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LE DECISIONI DI GRUPPO:

Tra le modalità con cui si decide individualmente e quelle con cui si decide in gruppo è possibile individuare

alcune differenze:

TEAM VERSUS INDIVIDUO:

I vantaggi di un processo decisionale di gruppo consistono principalmente in:

a) qualità della decisione: sia perché oil gruppo porta una somma di conoscenze e informazioni superiore al

singolo, sia perché il gruppo ha un maggior numero di punti di vista

b) gestione efficace del tempo: perché una volta articolato il problema in sottoproblemi, è possibile creare dei

sottogruppi di analisi, accelerando il processo.

c) accettazione e motivazione: perché se il gruppo che ha preso una decisione è composto dalle persone

che dovranno implementarla, aumentano le possibilità di successo dell’operazione.

Gli svantaggi delle decisioni di gruppo sono:

a) tempo: i gruppi sono generalmente meno efficaci degli individui e impiegano un tempo maggiore per

prendere una decisione.

b) dispersione di risorse: sottraendo i componenti dai processi produttivi, i gruppi richiedono un investimento

superiore a quello necessario nel caso di un unico decisore.

c) conflitti: la presenza di un maggior numero di persone aumenta la probabilità di incomprensione e dissidi.

d) dominio: uno o più componenti del gruppo possono monopolizzare la discussione, avendo come scopo

primario quello di “vincere” piuttosto che trovare la soluzione migliore.

e) conformismo: alcuni membri potrebbero seguire la soluzione del gruppo, per paura di non essere

accettati.

ALCUNI STRUMENTI PER LA DECISIONE DI GRUPPO:

Schein ha individuato sei modalità di raggiungimento di una decisione da parte di un gruppo:

1) decisione per mancanza di risposta: nessuna tra le alternative proposte risulta soddisfacente per tutti, per

cui il gruppo sceglie il “male minore”.

2) decisione per autorità: il leader del gruppo prende una decisione per tutti.

3) decisione della minoranza: una piccola parte del gruppo è capace di influenzare l’andamento della

discussione, riuscendo a imporre la propria soluzione.

4) decisione della maggioranza: si sceglie dopo una votazione.

5) decisione per consenso: la discussione porta alla scelta di un’alternativa preferita dalla maggior parte dei

componenti del gruppo, ma accettata anche dai membri dissenzienti, che rappresenta il miglior

compromesso possibile.

6) decisione all’unanimità: tutti i membri del gruppo sono d’accordo.

DISFUNZIONI DELLA PRESA DI DECISIONE DEL GRUPPO:

Stoner dimostrò che i gruppi erano propensi a rischiare più di quanto avrebbero fatto individualmente i singoli

membri, e definì questo fenomeno “tendenza al rischio”.

In realtà Stoner si accorse che, in alcuni casi, il passaggio da una decisione individuale a una decisione di

gruppo poteva portare a una maggiore cautela. Egli pertanto riformulò il fenomeno definendolo

“polarizzazione di gruppo”.

Un altro fenomeno molto studiato è il “pensiero di gruppo”, per cui in gruppi molto coesi poteva capitare che

l’obiettivo di prendere una buona decisione venisse messo in secondo piano rispetto all’intento di mantenere

un alto livello di coesione.

LE QUESTIONI APERTE:

LA “RINASCITA” DEL MODELLO RAZIONALE: LA TENTAZIONE DELLA PRESCRITTIVITÀ:

Le organizzazioni continuano ad avere la necessità di rendere il più possibile razionali i propri processi

decisionali, identificando modelli efficaci e sufficientemente strutturati in base ai quali far apprendere ai propri

attori le competenze necessarie per prendere decisioni in modo efficace ed efficiente.

Alcuni studiosi propongono quindi di “aggiornare” il modello razionale con elementi tratti dalle ricerche sul

concetto di razionalità limitata.

LA RAZIONALITÀ LIMITATA RIVISTA: IL NATURALISTIC DECISION MAKING E LA RAZIONALITÀ

ECOLOGICA:

Il termine Naturalistic Decision Making (NDM), traducibile come “presa di decisione naturale” è stato coniato

da Klein e altri collaboratori, che si sono occupati di presa di decisione in condizioni difficili e complesse,

ovvero caratterizzate, per esempio, da scarsità di tempo, incertezza, ambiguità, limiti individuali, influenze

esterne, ecc…

Tuttavia, gli autori che fanno riferimento al NDM sono più interessati ad offrire buone descrizioni dei processi

osservati piuttosto che a definire modelli capaci di generalizzare principi per la decisione esportabili in altri

contesti.

Secondo il principio della razionalità ecologica, le persone, senza bisogno di grande preparazione ma

sfruttando semplicemente la propria esperienza, sono in grado di prendere buone decisioni a partire da

meccanismi mentali la cui struttura interna può sfruttare le configurazioni assunte dall’informazione esterna

disponibile nell’ambiente circostante.

Quindi, decisori relativamente inesperti hanno la possibilità di prendere decisioni particolarmente efficaci con

una limitata analisi e un contenuto utilizzo di mezzi e risorse.

CAPITOLO 13: CAMBIAMENTO E SVILUPPO ORGANIZZATIVO:

LO SCENARIO DEL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO:

Per promuovere lo sviluppo, l’evoluzione e la crescita è fondamentale la capacità di favorire e sostenere

programmi di cambiamento, sia pianificati sia come reazioni a improvvisi eventi non prevedibili. Le

organizzazioni cambiano perché sottoposte a molteplici spinte verso il cambiamento; tali spinte possono

essere esterne e interne a esse.

La globalizzazione, l’introduzione di nuove tecnologie, le nuove caratteristiche della forza-lavoro, le pressioni

sociali, politiche e economiche costituiscono le principali spinte esterne. Le spinte interne sono connesse

con la gestione delle risorse umane: esse sono identificabili quando si verificano nel contesto organizzativo

di eventi “tangibili” (il calo della produttività e della partecipazione lavorativa o l’aumento dell’assenteismo).

LE DEFINIZIONI DI CAMBIAMENTO:

Quaglino afferma che il cambiamento è un atto caratterizzato da un passaggio, una transizione nel tempo da

uno stato presente, ad uno stato futuro. Il cambiamento è quindi un intervento volto ad affrontare un

problema e una situazione critica.

Daft e Noe definiscono il cambiamento come “l’adozione da parte di un organizzazione di una nuova idea,

intenzione o comportamento”; per George e Jones il cambiamento può essere definito “il movimento di un

organizzazione da uno stato presente ad uno stato futuro desiderato per aumentare la sua efficacia”.

Diversi lavori, a partire da Bennis, sostengono che si può parlare correttamente di cambiamento

organizzativo esclusivamente quando è pianificato. Quest’ultimo è il risultato di uno specifico sforzo da parte

di agenti di cambiamento, ed è la specifica risposta alla percezione di una discrepanza, tra uno stato

desiderato e lo stato presente.

I MODELLI DI CAMBIAMENTO:

IL MODELLO DI LEWIN:

Questo modello punta l’attenzione sulla tendenza a mantenere costante nel tempo uno stato di equilibrio,

anche in presenza di spinte al cambiamento. Quando le spinte di cambiamento riescono a sconfiggere le

resistenze si verifica la fase di scongelamento, che porta al cambiamento vero e proprio e alla successiva

fase di ricongelamento.

Quando lo scongelamento è avvenuto sono attive specifiche azioni di cambiamento, in cui sono coinvolti gli

attori, i compiti, le strutture e le tecnologie.

IL MODELLO LUSSIER:

È un modello composto da cinque fasi che mettono in evidenza gli aspetti gestionali del cambiamento:

1) Definire il cambiamento: chiarire se l’obiettivo del cambiamento è diretto agli aspetti strutturali, tecnologici

o sociali;

2) Identificare le resistenze al cambiamento: comprendere le forme e le intensità delle resistenze al

cambiamento messe in atto dagli attori;

3) Pianificare il cambiamento: progettare e sostenere il cambiamento garantendo la supervisione;

4) Promuovere il cambiamento: attraverso la divulgazione del bisogno e delle necessità del cambiamento;

5) Controllare il cambiamento: accertarsi che esso sia attivo e mantenuto nel tempo.

IL MODELLO SISTEMICO:

È basato sull’assunto che ogni tipo di cambiamento, sia esso di grandi o di piccole dimensioni, può avere un

impatto a “cascata” all’interno dell’organizzazione, intesa come un sistema composto da parti strettamente in

interazione tra loro: il cambiamento in una qualsiasi delle sue parti provoca modifiche in tutte le altre.

Questo modello prevede l’azione congiunta di tre componenti:

1) input: L’input fa riferimento alla missione e alla visione dell’organizzazione; ogni cambiamento deve

essere coerente con esse e derivare da un piano strategico. La missione può essere vista come la ragione,

ovvero il perché dell’esistenza del’organizzazione. La visione rappresenta l’obiettivo a lungo termine che

descrive “cosa” un’organizzazione vuole divenire.

2) oggetti o obiettivi di cambiamento: Gli oggetti del cambiamento rappresentano gli aspetti

dell’organizzazione che possono essere oggetto di mutamento. Questi sono: gli aspetti organizzativi, i fattori

sociali, i metodi, gli obiettivi del cambiamento, gli attori organizzativi.

3) output: Gli output costituiscono i risultati attesi del processo di cambiamento.

LE RESISTENZE AL CAMBIAMENTO:

Il cambiamento genera negli attori organizzativi una gamma di emozioni che vanno dalla completa

accettazione e dal supporta attivo, al completo rifiuto, che porta in alcuni casi all’abbandono

dell’organizzazione.

Il merito di aver dato il via ai primi studi sulle resistenze al cambiamento si deve a Kurt Lewin: per lui infatti

l’azione al cambiamento è preceduta a una lotta tra spinte e resistenze. Lasciare il conosciuto per ciò che

non si può conoscere può rappresentare un’esperienza faticosa, che comporta l’abbandono di schemi

preesistenti e l’adozione di nuovi comportamenti. Le resistenze inoltre hanno un forte impatto sulle emozioni

che a loro volta possono influenzare cosa si pensa razionalmente del cambiamento e il comportamento a

favore o a sfavore del mutamento.

LE RESISTENZE INDIVIDUALI:

a) L’incertezza e l’insicurezza per il nuovo: gli individui tendono a resistere al cambiamento perché lo

percepiscono come una minaccia alla propria sicurezza e a ciò che sarà del loro futuro. Queste resistenze

individuali sono inoltre classificabili in: psicologiche (quando l’individuo percepisce una minaccia alla propria

identità occupazionale) ed economiche (quando la propria competenza esperta, consolidata nel corso degli

anni, è minacciata e quando si teme una riduzione dello

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Publisher
A.A. 2014-2015
37 pagine
6 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ali7877 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Miglioretti Massimo.