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SEZIONE II – CONTRATTO E RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
1. La fonte dei rapporti di lavoro
In merito alla natura del rapporto di lavoro, vi sono due concezioni:
Concezione contrattualistica (nasce con la riconduzione allo schema della locazione), con
l’elaborazione di un’autonoma figura del contratto di lavoro subordinato. È la visione oggi
dominante.
Concezione acontrattualistica, che vede l’impresa come un’istituzione dove vi è
comunione di scopo tra datore e lavoratore. Quindi la posizione di potere non portano ad
una dimensione conflittuale ma sono funzionali al perseguimento dell’interesse comune. Il
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rapporto di lavoro, di conseguenza, non sorge a seguito della stipulazione del contratto,
ma con l’inserimento del lavoratore nell’impresa.
È una visione tipica del periodo del fascismo e dei regimi totalitari, in cui si enfatizza il
principio di autorità nel rapporto di lavoro.
In alcune parti del codice sembra si faccia riferimento alla concezione acontrattualistica, ma in
realtà viene messa in evidenza una regolamentazione improntata alla logica dello scambio
contrattuale. Perché sorga un rapporto di lavoro, è infatti necessario un contratto di lavoro.
Oggi la dottrina acontrattualistica accetta la dimensione conflittuale del rapporto datore –
lavoratore, ma ritiene che la dimensione contrattuale non sia idonea a descrivere il rapporto di
lavoro subordinato, per diverse ragioni:
× Il contratto sottende una logica paritaria, mentre nel rapporto di lavoro il lavoratore è in
rapporto di soggezione rispetto al datore di lavoro.
× La regolamentazione è eteronoma (contratti collettivi e leggi); una disciplina inderogabile
prevale sull’autonomia negoziale delle parti.
La dottrina contrattualistica risponde:
× Anche altri rapporti, dei quali non si nega la natura contrattuale, hanno vasta
regolamentazione eteronoma, che ha maggior peso dell’autonomia negoziale.
× L’esistenza di una regolamentazione eteronoma non porta ad escludere la natura
contrattuale del rapporto di lavoro.
× In ogni caso è possibile, per le parti, stabilire trattamenti migliorativi rispetto alle leggi o ai
contratti collettivi. Nei casi in cui non sia presente la legge o il contratto collettivo, è
comunque possibile, attraverso il contratto individuale, regolare quei rapporti di lavoro
“scoperti”.
(Contratto di lavoro, vizi del consenso, simulazione)
La disciplina del contratto di lavoro è peculiare rispetto a quella del diritto generale delle
obbligazioni e dei contratti. Di conseguenza le regole proprie della disciplina generale dei
contratti hanno poca rilevanza, ad esempio parlando di vizi del consenso (dolo, violenza, errore) o
della simulazione.
In particolare i vizi del consenso (che incidono o sul piano della divergenza fra volontà e
dichiarazione o sul piano dei motivi) in astratto possono essere fatti valere tramite l’azione di
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annullamento. Dovrebbe in ogni caso trattarsi, nel caso dell’errore, di un errore riconoscibile dal
lavoratore ed essenziale dal punto di vista del datore di lavoro; quindi potrebbe essere un errore
che incida sulle attitudini professionali del lavoratore.
In caso di divergenza fra dichiarazione di volontà e assetto concreto del rapporto, il rimedio
usuale è quello di dare rilievo all’esecuzione del contratto e alla corretta qualificazione del
rapporto da parte del giudice (come lavoro autonomo o subordinato), senza ricorrere allo schema
della simulazione relativa.
(La concezione contrattualistica e il diritto positivo)
Grazie all’evoluzione del diritto positivo, le dottrine acontrattualistiche possono essere
contrastate maggiormente.
La legislazione in materia di licenziamenti ha collegato la facoltà di licenziare solo in caso
di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Si da
quindi per scontata l’esistenza di un contratto.
La limitazione della libertà di scelta del contraente non è un argomento oggi proponibile
Il legislatore parla di assunzione nelle amministrazioni pubbliche che avvengono tramite
contratto individuale di lavoro.
Anche in caso, ad esempio di rapporto di lavoro instaurato con un soggetto protetto dalla
disciplina delle assunzioni obbligatorie, vi è comunque un contratto e una rilevanza nella
manifestazione di volontà delle parti.
2. La prestazione lavorativa di fatto
L’art. 2126 parla della prestazione di fatto in violazione di legge; si dispone che la nullità o
l’annullamento del contratto non producono effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione. Non si tratta delle ipotesi di lavoro di fatto in senso stretto, ovvero in cui la prestazione
si è svolta senza il consenso o contro la dichiarata volontà del datore di lavoro e quindi non si instaura
in alcun modo un rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta invece delle situazioni in cui si ha un contratto nullo o annullabile, riguardante un periodo
in cui il lavoratore ha dato comunque esecuzione al contratto in questione. In questi casi la nullità
o l’annullamento non producono effetto, in deroga al regime generale della retroattività della
dichiarazione di nullità e della pronuncia di annullamento; ciò in virtù delle esigenze di tutela del
lavoratore.
La regola generale torna ad operare se la nullità deriva dall’illiceità dell’oggetto o della causa,
intesa come motivo determinante e comune di entrambe le parti. a
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Nel caso, però, in cui la nullità del contratto con oggetto illecito, deriva dalla violazione di norme
poste a tutela del lavoratore, si applica il principio protettivo dell’articolo 2126, così come nel caso
in cui il soggetto che stipula il contratto è di età inferiore a quella minima per l’accesso al lavoro.
3. Capacità giuridica e capacità di agire
L’eta minima per accedere al mondo del lavoro è 16 anni; ovviamente l’attitudine a poter essere
parte di contratti di lavoro non si acquisisce alla nascita, ma serve avere la capacità giuridica
speciale, acquisita al compimento dei 16 anni.
In merito alla capacità di agire, con una legge del 1975 si afferma che il minore che stringa un
contratto di lavoro, sia abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendendo dal contratto.
Non è dettata alcuna disciplina speciale per l’altra parte del rapporto di lavoro subordinato
(datore di lavoro).
4. La forma del contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato
Per la stipulazione di un contratto non sono necessari dei requisiti formali; vige la regola generale
della libertà di forma. Ci sono comunque delle eccezioni:
Serve atto pubblico per i contratti di arruolamento marittimo
Serve forma scritta nei contratti atipici:
× Apprendistato × Contratto di lavoro a tempo parziale
× Contratto a tempo determinato × Contratto di lavoro intermittente.
Vige, però, per il datore di lavoro, l’obbligo di informare il lavoratore in merito a certi elementi
del rapporto, ritenuti di carattere essenziale (luogo di lavoro, durata del rapporto, importo e
periodicità del versamento della retribuzione, …).
Questo obbligo va adempiuto al momento dell’assunzione, prima dell’inizio dell’attività di lavoro;
il lavoratore riceva una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro. Questo
documento è dotato di veridicità (presunzione di veridicità) e può essere usato in caso di
controversia giudiziaria per rendere più agevole la tutela dei diritti dei lavoratori. In ogni caso il
datore di lavoro può fornire prova contraria, dimostrando che le affermazioni sono false.
5. Il patto di prova
Art. 2096 cc – Assunzione in prova a
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Salvo diversa disposizione, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare
da atto scritto.
L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento
che forma oggetto del patto di prova.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza l'obbligo di
preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di
recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa
nell'anzianità del prestatore di lavoro.
Si tratta della clausola di prova, una delle eccezioni alla libertà di forma. Il patto di prova di solito
è inserito (ma non per forza) in un contratto di lavoro subordinato. Ha una duplice funzione:
Formale: risponde alle esigenze di entrambe le parti del rapporto.
Reale (dominante): il datore di lavoro testa le capacità professionali e di adattamento
all’organizzazione produttiva del neo – assunto. In caso negativo può licenziarlo.
È richiesta per il patto di prova la forma scritta, sottoscritta da entrambe le parti prima della
costituzione del rapporto di lavoro. Se manca la forma scritta il patto è nullo, mentre il contratto
di lavoro resta valido.
Durante il periodo della prova, che non ha una durata fissata, entrambe le parti possono
recederne, senza obbligo di motivazione e senza necessità di preavviso. Solamente per alcune
categorie di lavoratori, è intervenuta la contrattazione collettiva,che ha fissato un limite legale al
periodo di prova e, a volte, richiede di giustificare l’eventuale licenziamento.
Il lavoratore in prova ha comunque diritto all’indennità di anzianità (trattamento di fine rapporto)
e, in caso di licenziamento, ad un periodo di ferie retribuite o alla corrispondente indennità
sostitutiva.
Inoltre, in caso di licenziamento, esso può essere sindacato dal giudice con riferimento all’obbligo
di consentire l’esperimento e con riguarda all’esistenza di un motivo illecito, che abbia causato il
recesso. L’onere di provare l’illegittimità del licenziamento grava sul lavoratore, ma a volte
operano delle presunzioni a suo favore, ad esempio in caso di breve durata rispetto a quella
concordata.
6. Il divieto di indagini sulle opinioni e il divieto di discriminazioni: rinvio
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