla

cultura che viene vista pertanto come elemento esterno. Le teorie che concordano con questi punti

possono considerarsi come facenti parte della più generale prospettiva dell’

INNATISMO: per le teorie che si rifanno a questo punto di vista la dotazione genetica determina i

diversi comportamenti specie-specifici che sono condivisi da tutti gli esseri umani. Questa

posizione non è esente dal rischio di cadere nel determinismo biologico poiché fa dipendere la

condotta dell’individuo dal suo genoma.

Chomsky ha adottato tale prospettiva nelle sue riflessioni sul linguaggio che egli considera avente

una natura innata, prodotto da da uno specifico “ordine del linguaggio”.

La predominanza della cultura sulla natura

Già Kant rovesciò questa prospettiva ritenendo la cultura “ciò che poteva rendere l’uomo libero” ,

un qualcosa che ci consente di trascendere i limiti naturali imposti dall’ambiente in cui si vive. Tale

concezione venne ripresa anche da Hegel per il quale la cultura è proprio “un atto di liberazione del

sé naturale (o biologico)”. La cultura con lui diventa formazione poiché attribuisce forma

all’individuo.

Watson in psicologia sostenne che non vi siano delle doti innate e rimase famosa la sua frase riferita

a dei bambini che, se educati correttamente, ognuno di loro, a prescindere dal suo genoma, poteva

diventare dei professionisti.

DIFFERENZIAZIONE NELLE CULTURE: fa riferimento a quei processi di diversificazione

presenti in ogni cultura secondo cui si formano dei sistemi di norme, significati e pratiche del tutto

unici e irripetibili. Tutti contribuiscono alla formazione di questi

Dettagli
A.A. 2014-2015
57 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher silvia.furcas.1 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia della comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Anolli Luigi Maria.